Gran Sasso, la montagna sprecata...

- di Stefano Ardito -
 
 
Hanno chiuso il Gran Sasso, e hanno buttato via la chiave. Tra Natale e Capodanno, le montagne d’Europa regalano divertimento a milioni di cittadini, e danno reddito a decine di migliaia di residenti. In Abruzzo succede il contrario. E il massiccio più bello e più alto di tutti sembra un nemico da tenere sotto chiave. E’ una follia, uno spreco, un suicidio.
 
Si capisce, dopo i 39 morti di un anno fa a Rigopiano, che chi amministra abbia paura della neve. Ma la paura per governare il territorio non basta. Sul Gran Sasso pesano una burocrazia lenta e cieca, l’ignoranza di cosa si fa altrove, la mancanza assoluta di fantasia.
 
Certo, non si può fare di ogni erba un fascio. Ogni decisione sbagliata ha la sua storia, le sue carte bollate e le sue firme. Occorre distinguere tra le responsabilità dei Comuni, della Regione, delle tre ex-Province di Teramo, Pescara e L’Aquila, del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, delle società pubbliche proprietarie degli impianti di risalita. 
 
A Campo Imperatore la funivia, di proprietà di una società del Comune dell’Aquila, è regolarmente aperta. Chi dai 2130 metri dell’arrivo vuole salire alla cresta della Portella o al Corno Grande con i ramponi o gli sci può farlo, almeno finché non arriverà un nuovo divieto di attività fuoripista. Lo storico albergo che ha ospitato Mussolini, e prima e dopo di lui migliaia di escursionisti e sciatori, invece è sprangato, senza nemmeno un bar o un gabinetto di emergenza. 
 
Il cantiere della nuova seggiovia delle Fontari funziona, ma i lavori sono iniziati troppo tardi. Sarebbe stato possibile rinviarli di un anno, e tenersi ancora per un inverno il vecchio impianto. Invece si è deciso di tentare, e sembra proprio una decisione sbagliata. Se va bene, seggiovia e piste apriranno e febbraio.
 
Certo, come sappiamo bene, l’inverno non è solo sci di pista. A Campo Imperatore si potrebbero tracciare dei sentieri battuti (in Alto Adige ce ne sono centinaia), o proporre escursioni con piccozza e ramponi ai rifugi condotte dalle guide alpine abruzzesi. L’Osservatorio astronomico è una meta suggestiva. Ma non ci sono iniziative né proposte.  
 
Sul versante di Teramo la situazione è altrettanto deprimente. A Prato Selva, in territorio di Fano Adriano, le seggiovie sono chiuse, i battipista in abbandono, il rifugio alla base degli impianti ha qualche finestra aperta e si riempie di neve. 
 
Ai Prati di Tivo, alla base del Corno Piccolo, la nuova cabinovia, costruita nel 2009 con dimensioni più adatte alla Val Gardena che a una piccola stazione abruzzese, ha costi di gestione troppo alti, e costringe a gare d’appalto estenuanti. 
 
Alla fine, anche stavolta, a gestirla sarà la Gran Sasso Teramano, società pubblica in via di liquidazione. Ma il ritardo è già enorme. Nella scorsa estate, invece che a giugno, l’impianto è partito a fine luglio, dimezzando di fatto la stagione. 
 
Ora, nel momento-clou della stagione invernale, si è appena iniziato a collaudare gli impianti, ma le piste per ora sono chiuse. Senza battitura, la neve di inizio dicembre è stata spazzata via dal vento. La cabinovia dell’Arapietra funziona, ma trasporta solo scialpinisti e alpinisti. Senza nemmeno un bar all’arrivo, che ci vanno a fare i turisti lassù? 
 
Situazione bloccata anche nel “piccolo Tibet” d’Abruzzo, tra Castel del Monte, Santo Stefano di Sessanio e Calascio. La strada del Lago Racollo, ideale per ciaspolatori e fondisti, non viene aperta da tre inverni, e il rifugio accanto al lago ha chiuso. 
 
La strada di Fonte Vetica, cuore di uno splendido comprensorio di scialpinismo e sci nordico, nel 2017 è stata aperta soltanto a metà marzo, e centinaia di appassionati arrivati dall’Itala settentrionale, dalla Svizzera, dalla Germania e dall’Austria hanno portato altrove i loro sci e i loro euro. 
 
Quest’anno, grazie a una convenzione con la Regione Abruzzo, a Castel del Monte è arrivato uno spazzaneve, che però deve prioritariamente pulire le vie del paese e la strada che lo collega a Calascio. La morte delle piste da fondo di Fonte Vetica sarebbe il colpo di grazia per alberghi, agriturismi e bed & breakfast. 
 
“Lo scorso inverno, dopo le nevicate di gennaio, la strada della Vetica è stata chiusa senza motivo per due mesi” commenta Paolo Baldi, titolare del Rifugio della Rocca di Calascio. “Nella nostra zona il turismo invernale, fatto da ciaspole, sci di fondo e scialpinismo esisteva, e invece oggi non c’è più. Lo hanno ammazzato gli amministratori”. 
 
Sulle Alpi, secondo le ultime ricerche, il 50% dei turisti dell’inverno non scia in pista, e oggi regioni e Province autonome investe su ciaspole, passeggiate e fondo, e naturalmente sulla gastronomia e sulla wellness. In Abruzzo, la Regione e i Comuni sembrano avere in mente soltanto lo sci di pista, come sulle Dolomiti di trent’anni fa. 
 
E poi c’è il silenzio assordante del Parco. Certo le strade e la loro pulizia dalla neve non competono all’ente guidato da Tommaso Navarra. Ma se l’area protetta si battesse per la loro apertura, e per garantire ai visitatori la possibilità di arrivare in montagna, forse qualcuno ascolterebbe.  
 
I nuovi Parchi italiani, 26 anni fa, sono nati grazie a una legge che aveva come valore fondante l’ecoturismo. Sul Gran Sasso, come sulla Majella o sulla Laga, per sei mesi all’anno l’ecoturismo si fa con le ciaspole, i ramponi, le pelli di foca, le gite fotografiche in cerca di camosci e di lupi. Senza strade aperte tutto questo non si fa, o si fa poco e male.
 
Negli altri comprensori abruzzesi, dall’Altopiano delle Rocche al Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise, in questi giorni non si trova una camera, e il merito non è solo dello sci da pista. 
 
Al Gran Sasso invece le strade chiuse, la mancanza di iniziative sul territorio, le informazioni inesistenti o sbagliate (oggi si usa il termine fake news) stanno creando il deserto. Perché le amministrazioni locali e il Parco non lo urlano alla politica regionale e nazionale? Che senso ha chiudere a chiave il Gran Sasso?
 



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