Carlo De Matteis: Al Sindaco che verrà toccherà l’eredità di rimediare a tanti errori...

 



E siamo all’ottavo anniversario dell’evento che ha stravolto la nostra vita e distrutto quella di tanti altri, ben oltre il numero di coloro che sono restati sotto le macerie (chi si è suicidato, chi si è lasciato andare, chi non si è più curato...), ma di essi, a distanza di otto anni, non c’è ancora un luogo, un segno che li ricordi.
Si parla di ricostruzione, di cosa è stato fatto e cosa c’è ancora da fare, di spopolamento, di nuove emergenze per il ripetersi delle scosse sismiche e di tante altre cose ma non dei morti, presenti solo nel ricordo dei familiari.
“E dei caduti che facciamo? Perché sono morti?”, si chiede il personaggio protagonista del romanzo La casa in collina di Pavese, alla fine della guerra partigiana: è una frase che potremmo ripetere anche noi: che facciamo dei morti, scomparsi in una notte di guerra?
Ben tre anni fa, lamentando l’inerzia dell’amministrazione comunale nel realizzare una qualche progetto a ricordo dell’evento e delle vittime, riportavo l’annuncio, da essa dato, dell’imminente creazione, previo concorso pubblico, di un Parco della memoria in un luogo della città, e auspicavo che non dovessero trascorrere altri 5 anni per il suo compimento.
E invece... ci siamo quasi: sono trascorsi quattro anni e nessun progetto è stato realizzato.
Con questa ennesima promessa non mantenuta, questa amministrazione chiude ingloriosamente il suo mandato, durante il quale si è mostrata del tutto impari al pur gravoso compito che aveva di fronte.
Al di là dei singoli problemi legati alla ricostruzione, è mancata un’idea complessiva di città, una visione chiara del suo futuro, dopo promesse di coinvolgimento di illustri architetti e urbanisti (e qualcuno aveva dato tempestivamente la sua disponibilità, ma è stato ignorato), si è ripiegato su una gestione domestica, sul rammendo caso per caso, riducendo a routine una situazione eccezionale.
Quale sarà il destino del centro storico? Esiste un piano commerciale per le zone centrali, anzitutto per l’asse del corso e delle strade adiacenti? Sarà abbandonato al libero mercato? Un gioiello di arredo liberty come il caffè Eden, riaprirà? E la Biblioteca provinciale? E lo storico mercato quando tornerà nella piazza omonima?
La città si sta riedificando lentamente, a chiazze, ma in gran parte nell’ambito della proprietà privata, gli edifici pubblici restano fermi e comunque ben lontani dal loro ripristino, e il centro storico è ancora una necropoli.
Si è persa l’occasione unica di procedere all’abbattimento di edifici sorti a ridosso delle mura storiche e riqualificare così il paesaggio urbano: l’amministrazione aveva tutti i poteri per intervenire, quale occasione più giustificabile dello stato di calamità pubblica in cui si trovava la città: per dirla con l’antico libro ebraico, “se non ora, quando?”.
Per converso si è incrementato lo spopolamento con disposizioni scellerate varate subito dopo il sisma, non dall’amministrazione, ma da essa colpevolmente accettate senza reagire.
Ma ormai è inutile piangere sul latte versato: questa amministrazione scade senza rimpianti e alla nuova e al sindaco che la guiderà toccherà l’eredità di rimediare a tanti errori e anche di compiere scelte decisive per il futuro della città ma, prima di ogni atto, dovrà sentire il dovere di dedicare uno spazio o una costruzione in memoria di quanti non sono più tra noi da quell’infausto giorno.
Carlo De Matteis
(già dell’Università dell’Aquila)

 



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