Speranze di ricostruzioni oggettive e morali. Camarda: Il “Gafio”

Speranze di ricostruzioni oggettive e morali. Camarda: Il “Gafio” Camarda, naturale presepe che il terremoto ha sconquassato come un plastico nelle mani di un bimbo capriccioso e annoiato. Camarda, luogo di camere dure. Di mista figliolanza etimologica, dal greco-romano “Camara”, a significare volta di ambiente e, per estensione grotta, stanza, camera e longobardo “hard”: duro. Camarda luogo delle volte dure, ovvero delle molteplici grotte, anfratti, antri, spelonche, abitate già nel tempo della presenza longobarda (568-773). Periodo in cui, si annovera la costituzione del Ducato di Spoleto, che estese la sua giurisdizione anche sul territorio aquilano. Luogo duro, per sedimentazione pietrosa e tenero, per la prestevole arrendevolezza del legno costituente il “Gafio” “Jafiu” nel vernacolo locale. Il Gafio o balcone, ballatoio, aggetto, di stretta derivazione longobarda, sia oggettiva che etimologica: “Waifa”, a significare “terra che non appartiene a nessuno” o tratto di terreno che divide due edifici, con assunzione di duplice significato: vicolo, angiporto e ballatoio, balcone, terrazzo minimo, aggetto: che rappresenta la nota peculiare del borgo. Il terremoto ha unito ad un destino solidale il duro e il tenero. L’Assoggettabile vulnerabilità del legno, con la figliolanza magmatica della pietra. La cariata possanza gravosa delle rocce, con la leggerezza arrendevole e deperibile del dominio vitale degli alberi. Il Gafio, segno distintivo del borgo di Camarda, ne ha, da sempre costituito la cifra valenziale. Eterogenee le forme dei sostegni e delle ringhiere. Si annoverano disegni minimalisti, con semplici pioli o tavole inchiodate verticalmente sul pianale e sul parapetto. In alcuni casi v’è ossequio più generoso alla fantasia, tutti accumunati da una soggiacente eleganza e leggerezza. Da esso generazioni umane e la storia, hanno visto passare la storia. Qualche volta sostare e riconoscersi. Dal gafio, forse, si è concessa alla contemplazione “la bella di Camarda”, esponente della sovrana bellezza muliebre del luogo, ossequiata, nel 1857, dai versi di Emidio Cappelli. Versi, ispirati probabilmente a personaggi veri: il taglialegna Nicandro e la dolce Margherita, fanciulla che per la sublime bellezza s’avocò, appunto, l’unanime appellativo di “bella di Camarda”. Storia che dà vita alle angustie di Margherita, per l’abbandono coatto di Nicandro, chiamato all’obbligo dei doveri militari, nella campagna napoleonica di Russia, all’intreccio del dispiacere di Lucia, madre del giovane, e altre vicissitudini di violenza, cui dovrà soccombere Margherita, per mano di Lorenzo, spasimante respinto. La storia ha composizione e epilogo a lieto fine. Pubblicata a Napoli nel 1857, e ristampata a Milano nel 1858, riscosse buon accoglimento dalla critica, compreso il favorevole elogio di Benedetto Croce. Manieri Riccio la definì: “leggiadrissima”; Raffaele De cesare, la dichiarò ”opera bellissima per purezza di forma, d’immagini e reminiscenze dantesche. Il futuro destino testimoniale di una paternità storica è nelle mani dei, non sempre illuminati amministratori del territorio. Le gravi conseguenze che, il paese di Camarda, ha patito con il sisma, potrebbero cancellare questa tipologia di reperto e d’una storia minuta, che è anche a testimoniare la non sempre scontata processione delle sue parentele derivali, con percorsi ignoti agli uomini stessi, dominio del caso, come domi-nio del caso sembrano essere i serpenti migratori delle onde sismiche. Si prenda coscienza che la responsa-bilità, di ogni atto minimo, ogni decisione, quella oggettiva e metaforica, inchiodano o non inchiodano, ed è come mettere, o non mettere in croce, quello che gli uomini rappresentano o hanno rappresentato. Ogni volta che si altera una realtà c'è sempre un conto da pagare, e si concede, a chi ne ha voglia, il potere della fraudolenza revisionistica della storia. Nei casi più perniciosi e abominevoli, con le dovute misure di prospettiva, per esempio, la messa in dubbio