Tristi ricordi e altro - di Gianfranco Giustizieri

Ora insolita per un ritorno nella città nascosta. Domenica mattina ore 9, dopo una temporanea assenza il desiderio di rivedere L’Aquila nelle parti che considero più intime dove il ricordo non si cancella, di passeggiare nella solitudine, di constatare lo stato dell’arte. Spesso lo faccio: è un modo per non dimenticare!
   Questa volta decido senza esitazione: il centro, quello spazio voluminoso racchiuso tra una  Piazza del Mercato, senza colori né odori né sapori, il Vicolaccio (lo chiamo ancora così), via dell’Annunziata, per risalire fino a Piazza Palazzo ed inoltrarmi nelle vie adiacenti che da un lato si ricongiungono al Duomo e dall’altro a Piazza Santa Maria Paganica.
   È tutto aperto nessuna transenna o cartelli da impedire i passaggi. L’aria asprigna e polverosa invade le narici, la luce è ancora offuscata per un sole che fatica a uscire dalla coltre nebulosa, pochissime persone in giro, non sono costretto a fermarmi.
   La ricostruzione è evidente, ma enormi buchi arretrano la speranza di tempi veloci. Mi soffermo a lungo secondo il mio io nascosto. Il Vicolaccio: qua e là il nuovo si annuncia, molto da ricostruire di fronte a edifici abbattuti prima effervescenti di vita. L’oratorio San Filippo, già sede della Compagnia «L’Uovo», è lì con le sue transenne e un cartello malinconico segna informazioni ormai non più veritiere. Palazzo Carli è irraggiungibile, paventati crolli hanno imposto la chiusura dei suoi confini, mentre Palazzo Camponeschi, con tutto il suo splendore vetusto, sembra promettere un prossimo brulicare di gente. Via San Martino è davanti ai miei occhi muta e silenziosa, non posso inoltrarmi eppure c’è molto di me, le impalcature impediscono il prolungamento dello sguardo: attende. Piazza Palazzo è come aver subito una difficile operazione a cui deve seguire un lungo periodo di riabilitazione per tornare completamente a sorridere: nuove attività fanno l’occhiolino per prossime aperture, altre hanno già aperto i battenti (scorgo oltre una vetrina, una fila di tavoli dal severo legno che attendono i clienti), l’antica tabaccheria è tornata al suo posto, poi … ciò che più non c’è: in alto la Biblioteca provinciale e le tante ore passate, Palazzo Margherita, i suoi uffici e la sala consiliare che ho ben conosciuto in un tempo determinato, tutto è come dopo …
   Via Patini, via Marrelli, sembrano prepararsi: nuovi colori a chiazze, poi lunghe file di abbandono, ma si lavora! Via Cavour ci sta provando ma stentatamente mentre via degli Scardassieri fa stringere il cuore, le impalcature la stringono quasi a toglierle il respiro, sicuramente se ci si inoltra è difficile camminare, lascio tutto ciò che ormai è solo un ricordo. Dall’altro lato dello spazio voluminoso via Accursio e via Paganica s’inoltrano lassù lassù, lo sguardo corre fino al confine (avevo già visto la casa di Buccio e le altre stradine dove la vita è tornata), dietro c’è la chiesa di Santa Maria Paganica con le sue rovine mentre Palazzo Ardinghelli è quasi pronto a mostrare la sua storia.
   Poi qualcosa che non avrei voluto vedere: un segno di memoria dimenticato, un ricordo avvizzito ma utilizzato … per altri usi.
  Ancora più avanti, il Corso è significativamente animato, bene, inizio a salutare, il piacere di rivedere!

                                                    Gianfranco Giustizieri

 



Condividi

    



Commenta L'Articolo