Sono trascorsi 48 anni dalla guerra del capoluogo che mise a ferro e fuoco L'Aquila

 

 

 

Sono trascorsi 48 anni dai moti che sconvolsero L'Aquila per la difesa del titolo di capoluogo. Tre giorni di disordini, 26, 27 e 28 febbraio 1971, in cui la città fu messa a ferro e fuoco dai suoi stessi abitanti, con le sedi della Democrazia cristiana e del Partito comunista assaltate, le case dei maggiori esponenti politici prese d'assalto, una dura repressione da parte della polizia, con feriti e arresti.
La lettura dello statuto della neonata Regione Abruzzo da parte del primo presidente, Emilio Mattucci , scatenò la protesta che si allargò a macchia d’olio in città e nelle frazioni.
Un testo di legge messo a punto e approvato dopo frenetiche consultazioni che duravano da mesi, in un clima da guerra civile, per centrare un compromesso storico. Quello di lasciare all'Aquila, la città del Duecento, storia e cultura, il titolo di capoluogo, e di dare a Pescara, la città del Novecento, economia e progresso, un riconoscimento più sostanziale che formale: assessorati di peso, sedi regionali e una sorta di pari dignità. Il compromesso, la spartizione, fu visto nel capoluogo come una mezza sconfitta e in riva all'Adriatico come una mezza vittoria: insomma, invece di accontentare, scontentò un po' tutti. E se i moti di Pescara per avere il capoluogo anche in via ufficiale c'erano già stati, nell'estate 1970, con l'assalto alla Standa, quelli dell'Aquila per difenderlo cominciarono la sera stessa di quella lettura di Mattucci. Secondo alcune ricostruzioni, tutto nacque per un errore: Mattucci lesse "il Consiglio e la Giunta regionali si riuniscono a L'Aquila e a Pescara", ma si sbagliò: quella "e" doveva essere una "o", perché nel testo dello statuto si era usata la disgiunzione e non la congiunzione, forse per rendere il quadro ancora più nebuloso. La correzione gridata tre volte "O! O! O!" da parte del consigliere Francesco Benucci funse da detonatore per una protesta esplosiva che cominciò quella sera stessa, con un lancio di monetine da parte del folto pubblico aquilano presente nella sala dove si tenevano le prime riunioni, quella del Consiglio provinciale che si trovava nella prefettura poi distrutta dal sisma del 6 aprile 2009. I moti proseguirono per altri due giorni.



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