dell'olocausto, delle deportazioni, delle purghe staliniane e di tutte le angherie della meschina congerie dei meschini e dei despoti: della scomparsa dei desparesidos, se dai registri della storia scritta dai vincitori, dalla memoria dei perdenti e dai cuori di tutti, s'è fatta sistematica opera di alterazione. La coscienza civile, a volte ha pochi appigli; qualche volta solo riferimenti minimi, disperatamente minimi e perituri. I pletorici ritardi nella ricostruzione delle frazioni del comune di L’Aquila, le intricate e farraginose procedure acuiscono, la sedimentata considerazione che le frazioni hanno, da sempre avuto considerazione da serie B, rispetto alla città, nella operatività sociale. Con l’evento tellurico, per comunanza attribuibile alla insipienza progettuale, si assiste a una sovrapponibile equiparazione delle problematiche ricostruttive simili, a quelle della zona rossa di L’Aquila. Questa coatta vicinanza induca la medesima oculatezza nel restauro. Che i rantoli di storia, affidati, nel caso del Gafio, a materiali peribili, come il legno, non vengano soffocati, per soggiacimento a facilonerie e semplificazioni costruttive, solo funzionali, ma prive di respiro culturale. Perché il Gafio non deve soccombere? Perché non deve essere sostituito, come già nel tempo è stato perpetrato pesantemente con artefatti cementizi assicuranti più consistenza, durata e solidità fisica e psicologica? Forse perché si attesti l’affine peribile trama dei sentimenti umani? Perché si abbia coscienza che un arrogante costruire crea edifici arroganti, per arroganti abitatori. Che alterare la paternità o maternità storica è sempre un delitto. Nelle complesse logiche dei restauri post-sisma, non è prevista nessuna procedura specifica per il recupero e riproposizione, del manufatto “Gafio” Ciò può avere giustificazione, date le molte emergenze artistiche da salvaguardare. Non è pensabile, date le oggettive difficoltà e, generale pochezza di vedute, che si potessero attivare procedure per ognuna di esse. Tutto deve essere ricondotto a visioni generali di recupero di tutte le forme artistiche e peculiarità storiche che il territorio ha espresso nei millenni, avendo rispetto della qualità dell’arte, per ogni tipologia. Per tutte le espressioni dei gafi, non molto differenti per fattura, preservati fino al sisma, il restauro, o ripristino totale, su mura cadute, comprende addebiti di spesa contenuti: Trattasi di riposizionamento, ove occorra, di capitelli di sostegno, del ballatoio e delle alzate della ringhiera, con essenze simili a quelle precostituenti il manufatto. Occorreranno trattamenti antitarlo, antimuffa e impregnamento, con tinte colorate. Si potrà attingere alle svariate offerte, messe a disposizione dalla tecnica specifica. Per cui, si può ricondurre la prassi, alla procedura di restauro dell’aggregato, con richiamo specifico al manufatto , ove ve ne sia presenza. Gli importi sono valutabili, per grandezze standard, comprensivo di messa in opera, sull’ordine di qualche migliaio di euro Per quanto possibile, nel restauro delle varie espressioni del Gafio, significativa espressione di cultura e civiltà rurale, è auspicabile il riutilizzo del legno originario, vicariando le mancanze con elementi della me-desima essenza, avendo cura di antichizzare, con fine sintonico. I trattamenti devono assicurare fortifica-cazione, protezione ed impermeabilizzazione, utilizzando i generosi presidi che la tecnica, largamente per-mette, avendo cura di non alterarne la sua fabulazione filologico-estetica. Ove, per mere ragioni statiche, al fine di sostegno se ne ravvedesse la necessità, si può prevedere di utilizzare sostegni con anime o mensole metalliche, facilmente occultabili, o esponibili, per dichiarato, armonizzato disegno estetico. In ossequio al naturale corredo, riscontrabile, da sempre, nei nordici luoghi di derivazione, tornino ad essere abbelliti, con vasi e fiori multicolori, per una auspicabile rinata primavera.
 
- di Giacomo Sansoni -
- foto di Luigi Baglioni -
 
 



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