Les ritals: dispregiativo dell’emigrazione italiana in Belgio negli anni '50

 

 

di Emanuela Medoro

Applauso finale prolungato e intenso, da parte di un pubblico numeroso e partecipe, per Les Ritals, la sera del 25 marzo 2017, alla Sala Sinopoli della Città della Musica, Roma.

 

L’esecuzione di questo originale testo, Oratorio in memoria delle vittime di Marcinelle, per soli, recitanti, pianoforte, coro e orchestra è stata una sentita celebrazione, un ricordo per l’Europa di ieri e una speranza per quella di domani, nell’anniversario della firma del trattato di Roma che diede inizio alla nostra storia di oggi. Particolarmente sentito l’applauso dopo la chiusura del concerto con l’Inno alla Gioia. Veramente consolante.

Che significa la parola Les Ritals? È un epiteto dispregiativo usato in Belgio per i nostri emigrati negli anni cinquanta. L’emigrazione italiana del secondo dopo guerra in Belgio fu voluta dallo stato che con un trattato si impegnò a mandare uomini giovani in Belgio in cambio di carbone a buon mercato. In questo caso la politica economica dello stato toccò in maniera immediata e diretta la vita di persone e di intere famiglia. La macro storia degli stati e la micro storia degli emigrati e delle loro famiglie si intrecciarono a scrivere un capitolo della nostra storia davvero unico.

Ecco le due facce della medaglia, da un lato l’origine della Comunità del Carbone e dell’Acciaio, embrione del trattato di Roma del 1957, e dall’altro emigrazione da tutta Italia, numerosissimi gli abruzzesi. Les Ritals erano uomini che, chiusi in ascensori-gabbie, scendevano centinaia di metri sotto il suolo per strappare carbone dalle viscere della terra. Era un lavoro umiliante, estenuante, dannosissimo per la salute, fatto allo scopo di tirare fuori il carbone necessario per le attività economiche della rinascita dell’Italia, completamente distrutta dalla guerra.

Dopo mezzo secolo la parola Les Ritals è il titolo di un oratorio sinfonico che fonde nelle parole e nella musica questa complessa vicenda. Il testo è stato scritto da Maria Mencarelli, costruito con lettere e diari dei minatori italiani, raccolti con ricerche laboriose e appassionate. Questo testo ci fa sentire la voce degli emigrati e delle loro famiglie, voci di dolore e di speranza. Cito uno dei passi più struggenti: “Oggi compio 12 anni. Non andrò più a scuola. E’ il mio primo giorno di miniera…Siamo montati nella gabbia sopra il pozzo, l’ascensore è partito di colpo, pensavo precipitasse... ora sono un Galibot, un operaio giovane…”

La musica ancorata al testo di M. Mencarelli da Luciano Bellini usa l’orchestra ed il coro per la grande storia, ma emergono strumenti popolari come l’organetto e il tamburello per l‘aspetto più individuale e popolare della vicenda. Una melodia commovente e memorabile ritorna come filo conduttore della musica che scorre dal pianissimo triste al prolungato urlo lacerante del dolore, coinvolgendo l’attenzione, il cuore e la sensibilità degli spettatori che, anche se ignari di tutte le vicende del passato, sentono emozioni e ricordi, pensieri e riflessioni.

L’Oratorio si chiude con una voce recitante femminile che si rivolge a Aylan, il bambino morto su una spiaggia della Turchia, fuggito dal suo paese con la speranza di vivere una vita normale in Europa. “Sarai tu il nostro figlio prediletto, Aylan. Noi che fummo migranti chiederemo al mare di offrirti le sue perle… Noi che abbiamo esplorato il ventre oscuro della terra verremo a ripescarti per correrti incontro…E non è solo sogno, se la memoria ci sostiene nel nostro andare…Europa.

Il testo termina con la parola Europa, dal dolore dell’emigrazione e della tragedia di Marcinelle, dopo mezzo secolo nasce la speranza di un mondo migliore, unito, accogliente e solidale.

L'Oratorio è stato eseguito dall’orchestra e coro del Conservatorio “Alfredo Casella” dell’Aquila, che con questa complessa produzione partecipò alle celebrazioni dell’anniversario della tragedia di Marcinelle nel 2016 a Charleroi, quando persero la vita tantissimi abruzzesi. Un collegamento ideale, dunque, nell’ arco di mezzo secolo, muove da una tragedia immane verso la bellezza eterna e consolatoria dell’arte, delle parole e della musica.



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