Nel 1999 due politici e due tecnici lanciarono l’allarme sui rischi connessi a un terremoto

 

 

 

 Per comprendere fino in fondo quello che è successo all’Aquila il sei aprile 2009 (centinaia di vittime, città distrutta, danni materiali per decine di miliardi di euro) bisogna fare un salto indietro nel tempo. In questi anni ci si è concentrati molto su tutta la vicenda cosiddetta “Grandi Rischi” e sulla sottovalutazione che la commissione di scienziati fece dello sciame sismico che stava colpendo L’Aquila da almeno sei mesi. In realtà se si analizzano vicende note (perché già raccontate sui media) ma di fatto dimenticate, si scopre che l’atteggiamento della Grandi Rischi fu in linea con un modus operandi che aveva origini lontane. Ogni qual volta qualcuno si permetteva di mettere in guardia la popolazione dai potenziali rischi connessi a una forte scossa, la parola d’ordine era minimizzare nel breve periodo e cancellare tutto dalla memoria nel medio e lungo periodo. Un episodio che conferma l’assunto di cui sopra risale al 24 novembre del 1999, 17 anni fa, 10 anni prima del terremoto del 2009. Quel giorno l’allora assessore alla protezione civile della Provincia Gianfranco Giuliante e l’assessore comunale sempre alla Protezione civile Nicola Iovenitti (entrambi di An) convocarono una conferenza stampa. Con loro c’erano anche due studiosi, l’ingegnere Giovanni Bongiovanni dell’Enea e il professor Gaetano De Luca del servizio sismico nazionale. Cosa si disse in quell’incontro con la stampa? I due tecnici si soffermarono in particolare sul concetto di accelerazione sismica, termine diventato tristemente noto perché spiega meglio di ogni altra cosa gli effetti delle scosse sui centri abitati. L’accelerazione funziona come un normale amplificatore. Consente ai suoni (nel caso del sisma, alle onde) di arrivare forti e chiari laddove normalmente non arriverebbero. I casi di Onna e di via XX Settembre, posti in cui c’è stata la metà delle vittime del 2009, dà l’idea della devastazione che l’accelerazione può causare quando incontra terreni poco coesi. E quel giorno del novembre 1999 proprio di questo si parlò ma non sulla base di astruse teorie ma riferendo i risultati di studi effettuati sulla città. «La situazione dell’Aquila» disse Bongiovanni «è allo studio già dal 1984 e le scosse degli ultimi eventi sismici, del 1996 e del 1997, in città sono arrivati ma in maniera blanda vista la distanza dall’epicentro. Però i rilevamenti strumentali hanno dato una attività enorme rispetto al grado di intensità, soprattutto nel centro storico. Questo è stato rilevato anche da strumenti di controllo che abbiamo messo, nel 1995, nel tunnel pedonale di Collemaggio che collega con piazza Duomo. Questo perché il terreno sotto la città è costituito da un pacco di detriti di consistenza variabile e sotto ci sono terreni di tipo argilloso sui quali scorre acqua. Quindi c’è molta amplificazione dell’intensità del sisma». Parole pronunciate ben 10 anni prima del terremoto distruttivo. Giuliante in quella conferenza stampa lanciò una proposta che all’epoca sembrò provocatoria: chiese infatti alla Regione allora guidata da una giunta di centrosinistra con a capo Antonio Falconio di stanziare 100 miliardi di lire (che oggi sarebbero, rivalutati, una ottantina di milioni di euro cioè i soldi che sono stati spesi post 2009 per rifare 3 palazzi in centro storico). I soldi dovevano servire a monitorare il patrimonio abitativo, mettere in sicurezza gli edifici pubblici e stimolare i privati a fare altrettanto. Quelle dichiarazioni furono travolte da una valanga di risatine ironiche e la Regione ignorò del tutto quella richiesta.

di Giustino Parisse - da Il Centro -

 



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