EMILIO PENSUTI-SPERANZA. UN AVIERE AQUILANO, L'EROE DIMENTICATO DELLA GRANDE GUERRA

- di Enrico Cavalli -

 

 

 

Nota introduttiva di Giuseppe Lalli
Il breve saggio che segue è a firma di Enrico Cavalli, professore e storico che all’Aquila vive e insegna, e che al capoluogo abruzzese ha dedicato molti eminenti lavori di ricerca, scritti nei quali, sempre, “l’aquilanità” nella sua declinazione migliore si sposa con il rigore della ricerca.
Collaboratore in riviste e periodici di cultura abruzzese, ha al suo attivo diverse pubblicazioni di storia locale e nazionale.
In riferimento al capoluogo abruzzese, è da segnalare in particolare il libro “Adelchi Serena. Storia di un gerarca (in corso di ripubblicazione) e “La grande Aquila. Politica, Territorio ed Amministrazione ad Aquila tra le due guerre”.
Il presente scritto di Cavali – già pubblicato ma arricchito, in questa versione, di altre interessanti scoperte - è una erudita ed appassionata ricostruzione della vicenda umana di una figura davvero affascinante, quella di Emilio Pensuti-Speranza, nativo di Perugia ma aquilano a tutto tondo, aviatore pionieristico che diede un contributo a dir poco importante in quella che a ragione si può definire un’azione decisiva nell’offensiva italiana contro l’esercito austriaco all’indomani di Caporetto. Basti pensare che il Pensuti-Speranza fu maestro a Francesco Baracca e amico del grande conterraneo Gabriele D’Annunzio, che a lui dedicherà commossi versi, che Cavalli non manca di riportare.
Al professor Cavalli e alla sua appassionata ricerca si deve dunque la scoperta di questo giovane e coraggioso pioniere dell’aviazione italiana, morto il 15 aprile del 1918 al termine di un’ardita operazione di collaudo.
Sarebbe un’imperdonabile ingiustizia alla memoria non ricordare questo eroe aquilano a cento anni esatti dal suo sacrificio, in quella Grande Guerra di cui pure, giustamente, si sta parlando da tre o quattro anni a questa parte.
C’è da rilevare altresì che il pregevole lavoro di Enrico Cavalli non si limita a rendere giustizia ad un grande concittadino. Nella prima parte del suo scritto, nel descrivere con dovizia di particolari il clima alla vigilia del conflitto, non manca di regalare pennellate di varia “aquilanità”, quasi il bozzetto in miniatura di un angolo di vita nazionale. Come quando  riferisce di una “giovanissima Augusta De Paolis, rampolla del tenente colonnello Salvatore “, distintasi, in rappresentanza del gentil sesso, come la migliore tiratrice nei corsi di istruzione balistica promossi dalla testata “ Il Tiratore Abruzzese “ nell’ex orto di Santa Maria Maddalena. O come quando, facendo la mappa del giovanile interventismo cittadino, nomina di sfuggita, con lieve tratto di penna, un “ Giuseppe Chiarizia il padre del Carlo mobile politicamente”, gustosa espressione ad indicare forse quanti, dopo il Ventennio, passarono attaverso il fonte battesimale di...Don Palmiro Togliatti.
Eroe dell’aria, poeta della patria pur senza aver scritto alcun verso, la figura di Emilio Pensuti-Speranza rifulge ancor più di luce propria nel contesto di una città, quella in cui crebbe, troppo spesso dimentica dei suoi figli migliori, prigioniera, come spesso appare, di una soffocante cappa di autoreferenzialità.
Lo straordinario pilota, tutto genio e volontà diamantina, è quanto di più opposto possa esserci allo spirito gregario ed opportunistico. Una ragione in più per celebrarlo e per ringraziare chi lo ha riportato alla luce.
Ad Enrico Cavalli vada il plauso, non formale, di quanti, come il modesto estensore di questa nota, attribuiscono alla ricerca storiografica valore pedagogico.  ( G. Lalli )


