Assergi – Le Mura - Breve descrizione e conseguenze del sisma

- di Giacomo Sansoni -

 

 

Utero e preservante amnios del silenzio, le mura del borgo di Assergi. Testimoni di secoli dai romiti vissuti, sofferti e mai contrattati. Vinte anch’esse dai rumorosi rancori di terra del terremoto, quando, le certezze e le case, venivano provate nella loro ortodossia statica e le mura medievali, con pattuita concessione entropica, tenevano. Tenevano nell’abbraccio imperituro il borgo murato di Assergi. Rotte, ormai da secoli di vetustà e dalle cicliche insidie del sottosuolo, mitigate dall’indulgenza cautelante della roccia, da sempre, si sono più dolute delle colpevoli piraterie umane. Incuria trascuratezza, sfruttamento utilitaristico, più patente nel versante Nord-est, dove è stata riformulata la sua destinazione d’uso, quale facciate di civili abitazioni, con abusive aperture, che ne hanno alterato definitivamente il loro arredo nativo. O ulteriori ingressi nella sua cinta, quale la porta contigua alla originaria “Porta del Colle”. Un Provato vecchio, le mura, mai domo, che nei momenti di cimento si tengono, più per l’orgoglio egotico dei sassi, che per volontà solidaristica. Edificate nel XI secolo, in ossequio alla necessità di difesa dalle scorrerie di saraceni, ungari e successivamente normanni e per le volontà di aggregazione urbana, dovuto a signorie laiche e monastiche, nello specifico benedettine e della chiesa di Santa Maria in Silice, sono anch’esse figlie del cosiddetto processo d’incastellamento. Più che castello, con asservimento del borgo, o borgo fortificato, trattasi di centro murato. Cospicui e imponenti i resti della sua cinta; ben visibili, quasi integri, nel versante orientale e sud del borgo. Presenti le due porte di accesso: “Porta Orientale, “Porta del Colle”. Perduta la “Porta del Rio”, che a sud-ovest s’apriva alla degradante valle del rio “Raiale”. Delle dodici torri di avvistamento, ne sono rintracciabili e intuibili solo pochissime. La colpevole pletorica superfetazione, incentivatasi nei secoli, ne ha alterato la primigenia facies.
Il caso è figlio di se stesso. Il caso ha voluto che i politici non avessero terra per accampare babeliche lusin-ghe o avamposti di rivendicazioni, per poi perire in frane meschine. Il caso, o suo figlio il tempo, con la prolissa parentela dei ritardi, ha voluto che i lavori di consolidamento delle mura, già prestabilito, antece-dentemente al terremoto, non fossero stati messi in cantiere, prima dell’evento tellurico. La richiesta di accedere al finanziamento, derivante dai versamenti dell’otto per mille dell’IRPEF, era infatti, già stata inoltrata, dal comune dell’Aquila, al Dipartimento per il Coordinamento Amministrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel mese di marzo del 2008. L’anno canonico dei ritardi per le cose pubbliche, ovvero la negligenza del caso, o delle cose della politica, hanno fatto il miracolo. Il miracolo di poter usufruire dell’opera di restauro a terremoto avvenuto. Nel caso fossero già stati compiuti i lavori e, gli stessi, non avessero avuto integrale successo di preservazione, si sarebbero perse le opportunità di richiederne altri, con la stessa formula, prevedendo come unica possibilità restaurativa, quella dell’assoggettamento al prolisso iter post-sisma. Il 17 novembre del 2009, a terremoto ormai sanguinante ricordo, il progetto viene ammesso al finanziamento, per la somma di 544.471,37 euro. Al 22 settembre del 2011 risale la comunicazione, al comune di L’Aquila, dell’accreditamento delle somme. Solo nell’estate del 2012, dopo pub-blica gara, sono iniziati i lavori, che sono terminati nel 2013. 2008–2013. A chi accreditare le fortuite fa-vorevoli concomitanze? Alle prolisse lungaggini dei percorsi politico-amministrativi, alla atarassica memoria della terra caricata ad orologio, o al caso che in ostaggio ha il tempo? Paventiamo, non attendiamo ulteriori prove, dalla natura e dagli uomini. Prima dell’inizio dei lavori, il comune ha chiesto una relazione tecnica, che analizzasse il pericolo, per l’incolumità, derivante dalle piante di alto fusto presenti nella fascia concomitante le mura, nel lato nord. L’Amministrazione dei Beni Separati di Assergi ha offerto il proprio sostegno, anche e-conomico, al fine del completamento degli interventi e la messa in sicurezza, non previste nell’appalto. A tale fine è stato formulato un piano di riqualificazione degli spazi verdi adiacenti le mura. Compito elettivo delle società è quello di rendere leggibili tutti i percorsi stratificati nel tempo, per chi vorrà appropriarsene, per la professione di uomo libero. Si torni, se non i sogni almeno a rammendare la storia. Se visibilità del tratto conservativo debba esservi, che vi sia, però, ripristino e conservazione. Vi sono tempi, scarcerati da eventi, o eventi che sprigionano tempi, in cui si aprono squarci che avvicinano i secoli. Il passato di colpo al tatto del presente, ma occorre tempestività, avvedutezza coraggio e forse visionarietà. Saper cogliere le opportunità.
Fra le opportunità che si annidano in una sapiente, avveduta opera di ripristino del corredo urbano del paese, è doveroso saper cogliere quella che consentirebbe di accrescere i pixel di leggibilità dell’opera in oggetto, ovvero la cinta muraria. In termini quantitativi, riacquisire cospicua metratura della facciata anteriore di parte delle mura, che hanno subito, nei secoli, irriguardose ingiurie. Avrebbe valenza estetica ed etica adoperarsi per la rimozione della cementificazione, colpevolmente apposta negli anni, nel bastione est, dove, sotto il cemento, sono ancora raffigurabili le forme di una delle torri, e il proseguo delle mura a sud-est, at-tualmente pareti di civili abitazioni, che culminano e procedono, con il fronte sud, oltre la torre campanaria dell’orologio: “porta Orientale”, “na porta” nell’atarassico vernacolo locale. A voler saper condurre, con pie-nezza di volontà e poteri, l’operazione, si assurgerebbe alla riacquisizione di una volumetria, più propriamen-te metratura, poiché di facciata anteriore trattasi, tanto rilevante, in termini quantitativi, da reggere il confronto con quella, che l’indulgenza del tempo, o del figlio caso, ha preservato, in forma più o meno integra, fino ai giorni nostri.



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