Gran Sasso aquilano, decenni di occasioni mancate e di investimenti sbagliati

Marco Cordeschi, il direttore di esercizio degli impianti sciistici di Campo Imperatore, in una nota ripercorre decenni di occasioni mancate, e di investimenti sbagliati, chiedendo una svolta manageriale al Comune dell'Aquila.

LA NOTA COMPLETA

Ho sempre sostenuto che, per una stazione sciistica e di turismo montano, l’impostazione imprenditoriale debba essere principalmente guidata da criteri di tipo industriale prima che turistico Se, infatti, è vero che l'esercizio, finalizzato al migliore rapporto con il pubblico, costituisce lo scopo dell’attività economica di base, d’altro canto la programmazione, progettazione, realizzazione e gestione di sistemi complessi (quali, ad esempio, gli impianti a fune o quelli destinati all’innevamento programmato, alle reti tecnologiche, al controllo degli accessi, alla tele sorveglianza e via dicendo) rendono indispensabile, ai fini di ogni buon risultato, l’introduzione di criteri di management industriale.

Ciò comporta, tra l’altro, in via generale, che mentre si potrà far fronte, con interventi correttivi, ad eventuali errori di tipo “gestionale” senza rilevare danni irreparabili, nel caso di errori su investimenti i danni risulteranno, invece, fortemente condizionanti per la sopravvivenza stessa della stazione.

Nel Gran Sasso aquilano, se si fa riferimento agli ultimi 50 anni, il suddetto principio di management industriale non mi risulta mai applicato.

Farò, a tal proposito, alcuni esempi che ritengo tra i più significativi, tralasciando ogni altro commento sulle scelte politiche degli anni ’60 e ’70 destinate a far scappare via alcune rilevanti proposte di investimento costituendo, probabilmente, le prime occasioni perdute.

Nel 1985 ci si trovò a programmare la sostituzione della Funivia del Gran Sasso d’Italia completata poi nel 1988; pur rilevando la realizzazione di un impianto molto importante e ben costruito, osservo che le scelte programmatiche fatte non tennero minimamente conto né della importanza di collocare la stazione di valle in una posizione facilmente “visibile” dalla strada e soprattutto accessibile dai parcheggi, né della necessità di prevedere – per l’impianto di arroccamento principale e più vicino all’autostrada – una portata oraria adeguata, né di valutare la possibilità di impiego di impianti a fune già realizzati altrove, con analoghe caratteristiche di resistenza al vento, ma con funzionalità enormemente migliore (ad esempio i "3S") e più facilmente predisposti per la costruzione di una stazione intermedia.

Due anni dopo, nel 1990, si doveva sostituire la sciovia inferiore di Monte Cristo, località che – negli anni ’90 – vantava incassi molto più alti di Campo Imperatore.

Fu scelta una seggiovia che obbligava gli sciatori, per raggiungere l’impianto superiore, a muoversi in salita per decine di metri, limitandone così la funzionalità, il comfort, dunque, il rendimento economico; peraltro la ditta costruttrice (Gradio s.p.a.) è fallita pochi mesi dopo la realizzazione non rendendo più disponibili assistenza né pezzi di ricambio: l’impianto dal 1999, a soli 9 anni dalla sua costruzione, è fuori uso. La stazione di Monte Cristo è morta.

Tra il 1991 ed il 1992 fu sostituita la sciovia delle Fontari, a Campo Imperatore, con una seggiovia quadriposto ad ammorsamento automatico, la cui vita tecnica, per norma, era di 40 anni.

L’impianto, richiesto per una portata oraria di 2400 persone, fin dal collaudo ne può trasportare soltanto 1542 (se si valutasse con questo unico dato il rendimento industriale dell’impianto, vorrebbe dire che esso “produce” quasi il 36% in meno di quanto previsto in fase di programmazione); inoltre la seggiovia fu realizzata quasi come prototipo (nata da un impianto ad ammorsamento fisso trasformato, sul posto, in ammorsamento automatico) richiedendo già appena dopo la realizzazione, complessi interventi di modifica che ne hanno ancor più condizionato la già pessima esposizione al vento e dunque la regolarità dell’esercizio. Nel 2016 verrà già sostituita.

Mi fermo qui senza trattare altre questioni. Queste scelte sbagliate sugli investimenti, in periodi in cui la disponibilità di finanziamenti pubblici è sempre più difficoltosa, rischiano, in termini industriali, di rivelarsi mortali.

Perciò, per le mie limitate funzioni di direttore di esercizio degli impianti a fune di Campo Imperatore, nei passati 15 anni ho cercato spesso di richiamare il Comune dell’Aquila all’attenzione da porre sul corretto impiego di criteri industriali nella conduzione delle attività di programmazione e confido ancora che questo, prima che sia troppo tardi, possa stabilmente avvenire.

Infatti la disponibilità (caso rarissimo in Italia) di oltre 1700 ettari di terreno montano, la eccezionale vicinanza ad un casello autostradale posto ad un’ora da Roma, le peculiarità del contesto montano ed ambientale che consentirebbero una utilizzazione destagionalizzata e sana delle risorse turistiche ed infine, dal 2004, la vigenza di uno specifico strumento di programmazione come il Piano d’Area, faticosamente approvato dalla Regione e dall’Ente Parco nel 2003 dopo quasi 10 anni di tentativi, potrebbero trasformare il Gran Sasso aquilano in uno strumento fondamentale per il rilancio culturale, occupazionale ed economico dell’intero territorio.

Rispetto, invece, ai falsi problemi ambientali posti anche di recente da alcuni, credo semplicemente che chi li pone, più che preso dalla "cura della Casa Comune", (come Papa Francesco ha voluto definire la consapevole e convinta attenzione che l’uomo deve porre alla tutela della Madre Terra) sia preso dalla cura della casa propria.



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