EMILIO PENSUTI-SPERANZA. UN AVIERE AQUILANO, L’EROE DIMENTICATO DELLA GRANDE GUERRA ( di Enrico Cavalli )

1.  L’Aquilano e l’ingresso nella Grande Guerra.

Fra le recenti acquisizioni storiografiche relative alla partecipazione dell’Italia alla Grande guerra, risalta quelle degli Abruzzi, che, insieme al Molise ( al tempo unica regione ), dal 23 maggio 1915 all’11 novembre 1918, al confronto con le altre regioni, dettero alla Patria la più alta percentuale di giovani di leva ( 93%), e , conseguentemente dei caduti e feriti.
E’ un dato enorme di mobilitazione, da parte di una “macro-regione” di oltre un milione di abitanti, ma svuotata di cinquecentomila emigrati nelle Americhe nel solo biennio 1914-15 ; ritenuta marginale non avendo partecipato alle celebrazioni, a Torino, del 50° dall’Unità d’Italia.
Pur col dovuto rispetto ai molisani, separatisi dal 1963, se ci si riferisce alla dimensione abruzzese o, più precisamente a quella aquilana, si deve rilevare che il tributo alla alla Patria è da mettere in relazione l’impatto emotivo prodotto dalle “radiose giornate” del maggio 1915 , che si svolsero sotto il patrocinio del conterraneo Gabriele D’Annunzio.
Nello scenario regionale i fautori dell’ingresso in guerra dell’Italia prevalsero sui neutralisti e pacifisti socialisti e cattolici , che il terremoto marsicano del gennaio 1915 aveva privato di importanti esponenti. 
Aquila – come allora ancora si chiamava – capoluogo di una provincia che per estensione territoriale era la seconda sul piano nazionale, nonché capoluogo degli Abruzzi per un glorioso passato, fu il fulcro di un interventismo a matrice studentesca ed intrecciato al militarismo, sui crinali del moderno agonismo.
Agirono i fermenti critici di un notabilato liberale che restava fedele alla Triplice Alleanza. Valga come esempio la posizione del paganichese Edoardo Scarfoglio, fondatore del napoletano ”Il Mattino” nel 1892, che in un celebre saggio propugnava l’alleanza della lira con il marco, contro l’imperialismo della sterlina;  o quella di Raffaele Cappelli, che nel 1882 era stato l’estensore del trattato dell’Italia con gli imperi asburgico e prussiano.
Questi “giovanilismi” locali in favore del nazionalismo avevano fatto le prove generali col il volontarismo nella guerra di Libia del 1911-13, nazionalismo rinfocolato dalla circostanza che il processo ai responsabili della famosa “settimana rossa” del giugno 1914 ( a scarso un mese, si badi, dalla scintilla di Sarajevo ) si tenne alla Corte di Assise dell’Aquila, dove, senza il concorso dei “radical-chic” locali,  comparve, da osservatore, un futuro legionario fiumano, Alceste De Ambris, e, da assolto, Pietro Nenni, l’incendiario oratore di Ancona.
Per riandare all’interventismo aquilano, la testata "Il Tiratore Abruzzese" del 15 ottobre 1914, ad imitazione dei poligoni di Messina, Parma, Torino, Milano, promosse corsi di istruzione balistica presso l'ex orto di Santa Maria Maddalena, corsi destinati ai giovani non solo maschi del capoluogo, ad "evitare il rischio di trovarsi la Patria senza difesa dinanzi alla mobilitazione generale". Le adesioni del gentil sesso a questa schietta pratica maschile si ebbero sul finire del conflitto, e particolare prova di destrezza nel fucile di precisione la diede la giovanissima Augusta De Paolis, rampolla del tenente colonnello Salvatore, l’ispettore regio del poligono, dal Municipio intitolato al condottiero militare Antonuccio Camponeschi, che guidò la vittoria degli aquilani contro l’assedio di Braccio da Montone del 1424.
