A proposito della "Grande Aquila" : qualche chiarimento

- di Enrico Cavalli -
 
 
 
È tornata in auge, nelle settimane passate, la vecchia polemica, che per la verità non si è mai spenta, relativa al capoluogo di regione. Incautamente sollevata da due esponenti del Partito Democratico e ripresa da un politico pescarese di Forza Italia, ha tenuto banco per molti giorni sulle pagine della stampa locale.
L'articolo che segue, a firma di Enrico Cavalli, valente storico aquilano, benché risalga al gennaio del 1990, appare, in questi giorni, di straordinaria attualità. Il Prof. Enrico Cavalli è autore di un libro uscito nel 2003 con il titolo "Politica, Territorio ed amministrazione ad Aquila tra le due guerre". Uscirà prossimamente un altro lavoro storiografico sullo stesso tema. Con esso lo storico aquilano intende integrare la precedente ricerca alla luce di un nuovo materiale documentale. Nell'articolo che segue, e ancor più nel libro di imminente pubblicazione, Cavalli fa giustizia di molti luoghi comuni, come quello che una diffusa "vulgata" assegna un ruolo decisivo a Gabriele D'Annunzio (1863-1938) e a Giacomo Acerbo (1888-1969) nella creazione della provincia di Pescara. La ricerca di Cavalli getta altresì una luce demistificante sulle reali motivazioni, politiche e sociali, oltre che riconducibili ad ambizioni personali in seno alla classe dirigente fascista, che presiedettero alla realizzazione del progetto della cosiddetta "Grande Aquila".
È con vivo piacere che ho premesso queste poche parole allo scritto di Enrico Cavalli, studioso rigoroso che sa conferire alle vicende locali un respiro nazionale. (Giuseppe Lalli)

”Il rivoluzionamento amministrativo degli Abruzzi, il 2 gennaio 1927, per effetto della nuova provincia di Pescara ed aggregazione al Lazio, per creare la circoscrizione reatina, dell’ex Circondario di Cittaducale, produceva dei cambiamenti strutturali, che ancora organizzano i processi politici della regionalità abruzzese creata in attuazione costituzionale, nel 1970.
Simili mutamenti, affatto rispondenti, allora, a motivazioni profonde delle popolazioni interessate, e, prevalentemente, operati tramite distacchi di territori dalla provincia aquilana (seconda, per ampiezza solo a quella di Milano), sarebbero da attribuire, per una lettura dominante per lungo tempo, alle manovre di due gerarchi, rispettivamente, l’aprutino Giacomo Acerbo ed il sabino Augusto Potenziani (già Governatore di Roma nel 1925).
A fronte di studi aggiornati su di un fascismo abruzzese assurgibile al potere, per compenetrazioni ai vecchi ceti liberali, la rivalutazione dei documentazione ufficiali d’epoca, evidenzia il ruolo non essenziale dei due sunnominati gerarchi, cioè, della relativa lettura dominante. I cambiamenti amministrativi abruzzesi, sono ascrivibili alla generale revisione delle circoscrizioni del Regno, varata dal regime per ispessire il controllo del paese, come per sedare le lotte nel fascismo provinciale aquilano, tra il sulmonese Alessandro Sardi ed Adelchi Serena, poi, vincitore su base municipalistica, e, quelle più complesse nel fascismo aprutino di Francesco Savini, quindi, con un Giacomo Acerbo, ridimensionato nel governo mussoliniano per l’”affaire Matteotti” del 1924.
Ferma la questione dell’unificazione, da vulgata dannunziana, fra Castellammare Adriatico e Pescara di ante Grande Guerra, la cosiddetta lettura acerbiana dei fatti del 1927, induce a motivi di perplessità che per mancanza di documenti di prima mano, vanno estese alle iniziative di Potenziani, desumibili da un opuscolo provinciale reatino del 1946.
Nella sua rievocazione, in sintesi, Acerbo, ricorda dapprima, di aver ottenuto da Mussolini, nel 1924, l’unione di Pescara e Castellammare Adriatico, dopo, di avere redatto, nel 1926, il rimaneggiamento regionale, così approvato dal governo. In realtà, nonostante la pressione di Acerbo, il ministero dell’Interno, nel 1924, congegnava la aggregazione dei due comuni rivieraschi sotto il nome di Aterno, da assegnare alla provincia di Teramo; Acerbo, ancora, nel 1926 delineava la quarta provincia abruzzese, sotto il nome di Aterno, sottraendo comuni alle province di Teramo e Chieti, questa ultima beneficiata del Sangrino aquilano; tutto ciò, senza recepimenti da parte di un governo, che infatti, il 6 dicembre 1926, ufficiosamente diramò l’elenco delle nuove province regnicole, confermate dal Regio decreto n.1 del 2 gennaio 1927. Questi oggettivi rilievi, palesano la inconsistenza del patrocinio acerbiano sul rivoluzionamento regionale e per ciò stesso, delle ipoteche dannunziane.
Se è vero che il regime fascista, seppe esplicitare un assetto abruzzese, corrispondente all’emergere del nuovo polo pescarese, altrettanto, non gli riuscì di fare accettare alle varie deputazioni provinciali, le risultanze del gennaio 1927. Si esplicitarono reazioni municipalistiche a Chieti e Teramo, ripiegabili sul loro entroterra, maggiormente, ad Aquila, che il 5 settembre 1927, ebbe il grande comune, appunto, in risposta alla perdita dell’ex Circondario di Cittaducale (pro Rieti) e Mandamento di Bussi- Popoli (pro Pescara), da cui il revanscismo degli 8 comuni annessi, non riconoscentesi in una tarda riedificazione, del medievale Comitatus aquilanus.
Dunque, quel disegno amministrativo, per volontà di un regime che in estensione delle prefetture nel Paese, volle tacitare personalismi fra gerarchi, ha inciso oltre il Ventennio. Tra prima e seconda Repubblica, l’Abruzzo dal 1970, passando per i” moti per il capoluogo” , dice di superare il dettato costituzionale degli “Abruzzi” (art.132), da un lato, per via dei provvedimenti regionali sulla Grande Pescara e per L’Aquila (sic dal r.d. n.1891/1939) “capitale” al tempo della ricostruzione post sismi 2009-2016, dall’altro, per ingressi in macro circoscrizioni dell’Italia centrale; in mezzo, i discorsi sui ritorni delle genti Cittaducalesi, nell’area di loro storica gravitazione, nonché, della permanenza o meno delle quattro istituzioni provinciali, tramite unificazioni delle relative territorialità a livello di governo universitario, sanitario, economico ecc.
E’un dato che, quei fatti di novanta anni addietro, appaiono una questione storica da affrontare scevri da impostazioni precostituite, specie, quando non più suffragabili scientificamente.

 



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