Renzo, senza casa dal terremoto perché a 67 anni è single vive in una baracca

Abitare in una baracca può voler dire vivere all’inferno se la baracca misura appena otto metri quadrati ed è priva di servizi igienici, energia elettrica e riscaldamento. Ne sa qualcosa Renzo Gambaro, 67 anni, manovale in pensione e agricoltore per passione. Dal 6 aprile 2009, quando la sua Paganica (una delle frazioni più colpite dal terremoto dell’Aquila) fu scossa dalle viscere, quest’uomo accogliente e sorridente non si è mai arreso né ha mai pensato di abbandonare il luogo dove è cresciuto in cambio dei comfort di un anonimo albergo sulla costa. Da due anni vive, appunto, in una baracca. A circa 800 metri di altezza e ad un chilometro dal centro, semidistrutto e in parte ancora pericolante. In attesa di una sistemazione vera, che si tratti di Map o progetto Case non importa.

LA MALEDIZIONE DEL SINGLE - Le «colpe» di Renzo sono quelle di essere single, e quindi non in cima alla lista delle priorità per la macchina burocratica che assegna gli alloggi post-sisma, e di non voler rinunciare alla compagnia del suo cane e all’orticello che coltiva con cura maniacale. La sua casa, come tante altre in questo paese di circa settemila anime poco distante dal traforo autostradale del Gran Sasso, è venuta giù senza dargli il tempo di riflettere sul da farsi. Lui non si è dato per vinto, ha radunato le sue cose e si è trasferito nel rimessaggio antistante il minuscolo appezzamento di proprietà situato in altura. Un tugurio, molto lontano dal concetto di abitazione, che ha tentato di rendere simile ad un monolocale. Senza bagno né acqua. L’acqua la va a prendere in centro ogni tanto e la porta su. A piedi, naturalmente. Il vero problema è la mancanza di luce e riscaldamento. Per la verità, un po’ di luce in «casa» è arrivata, grazie al pannello fotovoltaico donatogli dagli amici dell’associazione «Salviamo Paganica» e alla commozione che la sua storia ha destato a livello locale dopo un servizio-denuncia del giornalista Rai Umberto Braccili. Ma l’alloggio tarda ad arrivare. L’interrogativo resta: come ha fatto Renzo a vivere per circa 760 giorni in un tugurio, con temperature che in provincia dell’Aquila scendono d’inverno ben al di sotto dello zero? Lui ci tiene a ringraziare chi glielo ha proposto, ma confessa che non ce l’avrebbe fatta a vivere in una stanza d’albergo. Senza cane e senza orto. «Non mi troverei» dice. Nell’attesa ha tirato a campare con il contributo di autonoma sistemazione, qualcosa come 200 euro al mese. La disavventura di Renzo, ci raccontano i coniugi Antonio Di Micco e Patrizia Righi, volontari della Onlus di Paganica, è simile ad altre storie drammatiche che si possono raccogliere in questa frazione e nei dintorni. C’è un’anziana vedova di nome Nanda, per esempio, che ha costruito il suo rifugio all’interno di un garage. Una notte è stata aggredita da un pitbull randagio che le ha morso la testa. Uno spavento indicibile e numerosi punti di sutura. Non ha avuto la peggio perché difesa dal suo vecchio cane lupo che ci ha rimesso un occhio. Storie drammatiche e, a volte, surreali. «In molti, soprattutto nei centri montani, continuano ad arrangiarsi dopo il terremoto come possono» ci dice Patrizia. E intanto sono trascorsi già due anni.




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