Sull’illusione di un breve tuonare del cannone in Europa, il centro storico della città, tappezzato da cartelli  tricolori monarchici inneggianti alla “quarta guerra di indipendenza”, fu luogo di adunate di giovanissimi, pronti ad arruolarsi nonostante fossero al di sotto dell’età di leva: fra questi Nino Palmeri, Carlo Perrone, Carlo Passacantando, Pasquale De Rosa, che cadrà nell’inverno 1916 all’Orticara.
Alle cartoline precetto risposero i giovani più in vista della città capoluogo e del circondario : i fratelli Ugo e Gustavo Marinucci, Dante, Umberto, Vittorio Troiani, Serafino, Beniamino De Marchis (costui, dal 1917 al 1920, l’erede della presidenza di Vincenzo Gentile alla Deputazione provinciale ), Giuseppe Chiarizia, il padre del Carlo mobile politicamente, Carlo e Tito Perrone, Giuseppe e Vincenzo Di Nanna, Amilcare e Manlio Santilli; in chiave sparsa, in possesso di titoli di studio classici e tecnici i vari Giuseppe Federici, Adelchi Serena, Oreste Cimoroni, Michele Centofanti, Raffaele Biordi, Guido Petroni e Silvio Masciocchi, Giuseppe Urbani. Infine, con lunga  esperienza da militi di vaglia, Francesco Giuliani, Francesco Rossi, Andrea Bafile.
Le correnti nazionalistiche sopravvenivano a quelle del pacifismo cattolico e socialista, rappresentate, la prima, dai giovani cronisti Giuseppe Berti De Marinis e Gaetano Sollecchia, dell’arcidiocesana ”La Torre”, la seconda, da Francesco Donatelli e Giuseppe Scimia, fondatori, insieme ad Emidio Lopardi e Cesare Falli, dell’organo dei lavoratori abruzzesi ”L’Avvenire”, che presto accantonava il suo antibellicismo in nome dell’esistenza di una nazione in armi, senza distinzioni ideologiche , e promuovendo sottoscrizioni a favore degli irredentisti alla Guglielmo Oberdan.
La contestualizzazione bellica, interpretata in chiave agonistica, aveva mobilitato gli animi delle giovani generazioni, affascinate dal macchinismo, inaugurato dalla seconda rivoluzione industriale ed annesso al servizio del complesso militare.
Motivo di attrattiva non solo giovanile, erano le cosiddette “macchine volanti”, inventate, dopo tanti sforzi umani, nel 1903 dai fratelli americani Wright, mentre il concetto di aeronautica gli aquilani lo avevano appreso da un libello del 1873 di Raffaele Casti (fratello del canonico Enrico, direttore della Biblioteca provinciale), idea non recepibile dal ministero della Guerra circa il lancio di ‘palloni dirigibili’, magari ‘mossi da elica’, sicché la cittadinanza toccò con mano degli antesignani aeromobili sotto forma di mongolfiera in occasione delle Esposizioni economiche del 1888  e  1903, nonché al clou di varie edizioni della Perdonanza celestinina.
L’aviazione, su mezzi alianti con vettori motore, era stata annessa di recente al vocabolario sportivo, a dispetto della lettura dominante, che la voleva ascrivere a finalità turistiche e progressivamente di guerra.
Dopo l’impiego di aerostati alla campagna d’Abissinia  nel 1887, e l’uso di aerei per la conquista della Libia nel 1911-13, il Regio Esercito nel giugno 1913, aveva formalizzato reparti aerei a brevetto Wright in servizio dell’artiglieria d’assedio, finché il 7 gennaio 1915 fu istituito il Corpo Aeronautico Militare, dipendente dal ministero della Guerra di Vittorio Italico Zupelli.
Anche per la notevole domanda di aspiranti alle disfide nei cieli, la flotta militare aerea dell’Italia era, fra le potenze dell’Intesa, al secondo posto, dietro all’Impero zarista, avendo distanziato la Francia,la terza fra i belligeranti. La nemica Germania primeggiava: al termine delle ostilità, con 20.000 mezzi,era la quarta in assoluto.

