LA MOSTRA AL RIDOTTO DEL TEATRO COMUNALE SU "ONDINA VALLA"

 

 

 





  Lodevole, la iniziativa presso il Ridotto del Teatro comunale, di una mostra sulla prima atleta italiana olimpionica a Berlino 1936, Ondina Valla, come noto di nascita felsinea cento anni fa, ma aquilana di adozione, dagli anni’40 del secolo scorso.

La kermesse, va a bissare, con rinnovati motivi di attrazione, non solo per il pubblico sportivo, per  quantità e qualità di cimeli, foto, documenti d’epoca, relativi a questo personaggio, quanto andato in scena nel 2008, ai saloni della Carispaq., sotto i Portici.

  Tanto in prima esposizione che in attualissima occasione (ad ’80 anni dall’evento a cinque cerchi), potevano esserci contestualizzazioni della Valla, nello sport locale; la qualcosa, occorrente, per non slegare l’atleta dalla memoria collettiva, e, di qui, servire, i contributi di quanti tentano di riannodare, le trame di un discorso sportivo aquilano.

  Opzioni di rassegna su di un tema libero, perciò…, liberissime, si intenda, e, sommessamente, ne prendiamo atto, tuttavia, ci sia consentito di dire che il tempo della ricostruzione, se è collettiva, come più volte sbandierato dal 2009, pure, passerebbe per sinergie morali ad ampio raggio, senza autoreferenzialismi e/o pregiudiziali ideologiche, che talora si ravvisano nella vita civica.

  Scusandoci, per l’ardire ed omissioni eventuali, interveniamo per compendiare il rapporto fra la grande olimpionica e la città che l’accolse. All’atto della sua discesa in terra abruzzese, Ondina Valla, per accompagnare il marito, il dottor Gugliemo De Lucchi, medico al “San Salvatore”, poi, direttore di locale clinica privata per sportivi, dunque, assommando personalmente un palmares agonistico, fatto di medaglia d’oro berlinese sugli 80 metri ad ostacoli, primato italico del salto in alto a 1.45 mt., nel 1937, ebbene, va a trovare un’ambientazione sportiva di eccellenza. L’Aquila, è fra le capitali agonistiche del paese, per polifunzionalità dello stadio monumentale “XXVIII Ottobre” ed imprese in discipline individuali e di squadra, si pensi al tricolore di atletica leggera di Baglioni nel 1924 a Trieste, all’ascesa dell’AS.L’Aquila in serie B del calcio; soprattutto, un movimento di praticanti/e vasto numericamente, al di là degli aspetti di avanzamento di status sociale, che fare il rugby o la pallacanestro, piuttosto che il ciclismo, poteva significare, in quegli anni autarchici e di una seconda guerra mondiale, dal carico tremendo di patimenti per la gente aquilana.

  Logico che i gerenti lo sport cittadino, non si facessero sfuggire, la possibilità di carpire i servigi di un’atleta di prestigio, per dare ulteriore spessore d’immagine all’opzione agonistica del più generale progetto della Grande Aquila, vieppiù, per conferire smalto alle attività locali della disciplina regina per antonomasia. Nell’atletica leggera aquilana, i risultati, restavano soddisfacenti per effetto delle prestazioni di altro ostacolista ai Giochi di Berlino (per inciso, fra i vincenti dell’undici azzurro al calcio olimpico, ci fu Annibale Frossi, che lasciò il rossoblù aquilano nell’estate di quell’anno, per l’As.Ambrosiana-Inter), quell’Emilio Mori, pistoiese e guffista, che insieme al milanese Leoni, venne per rafforzare la locale leva, sulla pista a carboncino nello stadio comunale, dei Baglioni, Passacantando, Tiboni, Properzi, e, il velocismo femminile delle Cellammare, Laglia, Agnelli, Ferri.  Meno vigore aveva l’atletica pesante, ferma a delle estemporaneità, sicchè Ondina Valla, da campionessa di razza, si estrinsecò, non a caso in lancio del martello, conseguendo il primato abruzzese nel 1950.

