Università - T.a.r. e…dintorni

 

 

 

- di Giuseppe Lalli -

Mi sento di condividere pienamente le osservazioni critiche di 'Azione Universitaria" sui temi evocati dalla sentenza del Tribunale Amministrativo del Lazio, che, accogliendo  il ricorso di un gruppo di studenti, ha dichiarato illegittimo il provvedimento che introduceva nella Università Statale di Milano il numero programmato anche nelle iscrizioni ai corsi di laurea nelle materie umanistiche.
La prima considerazione che si impone è che la congerie di leggi in Italia dà spesso vita ad un quadro normativo confuso e incoerente che dà adito alle più svariate interpretazioni. Ci sono leggi nuove che confliggono con norme vecchie e mai abrogate e questo rende arduo il compito sia di chi queste norme è chiamato a metterle in pratica, sia dei magistrati chiamati a decidere sul merito di esse.
La vera grande riforma istituzionale dovrebbe riguardare non solo la Pubblica Amministrazione, in maniera da renderla veloce, efficiente e vicina alle esigenze del cittadino ( si pensi a quanto male arreca all'economia del Paese la lentezza della giustizia civile ), ma ancor più il disboscamento normativo, facendo sì che in ogni materia rimanessero in piedi poche e chiare leggi . Sarebbe una vera rivoluzione.
La seconda considerazione da fare è che il il mondo universitario italiano dovrebbe seriamente porsi il problema del rapporto strutturale con il mondo del lavoro e della produzione. Si tratta in primo luogo, da parte degli atenei pubblici e privati, di realizzare tra di loro una rete di comunicazione e di interazione. Si tratta cioè, come suol dirsi, di "fare sistema". Il numero programmato dei laureati da solo certo non basta ma è condizione irrinunciabile per dare un adeguato sbocco professionale ai laureati e aumentare la qualità della formazione e la correlata priorità dei finanziamenti pubblici.
C'è da osservare infine che, mentre non si mette in discussione il cosiddetto "numero chiuso" nel reclutamento delle matricole nelle discipline scientifiche, si grida allo scandalo quando la selezione riguarda le materie umanistiche.
E perché mai ? Forse che un medico  o un ingegnere deve occupare un posto adeguato al suo titolo, mentre per  letterato o un filosofo è normale arrangiarsi a fare un lavoro per il quale non è richiesta né  una laurea e nemmeno un diploma? 
O vogliamo sostenere che le lauree umanistiche sono lauree di seconda serie, che non servono a niente ?
Insomma, una sana e seria selezione si impone a tutti i livelli e a livello di studi universitari non è più rinviabile
La sente del T.a.r. del Lazio, sotto questo aspetto, non è certo incoraggiante.



 



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