2. Vita e Carriera di Emilio Pensuti-Speranza.

La passione per il volo, fu coltivata da Emilio Pensuti-Speranza, aquilano d’adozione perché nato a Perugia il 26 agosto del 1890 dall’ispettore delle Regie finanze Andrea e da Marianna Spera, fin da studente. All’età di due anni, in seguito alla scomparsa prematura del padre, si trasferì nella casa materna ad Aquila degli Abruzzi, sotto l’egida del patrigno Carlo Patrignani, fiduciario militare, pioniere dello sport, e noto perché, da allievo di Teofilo Patini, fu il restauratore del foyer al Teatro comunale e della famosa bottega dei dolciari Nurzia. Il giovane Emilio frequentò le scuole dell’obbligo fino al 1908, mostrando assai presto attitudine alle arti meccaniche e conducendo, come narrano le cronache giornalistiche, uno dei primi prototipi di automobile per le vie di quella città con cui continuò a mantenere rapporti anche nel corso della sua vita.
Doti di spiccata perizia doveva possedere questo ardimentoso figlio aquilano, che diede sbocco al suo slancio motoristico, una volta lasciata quasi diciottenne la terra d’origine, specializzandosi all’officine Falck  di Sesto San Giovanni ed Asteria di Torino. Conseguito il brevetto da pilota. nel 1912, ebbe la capacità non comune di costruirsi un monoplano che battezzò “Friuli”, segno di chiara vocazione patriottica. Prestò il suo talento ad una delle aziende emergenti nel gotha italico dell’aviazione, la Caproni, fondata nel 1909 a Vizzola sul Ticino da Giambattista e Federico, irredentisti trentini, in un terreno concesso dal Corpo di Armata di Milano- a Giambattista e Federico, irredentisti trentini emuli dei Wright. Subito dopo, fu la sede strategica di distaccamenti del Genio Militare, Battaglione Aviatori e Scuola Aviatori. Tale stazione, denominata di Malpensa nel 1910 dall’alto graduato Giovanni Cordero Di Montezemolo, fu teatro del primo volo su CAI-1 dell’ingegnere Gianni Caproni e di manovre d’appoggio alle forze terrestri in Monferrato, in preparazione della campagna libica .
Sotto gli elogi del capitano Gustavo Moreno e del tenente Oronzo Andriani, nell’ottobre 1914, Pensuti-Speranza, da provetto collaudatore di apparecchi Caproni sfornati dalle fabbriche Breda ed a motori Fiat ed Isotta Fraschini, testò con successo il triplano militare, reputato dal generale e regio ispettore Maurizio Moris un progetto tecnicamente sbagliato. Sarebbe stato il più piccolo aereo della Grande Guerra, passato alla storia come il Breda-Pensuti o Caproni-Pensuti, in entrambi le versioni dalla tipologia ricognitoria e struttura lignea di carlinga, pronto, però, nel 1918.
Alle cronache nazionali Pensuti-Speranza assurse quando dalla sabauda ”Stampa Sportiva” nel febbraio 1915 fu esaltato recordman italiano di volo ad oltre cinquemila metri di altezza, su triplano Caproni.
Le sue gesta acrobatiche mandavano in visibilio le folle di astanti, essendo assai di moda le evoluzioni aeree, sfruttabili pubblicitariamente ed anche a sfondo benefico.
Pensuti-Speranza suscitò molto interesse fra i personaggi in vista della nazione, da Guglielmo Marconi, che installando radiotelegrafi sui velivoli lo considerò esempio mirabile del connubio fra l’aeroplano e l’uomo, al ministro senza portafoglio per la Propaganda di guerra Vittorio Scialoja, e a quello della Marina militare Camillo Corsi. Crebbe la fama del più tecnico pilota italiano  sui rotocalchi d’Oltreoceano, tanto che volle conoscerlo il  capo dell’US. Air Foirce, colonnello Bolling, nonché, fino a dovergli la vita, le stesse personalità della missione americana che da Milano si dirigeranno al fronte bellico per volere del presidente statunitense Woodrow Wilson.