  Ritiratasi dalla carriera agonistica, Ondina Valla svolse un ruolo dirigente, nel promozionamento sociale dello sport nel capoluogo abruzzese. Fu membro del Panathlon aquilano, assieme ai nomi che avevano riassunto lo sport di mezzo secolo alle falde del Gran Sasso, quali Fattori, Carlei, Mori, Mancini, Bruno, Capranica, in grado di realizzare virtuose sinergie col canale politico, affinché il capoluogo abruzzese, divenisse un ridotto di avanguardia, per le Olimpiadi di Roma nel 1960. Fu un traguardo, importante socialmente, per L’Aquila, e, tale, da valorizzare come punto di aggregazione, il ristrutturato stadio ex “XXVIII Ottobre”, nonché da far riscattare a livello della politica sportiva regionale, la perdita delle sede abruzzese Fidal., andata a fine anni’40, in quel di Sulmona e poi alla Pescara, avente le corsie in tartan all’”Adriatico”.

   Il fatto è che per avere la seconda donna italiana  sul più alto podio olimpico, bisogna aspettare, Mosca nel 1980, ovvero, la già detentrice del record mondiale nel 1978 di salto in alto  a 2,01, Sara Simeoni, da Rivoli Veronese (famosa per la battaglia napoleonica del 1797), e, inevitabilmente, trasaliva un parallelismo con la leggenda di Ondina.  C’è stato un incontro memorabile fra la Valla e la Simeoni, l’una e l’altra, nella Hall of Fame  della loro disciplina, del resto, in tempi diversi primatisti di specialità ed insignite di massime onorificenze della stessa Repubblica italiana, proprio, all’atto del trionfo olimpico della veronese, allenata dal marito Erminio Azzaro, e, ad occasionarlo”La Gazzetta dello Sport”. Valga dire che, la campionessa veronese e donna simbolo dello sport nazionale al 100’del CONI., ha avuto modo di dare il suo apporto morale alla ricostruzione sociale e sportiva del capoluogo abruzzese post sisma del 2009,  facendo da testimonials con campioni dello sport italico dal “signore degli anelli”Yuri Chechi al re del tennis Adriano Panatta, per le rassegne aquilane  dei Giochi sportivi studenteschi, quindi, ha avuto modo di visitare costei i luoghi della città  ospitante la sua precorritrice atleta olimpica.

  Ondina Valla, suo malgrado, era stata assisa sulla stampa, perché nel 1978, vittima di un furto nella sua abitazione privata a L’Aquila, che le tolse la medaglia d’oro berlinese. Ma, grazie agli sforzi del Panathlon aquilano e del segretario Coni., l’avezzanese Mario Pescante, nel 1984 alla vigilia dei Giochi di Los Angeles, il presidente della Fidal., Primo Nebiolo, fece dono alla grande atleta, di una riproduzione del prestigiosissimo cimelio olimpico.

  Alla  scomparsa nell’ottobre 2006, di Ondina Valla, il riscontro localistico, al di là della mostra  in Carispaq., ribadiamo, non fu all’altezza, se si pensa alle rassegne fotografiche e dibattiti della Bologna, patria natale dell’atleta. La città che accolse simile medagliata, dedicò alla sua memoria, le vasche olimpiche di viale Ovidio.

  Era la riprova di superficialità nel rapporto fra sport e politica nell’Aquilano, solo per risolvere, appunto, la questione della intitolazione della piscina comunale, al gerarca Adelchi Serena, a fine anni’90, quando correttamente, in una politica di richiamo alla tradizione sportiva locale, si doveva dedicare alla Valla, uno degli auspicati campi di atletica nel grande comune , e, così dare un luogo di riferimento simbolico, ai giovani/e praticanti (ve ne sono ancora, fra non poche difficoltà) della disciplina regina degli sports, avente necessità di numi tutelari, come la prima donna italiana olimpionica.


- di Enrico Cavalli -



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