DA PEL DI CAROTA A BIONDO CENERE

 

 

 

- di Emanuela Medoro - “Not my president”, un fenomeno mai accaduto a mia memoria, manifestazioni di protesta dilagano nelle grandi città degli USA dopo la sorprendente vittoria di Trump. Non il mio presidente, lo slogan significa “ Trump non mi rappresenta”.
Per ora è evidente la trasformazione del suo aspetto, a cominciare dalla chioma, anzi dal parrucchino. Il ciuffo rosso carota scomposto sulla fronte è stato trasformato per la prima uscita da presidente in taglio impeccabile color biondo cenere, come si addice ad un americano tradizionale bianco, in avanzata terza età, dal fisico cadente, gonfio di birra, bistecche al sangue e patatine fritte, accompagnato da una vasta famiglia di persone bionde. Della sua biografia mi ha colpito un punto, in particolare: era il padrone di Miss Universo, che deve essere stata una sua personale riserva di caccia. Donald Trump, biondo, bianco, protestante ama tanto la famiglia da averne fatte ben tre, con donne di vistosa bellezza bionda. Lui incarna la rivincita wasp (acronimo per white anglo saxon protestants, protestanti anglo sassoni bianchi) su quei quattro meticci che hanno abitato alla Casa Bianca per otto anni.
Ricordo una frase della uscente First Lady, Michelle Obama, durante la prima campagna elettorale del marito: “Se riusciamo a portare i neri alle urne, cambiamo la storia dell’America”. Sono riusciti a portarli alle urne un paio di volte, quando si è votato per eleggere il presidente.  Oggi si può parafrasare la frase di Lady Michelle dicendo che per vincere la presidenza e dunque fare la storia, bisogna riuscire a portare la gente alle urne.
Dalle cronache apprendo che Trump è riuscito a conquistare gli stati in bilico della sconfinata prateria, oltre a quelli tradizionalmente democratici, lontani dalle metropoli della costa est e ovest, con il voto di un’ampia fetta della classe media bianca. Gli uomini delle fabbriche, i colletti blu, gli scontenti, i dimenticati, gli arrabbiati, e gli uomini affascinati dalle sue volgari battutacce sulle donne.  Quelli definiti poveracci da Hillary, con l’orgoglio dei prestigiosi titoli accademici suoi e del presidente in uscita, ma priva di una visione chiara della più ampia, complessa e articolata società americana. Le teste si contano, non si pesano, cara Hillary!
 Lui, invece, straricco tycoon proveniente dal settore immobiliare, parte egli stesso di quell’establishment economico e finanziario che ha mandato all’altro paese con tanta disinvoltura, esperto e scaltro comunicatore, ha parlato una lingua comprensibile a tutti, ha stracciato tutti i luoghi comuni del politically correct, definendo Hillary crooked/bugiarda, imbrogliona. Le classi medie bianche della vasta prateria, impoverite dalla globalizzazione, si sono sentite trascurate dal governo. Questi dimenticati hanno trovato la rivincita in uno che ha espresso rabbia, delusione ed attese frustrate, e egli hanno dato fiducia, credendo alle sue promesse elettorali. Gente delle fabbriche, che lavora 12 ore al giorno, per paghe misere ha avuto dal rosso/biondo Donald una speranza, una promessa. “Voi avete perso il lavoro. Cosa altro potete perdere? Io vi restituirò le fabbriche.”
Per quanto sopra mi sembra doveroso ricordare che il presidente Obama ha avuto la maggioranza nei due rami del parlamento solo nei primi due anni di mandato; il congresso è stato a maggioranza repubblicana negli ultimi quattro anni, e negli ultimi due anche il senato ha perso la maggioranza democratica.
Anche D. Trump scrive la sua pagina di storia. Riporta l’America alle origini wasp, rigorosamente bianche, vuole alzare un muro al confine col Messico per impedire l’immigrazione dai paesi del sud del continente, controllare i musulmani, rinforzare la sicurezza, mettere dazi altissimi sulle importazioni dalla Cina, abolire l’Obamacare che ha dato l’assicurazione malattia a 25 milioni di americani e rendere illegale l’aborto.  Con e per i lavoratori bianchi e protestanti pensa di raddoppiare la crescita del PIL   abbassando le tasse ai ricchi, che così creeranno tanti bei posti di lavoro.
Addio, Presidente Obama, sofisticato ed elegante intellettuale di Harvard. Per vederti ancora dovremo percorrere i prati di qualche costosissima università d’élite. E addio Hillary Rodham, brillante avvocato da giovane, complimenti per questo. Ma ti sei presentata in politica usando il cognome di tuo marito come una stampella su cui appoggiarti, questo non mi è mai piaciuto, il cognome del marito di Angela Merkel non lo sa nessuno. Hai suggerito alle donne una cosa sola: azzeccare il marito a vent’anni.
Benvenuto, Presidente Donald Trump, tycoon populista, omofobo, sessista e bravo ad eludere il fisco. Fra quattro anni si vota ancora.
Per concludere, ritorno alle manifestazioni anti Trump che si stanno svolgendo in America, ci saranno anche in Europa ed in Italia, prima o poi, e gli americani non vengano a dirci che siamo antiamericani. No, saranno contro il volgare maschilismo, le chiusure, la faciloneria populista di un riccone e i valori che non possiamo condividere. Non contro l’America. 
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L’Aquila, 11 novembre 2016
                                      








