La storia della lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, vista da Fausto Tatone

 

 

 



Ricordo ancora quando ero piccolo: passavo i 4 mesi estivi a Santo Stefano di Sessanio. Mio padre e mio madre hanno li le loro origini.

C’erano dei giorni di festa, tutti partecipavano alla raccolta delle lenticchie. Quelle macchine enormi riuscivano a fare tutto in un battibaleno , erano le prime mietitrebbie. Poi si andava tutti all’aia per l’essiccatura e la pulizia, tassativamente riservata alle donne anziane che mettevano il tutto sopravento per togliere le prime foglie già secche, poi a mano, con il setaccio e un’infinita pazienza, toglievano gli ultimi sassolini. C’era sempre il sole e tutto il paese era riunito , con i turisti, in una “tradizione” che sembrava destinata a durare all’infinito.

Arrivava,poi , il primo sabato di settembre. La Festa. Tutti a cucinare , ad aiutare le anziane in quei mille piccoli gesti inimitabili e a cercare di apprendere le ricette più antiche. A noi, piccolini, toccava sempre ripulire i tavoli, ma eravamo contenti così, eravamo dei piccoli agricoltori che crescevano ignari di non poter mai coltivare la propria terra.

Alcuni coppi , proprietà di famiglia, sono ancora lì, affidati a pazienti, bravi e inossidabili coltivatori, ma da allora le cose sono cambiate, tanto, troppo.

La mia famiglia riceveva in cambio dell'usufrutto alcuni sacchi di quel prezioso legume che nel tempo sono diventati uno, poi un sacchetto, poi un sacchettino, poi…. due manciate sufficienti a malapena per passare un degno Natale in famiglia.

Questa è la storia della lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, vista da me, ignaro per tanto tempo di c’ho che stava accadendo a quella meravigliosa Festa.

Una storia simile a tante altre che ha caratterizzato l’infanzia ma anche l’economia di molti.

Oggi di tutto questo c’è rimasto poco, tutto viene consumato nel giro di 48 ore da migliaia di persone, mentre chi ci ha lavorato per mesi, anni, secoli, non viene considerato da nessuno.

L’urlo raccolto in questi giorni di Sagra , una tra le piu importanti della nostra zona, non puo passare inosservato.
I soliti balzelli di una legge applicata male e vissuta peggio da chi è demandato al suo rispetto, hanno fatto un altro disastro.

Una sconfinata prateria, lasciata alla mercé di una natura che non sa assolutamente trovare da sola l’equilibrio necessario, un equilibrio possibile ma dimenticato in nome della follia.

Quelle praterie di cui tutti si vantano perche patrimonio europeo ma che vengono considerate come aree limitrofe al “cuore” , che ancora non ho ben capito dove si trovi, hanno bisogno di essere protette, OGGI, ORA, SUBITO.

E il pericolo non è certo l’Uomo che vorrebbe vederle, come me, tornare allo splendore di 20 anni fa.

L'incuria e l'arroganza stanno facendo più danni dello stolto cemento.


 



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