Il viaggio di un verso dannunziano nell’Esercito Italiano tra poesia, storia e leggenda

 

- Gianfranco Giustizieri -

Il 2° Raduno del Battaglione Alpini «L’Aquila» che avverrà tra pochi giorni nella nostra città, rinnova il ricordo di un percorso entusiasmante fatto l’anno scorso, in occasione del 1° Raduno e che mi portò a tracciare tra pagine di documenti d’archivio, poesie dannunziane e leggende, un viaggio che ebbe la sua meta nel libro GLI ALPINI, D’ANNUNZIO, UN MOTTO. Storia, poesia, leggenda in terra d’Abruzzo e anche oltre.
   Non mancano le pubblicazioni sul 9° Reggimento Alpini e sul suo Battaglione «L’Aquila», con pagine di storia e di gloria in ogni tempo di guerra e di pace. Chiaro il nome del Battaglione, in origine «Aquila», formatosi nel 1935 e voluto fortemente dall’avvocato aquilano Michele Jacobucci,  coadiuvato da Angelo Manaresi, allora sottosegretario presso il Ministero della Guerra, in onore alla forte terra d’Abruzzo, alla sua gente e al suo capoluogo.
   Poi a rappresentare il Battaglione lo stemma storico, modificato negli anni, con il sintagma “D’AQUILA PENNE, UGNE DI LEONESSA”, secondo diverse forme di scrittura, divenuto distintivo di fierezza, di orgoglio, di sofferenza, di sangue, simbolo e parole di appartenenza con cui si tramandano storie eroiche individuali e collettive.  Molto più tardi, il D.P.R./10 giugno 1977 fissò in modo inequivocabile “D’AQUILA PENNE, UGNE DI LEONESSA” nella trascrizione definitiva nello stemma araldico.
   La tradizione o direi la leggenda affida l’origine come un dono dannunziano del Motto dando alle singole parole un significato storico e linguistico di appartenenza geografica al Battaglione secondo i distretti che fornivano elementi ai diversi Reggimenti Alpini di cui «L’Aquila» fece parte fino al definitivo 9°: L’Aquila, Penne, Orsogna e Leonessa.
   Ma nessun documento dell’Archivio Storico Militare comprova questo lascito di d’Annunzio, solo la giusta volontà, anonima, di metaforizzare ed esaltare comuni origini di appartenenza. Invece, attraverso i documenti e l’opera del Vate si è delineato un lungo percorso che partì nel lontano 1912 quando sul «Corriere della Sera», esattamente il 14 gennaio, il nazionalista d’Annunzio si schierò per la campagna in Libia e divenne il più prolifico fautore e cantore della guerra d’Africa. Nell’occasione pubblicò nove canzoni in terzina dantesca, ricche di richiami patriottici, profezie, evocazioni, allusioni misteriose e tra esse L’ultima Canzone, una lirica sentita dal poeta come una creatura viva pronta alla battaglia, armata con i simboli della fierezza e dell’ardimento: «d’aquila penne, ugne di leonessa». È il verso rivelatore, apparso per la prima volta e successivamente in Merope, uno dei sette libri delle Laudi del cielo del mare della terra degli eroi.
   Poi il verso affrontò simbolicamente numerose trascrizioni da parte degli ambienti militari entusiasti del poeta, approdando nel 1929 nella fiancata del cacciatorpediniere «Leone Pancaldo» e successivamente nel Battaglione «L’Aquila».
   Rimane il mistero del nome, di colui  (forse il sospetto, non convalidato dai documenti) che ha adottato e dato voce al verso dannunziano nei diversi Corpi d’armata, di quel poeta osannato, amato, studiato, interpretato, osteggiato, motteggiato, deriso, ma sempre imitato.


                                                      


   



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