Don Giovanni Gatto il parroco antimafia ora è sereno: "Non possono più farmi nulla"

 

 

 

 «Devo stare sereno. L'ho detto in chiesa anche ai miei parrocchiani mentre davo gli avvisi della Santa Messa : "non chiedetemi nulla, state sereni e lasciamo lavorare i carabinieri"». Don Giovanni Gatto se ne sta seduto sulla sedia della cucina di un mini appartamento del Progetto case targato 2009 mentre racconta che cosa si prova ad essere indicato come il prete minacciato dalla camorra. Ogni tanto allarga gli occhi all'improvviso e preso da un impeto repentino ripete come un refrain, una frase che non può non colpire: «Clan o non clan, prima o poi quelli ti fanno uno scherzetto...». Veneto di Montebelluna, 41 anni, undici dei quali trascorsi quassù a Tempera, frazione di 1.500 abitanti dell'Aquila, “don Giò” assolve in tutto e per tutto il ruolo di parroco anche se ci tiene a sottolineare che lui ufficialmente è amministratore parrocchiale. Ed è proprio relativamente al suo ruolo che il suo nome è salito alla ribalta delle cronache perché “personaggi loschi” interessati alla ricostruzione post terremoto avrebbero cercato di avvicinarlo in modo che potesse mettere una buona parola sui loro interessi milionari. Una storia iniziata quando le gru all'Aquila erano poche, continuata a piccole tappe fatte di telefonate e incontri sospetti, esposti ai carabinieri, solidarietà e che adesso è confluita in un verbale di 5 ore d'interrogatorio a cui il parroco è stato sottoposto affinché fosse messo una volta per tutte nero su bianco. «Mi sono svuotato, sono in pace con me stesso, a me importa solo che il Signore mi vuole bene e che i miei parrocchiani mi seguano. Sono contento così. Ecco perché non ho paura». C'è da dire che questo giovane parroco dall'aria da tenerone, prima di prendere i voti, è stato carabiniere. Forse è anche da quelle, sia pure lontane, radici che ha preso tanta fiducia. «Lo diceva anche Giovanni Falcone che per stare tranquilli occorre parlare, dire tutto. In questo modo è come se uno facesse un'assicurazione sulla vita... Mi auguro che non sia così per me, intanto ho fatto il mio dovere». Se fosse tutto qui don Giovanni Gatto sarebbe già preso ad esempio per la sensibilizzazione alla lotta contro le mafie. Un prete anti camorra in Abruzzo. Così è stato già ribattezzato. Eppure non è stato ritenuto necessario metterlo sotto scorta, non gli è stato consigliato di lasciare Tempera e di andare via, non gli sono stati tolti quegli incarichi che possono ricondurlo sotto pressione. E in pericolo. «Dei lavori della costruzione della canonica e della chiesa, 1,5 milioni di euro, se ne stanno occupando il Provveditorato e la curia, io li seguo da lontano», ripete lui se non altro soddisfatto dei messaggi e delle espressioni di solidaretà che ha finora ricevuto. E fa l'elenco: «Dal twitter di Ernesto Magorno, deputato pd e giurista calabrese, alla senatrice pd Stefania Pezzopane, al senatore di Noi con Salvini Paolo Arrigoni e all'intero consiglio comunale dell'Aquila, dal vice sindaco Trifuoggi, all'arcivescovo Petrocchi, al giornalista antimafia Angelo Venti e a Leandro Bracco l'unico, per ora, consigliere regionale che mi è vicino e che sento come amico. Grazie». Un crocifisso in ebano sotto il collare bianco, il clergyman di camicia e pantaloni larghi e comodi di chi deve correre da una parte all'altra della parrocchia per cercare di ascoltare e parlare con chi ne ha bisogno in questo grappolo di case-parcheggio arrampicate sulla collina e intorno a un parco giochi. “Don Giò” ne parla con orgoglio: «Qui sono tutte brave persone che escono di casa la mattina e tornano stanche la sera». E la maggior parte lavora in quei cantieri che oggi affollano il cratere sismico e che sono al centro degli interessi di quegli “strani personaggi” di cui ha parlato ai carabinieri. Nel 2009, appena dopo il terremoto, arrivarono in due, uno disse che era un tecnico, l'altro un ingegnere. «Raccontarono di essere arrivati da Benevento e mi fecero capire che volevano che io li accreditassi alla diocesi affinché potessero cominciare a lavorare negli appalti della ricostruzione», ricorda il parroco "buono". Attenzione: nessuna minaccia diretta. Ma evidentemente toni espressivi forti e chiari che non hanno lasciato dubbi in don Gaetano. Tanto più che dopo è riuscito a dare nome e cognome a quei due personaggi che sono successivamente risultati "già noti" alle forze dell'ordine nel corso di altre inchieste. Passa un anno, i cantieri aperti sono pochi, e don Giovanni che nel frattempo è entrato a far parte del Comitato per la ricostruzione, riceve un'altra visita. «Lo ricordo benissimo, di Venerdì santo e io ero nella sede degli usi civici per celebrare la Messa. Li vedo lasciare l'auto lontano, uno resta fuori, l'altro entra e mi chiede se lo confesso. Parla con accento napoletano, scopro che è di Caserta e che sa dove abito. Inizia a parlare male, ha famiglia, dice che ha bisogno di guadagnare e che ha bisogno di me perché, aggiunge al plurale, potremmo venire qui a lavorare...». E poi una frase-messaggio: «Se mi aiuti evito di trasportare la droga per conto dei Casalesi». Il parroco racconta di aver prima risposto di rivolgersi alla Caritas e poi di aver urlato: «L'ho preso per le mani e gli ho detto "vai via, tu e l'altro"». Ma accompagnati con forza verso la porta, uno dei due avrebbe detto: «Tanto ci rivediamo presto...». I due episodi, anche se privi di atti delinquenziali, non hanno più fatto dormire tranquillo don Giovanni. Che ha cominciato a parlarne con amici fidati, persone a lui vicine e investigatori. «Era evidente che ero preoccupato e ho cominciato a vivere circondato dai sospetti. Pensavo, ricollegavo comportamenti e coincidenze. Ma poi ho deciso che la comunità doveva sapere, e ho deciso di parlarne per sentire vicina la forza dei miei parrocchiani». Così è stato. Il parroco è rimasto a Tempera e si è barcamenato come tutti con le emergenze e gli isterisimi che nascono da un insieme di situazioni precarie. Fino a due mesi fa, quando don Giovanni ha riconosciuto a Tempera il personaggio della confessione e che gli aveva accennato dei Casalesi. «Era insieme a un altro, e per me questo ha voluto dire che non mi lasciano in pace, che mi tengono sotto controllo e che sanno sempre dove trovarmi». Un suo post intercettato nella Rete è parso come un addio ed è subito diventato virale. C'era scritto: "A seguito di pressanti intimidazioni affido la mia anima al Signore Gesù e prego anche per questi signori". «Sono caduto nello sprofondo, ma sono risalito grazie alla solidarietà», riprende accarezzando il crocifisso. Mentre sullo sfondo degli interessi sulla ricostruzione si stacca il ruolo di una grande banca d'affari internazionale. «No, di questo non voglio, né posso parlare», interrompe subito lui riferendosi alle indagini. Ma ora la collettività sa, conosce don Giovanni, il parroco anticamorra e sembra volerlo difendere fra le case di Tempera da qualcuno che può all'improvviso tornare. «Mi ripetono sempre "stai sereno", io lo sono ma non troppo».

- da Il Centro -
 



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