 LE COMPLESSITA DELLA POLITICA
ALLORA, LEGGENDO LE BIOGRAFIE DI Hillary Clinton  e di Donald Trump, emerge una grossa differenza  fra quello che sono e quello che è apparso.
Hillary proviene da una modesta famiglia della middle class e cresce all’università, uno degli avvocati più brillanti d’America, con le sue forze. Lui, invece, eredita un patrimonio dal padre immobiliarista e vive in mezzo ai lussi, nei grattacieli di Manhattan, nelle case da gioco del Nevada, con tutte i privilegi ed i passatempi possibili per uno come lui. E poi, in tempi recenti, durante la campagna che lo ha portato alla Casa Bianca, le due realtà vissute si sono rovesciate.
 Lei è diventata la rappresentante dell’élite di Washington, e lui il portavoce dei poveracci, a cui ha promesso di restituire le fabbriche, facendoli sognare in grande, di proteggerli dal terrorismo, di limitare l’immigrazione dei musulmani, soprattutto, e di abbassare le tasse. Ai ricchi. Insomma c’è una differenza forte fra ciò che fu, e ciò che è stato percepito dai votanti.   conciliazione nazionale.


Lucia Annunziata
Una sola sicurezza esiste però fin da ora. La fuoriuscita del consenso dai partiti tradizionali è un fenomeno già in corso nei vari paesi europei, compreso l'Italia, ma il voto americano vi inserisce un segno in più: la vittoria di Trump è la prima affermazione di un movimento antisistema che porta un suo leader al vertice. È un voto che istituzionalizza nel punto più alto del sistema il rifiuto del sistema stesso.
o    In questo senso il voto americano legittima e tracima le stesse istanze in movimento in vari paesi - Europa e Italia incluse. Questa legittimazione sarà la singola più importante influenza che gli Stati Uniti di Trump eserciteranno sul resto del mondo negli anni a venire.
Commento252
 
L'America di cui prende la guida il presidente Donald Trump è un paese con una mediocre crescita economica, un accresciuto livello di diseguaglianza sociale e un lento ma costante declino nella creazione di nuovi lavori. Prima di infilarsi nell'emozione dello scontro politico, prima di parlare della fine del mondo a causa dell'elezione di Trump, vorrei portare l'attenzione su alcuni dati fondamentali della economia negli Stati Uniti.
Nonostante la ripresa economica, negli Usa il reddito medio delle famiglie che pure è aumentato del 5.2 per cento tra il 2014 e il 2015, rimane sotto i livelli pre-crisi. Contemporaneamente il livello di diseguaglianza sociale è cresciuto: fra il 1980 e oggi la ricchezza detenuta dall'1 per cento della popolazione è salito dal 10 al 18 per cento.
Dato che fa meritare agli Stati Uniti il primo posto nella scala della diseguaglianza fra i paesi ad alto reddito. Che questi numeri abbiano alimentato sfiducia nella competenza e nell'onestà della classe dirigente, rabbia nei confronti delle banche, disprezzo per l'incestuoso rapporto fra politici, intellettuali, e corporation, non provoca nessuna meraviglia.
Quello che è rilevante è che questo scontento si sia diretto verso il più irregolare dei candidati in campo. Il consenso di Donald Trump è stato ottenuto soprattutto negli stati industriali, e la sua vittoria va riconosciuta come fortemente radicata in questo scontento del mondo del lavoro, del declino della classe media. Ulteriore prova di questo legame? Se si guarda alla mappa elettorale americana, fa notare in queste ore il celebre sito di analisi politica Fivethirtyeight, fondato da Nate Silver, la lista degli stati dove Trump ha vinto è perfettamente sovrapponibile con quella identificata dall'economista del Mit David Autor come la mappa degli stati dove maggiore è stato l'impatto delle importazioni cinesi - impatto stimato nella perdita di 2 milioni di lavoro tra il 1999 e il 2011.
 

 



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