Stefano Ardito: "Erano i migliori del Gran Sasso"

 

 

All'inizio nessuno ci voleva credere, non sembrava possibile che la cordata più forte del Gran Sasso potesse finire così. Poi la conferma della notizia ha fatto piangere uomini e donne che hanno visto molte tragedie in montagna. Luca D'Andrea, sulmonese, e Roberto Iannilli, laziale, erano forti ed esperti, e hanno pagato con la vita una loro libera scelta. La loro fine sul Camicia, dove sono precipitati in cordata, ha però sconvolto i frequentatori del Gran Sasso e tutti gli alpinisti italiani. Pierluigi Bini, di Roma, ha tracciato negli anni Settanta sul massiccio delle vie che hanno fatto storia. Oggi dice solo «sono senza parole, mi manca il fiato». «Non si può scegliere il momento in cui morire, si può solo decidere come vivere. E questo Roberto lo aveva compreso perfettamente» aggiunge il suo compagno di cordata Angelo Monti. Massimo Marcheggiani, di Frascati, ha tracciato molte grandi vie sul Gran Sasso, e regala un ricordo prezioso. «Trent'anni fa ho aperto con Roberto, che aveva iniziato a scalare da poco, una variante sulla Vetta Centrale del Corno Grande. Vedendolo arrampicare quel giorno ho capito che avrebbe fatto strada. Da allora ha fatto aprire gli occhi a tutti noi».

All'arrivo della notizia, ha pianto anche Claudio Arbore, aquilano trapiantato a Ciampino. Protagonista dell'arrampicata sulle cascate di ghiaccio dell'Appennino, Claudio conosce bene la Nord del Camicia. «Iannilli ha avuto un ruolo straordinario nell'alpinismo degli ultimi vent'anni - racconta - Cercava nuove vie con una straordinaria passione, l'alpinismo senza esplorazione non ha senso». A ricordare Luca D'Andrea, che aveva un palmarès meno ricco, sono soprattutto gli amici di Sulmona. «Era uno spirito libero e un uomo entusiasta, in Roberto aveva trovato un compagno di cordata ideale» racconta Massimo Massimiano, che si è legato tante volte alla corda di Luca. «Nelle due spedizioni al San Lorenzo, una gigantesca vetta di neve e ghiaccio in Patagonia, ho capito quanto amasse le grandi montagne. Per lui, anche in ascensioni difficili, la cosa importante era restare sereni».
A piangere D'Andrea e Iannilli non sono solo alpinisti. «Conoscevo Roberto da lontano, sapevo che sul Gran Sasso era un mito» racconta Linda Cottino, giornalista torinese che ha diretto per anni il mensile Alp. «L'ho incontrato tre anni fa a un festival e ho scoperto uno straordinario artigiano dell'alpinismo, un uomo capace di seguire la sua strada lontano dalle mode. Più che un italiano sembrava un americano o un inglese». La conclusione perfetta da Ivo Ferrari, un fortissimo alpinista di Lecco che frequenta con passione il Gran Sasso. «Per aprire una via molto bella, ci vuole una grande cordata. Roberto e Luca erano una grande cordata».


Stefano Ardito



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