Quella gente lungo il sentiero di San Franco l'eremita Il Gran Sasso d'Italia e il mito del 5 giugno

Quella gente lungo il sentiero di San Franco l'eremita.
Il Gran Sasso d'Italia e il mito del 5 giugno

 

- Testo e fotografia Vincenzo Battista -

 

 

Il misticismo anacoretico, la vita nella grotta e la capacità di profezia come prerequisiti della vera "Imitazione di Cristo" raccontano la vita di San Franco, peregrinante con "una catinella et un pugno di sale", dove non è più sufficiente per gli eremiti "Il saio è la mia cella" diceva San Francesco, ma spingersi, oltre, fino all'incorporamento nel ventre, nelle viscere della montagna, ultimo estremo atto, conclusivo e rituale, per vivere la solitudine ascetica nella forma più pura: la grotta di Peschioli ne è testimonianza.

Scavata in una torre carsica, il pilastro che si innalza davanti alla Portella, ci svela dunque tutto questo nella sua morfologia accidentata, nei suoi tratti di rifugio inaccessibile se non attraverso una rete di corda che scendeva ancorata alla sommità delle rocce, permettendo l'accesso alla spelonca. E' dunque questa "l'utopia" dell'asceta Franco: la povertà assoluta, severa, in contrasto con i vizi in cui erano caduti gli enti ecclesiastici in seguito al loro inserimento nell'economia curtense e negli assetti sociali duecenteschi. Lui, insieme a molti altri della Conca aquilana, rappresenta un concetto fondamentale, forse il più importante, anche destabilizzante per la religione, del medioevo: l'eremitismo, il punto di non ritorno "dove tutto è isolato e insieme unificato" che conduce nello stretto sentiero della sofferenza, esperienza mistica del colloquio con Dio, fino all'apice, la perfezione, secondo la severa regola ascetica.

Il maestro dell'antropologia cristiana, il solitario Franco, indipendente, libero dalle istituzioni visse in celle e romitori nella barriera delle Malecoste l'esperienza spirituale e individuale, che non impedì l'osservazione diretta e le testimonianze da parte della gente che ne diffuse la "fama, e i suoi saperi", rimasti intatti ancora oggi, come l'acqua che si raccoglie dalla sua fonte taumaturgica, della montagna, che prende il suo nome.

"Che subito vi cominciò a scaturir una fonte saporita, e cristallina acqua." scrive Nicola Tomei (anno 1715) di "Santo Franco", che "andava per montuose selve" come i suoi seguaci, ancora oggi numerosi, sulle tracce della sua santità, alla ricerca dell'acqua che guarisce, che sana. Uno spaccato delle comunità locali dei centri pedemontani che si appoggiano nei due versanti del Gran Sasso d'Italia, quello interno e quello adriatico; un rito annuale penitenziale di "purificazione e richiesta" al santo, custode delle acque del Gran Sasso.

Località Il Vasto, chiamato il "Guasto" nei manoscritti tardo medioevali, pendici meridionali della lunga barriera calcarea di Monte San Franco, Ienca e Pizzo Cefalone, contrafforte del Gran Sasso.

Un'area "vincolata", per chi sa "guardare" la montagna, da un patrimonio spirituale, ascetico, di un santo cristiano pellegrino, Franco l'eremita, che nella seconda metà del XII secolo ha "ridisegnato" il territorio dei pastori, elevando il paesaggio e i sui tratti costitutivi, gli elementi naturali, al rango di patrimonio: nicchia di devozioni, culti, icone, pellegrinaggi, accadimenti prodigiosi, ininterrotti per secoli, giunti fino a noi. E poi gli elementi di questo sorprendente lascito tra natura e cultura: i sentieri, dal valore iniziatico; l'acqua dal potere terapeutico; la spiritualità della montagna, comunque la pensiamo.

Le immagini.

La grotta di "Peschioli", contrafforte di Pizzo Cefalone; alcuni affreschi nella chiesa di S. Maria Assunta ad Assergi ( AQ).

 



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