3.  Nella Grande Guerra.

L’uomo che si librava nell’aria fu un punto di forza di forza della terza Arma dell’esercito italiano, che lo  chiamò ad affiancare i tenenti colonnelli Gustavo Moreno ed Arturo Ferrarin, alla scuola di istruzione per seicento allievi ufficiali italiani e piloti inglesi ed americani.
In questa alacre attività di addestramento rientrò il principiante romagnolo Francesco Baracca, non ancora l’asso rampante e temibile dai cannoni e mitragliatrici delle trincee ed apparecchi Viatik asburgici e dagli stessi Fokker germanici.
Il tenente capitano  Pensuti-Speranza, il 3 ottobre 1917, fu assieme al capitano Attilio Matricardi alla cloche del 450 hp Caproni avente di default due siluri,  la punta di spicco dei trentasei omonimi aerei, che su strategia di Gabriele D’Annunzio, dovevano incentivare i raid italiani, in corso da mesi sul munito porto asburgico di Pola.
Il Vate, che per queste imprese istriane otterrà il grado di maresciallo, coniando il fatidico “Eia eia alalà” a viatico del suo volo famoso su Vienna dell’agosto 1918, grande fiducia riponeva nell’ante litteram soldato azzurro aquilano, che nonostante lo spegnimento delle luci di bordo e tre motori in decelerazione, fra l’imperversare delle granate nemiche, pur lontano dallo stormo italico, mentre Matricardi cercava di riattivare il flusso del carburante, proseguì a girare sopra la base di Pola per distrarre la difesa nemica ed agevolare in area il ritorno degli stormi amici, sicché, abbassatosi col velivolo pericolosamente, lo risollevò salpando sicuro verso l’amica costa dell’Adriatico.
Merita riferire che un altro aquilano si ritaglierà una parte nelle incursioni dei velivoli Caproni a guida D’Annunzio. In veste di osservatore per la beffa ordita agli austriaci alle Bocche del Cattaro del 4 e 5 ottobre troviamo un ufficiale esperto uscito dall’Accademia Navale di Livorno,  Andrea Bafile, ferito gravemente nel frangente, e, ivi impegnato, perché pur se uomo di mare, fu proprio colui l’installatore della bussola nella plancia di comando degli aerei, onde permetterne di rintracciare le rotte giuste nei lunghi tragitti. Non possiamo escludere rapporti di conoscenza fra Pensuti-Speranza e la futura nostrana medaglia d’oro al valor militare, perché il tenente di vascello nativo di Monticchio cadrà da eroe il 10 marzo 1918, sul Basso Piave.
Dopo la dirotta di Caporetto del 24 ottobre 1917 di cui si reputò ad unico responsabile il generale Luigi Cadorna, studioso delle tattiche di fanteria al tempo del suo comando del battaglione di ”Pistoia” ad Aquila, dal 1900 al 1904, come risaputo, l’esercito italiano grazie alla linea del Piave resistette, per poi lanciare la controffensiva vincente all’Isonzo, sulle residue truppe austroungariche.
Nel marzo del 1918, la rivista ”Nel Cielo” asseriva della guerra aerea offensiva, da svolgere con massima insistenza, mediante i grossi plurimotori dall’elevata potenza.
L’esteso impiego dei Caproni a supporto degli assalti delle truppe italiane alle trincee imperiali dal 1915 al’16, aveva dato popolarità tra i fanti per quel tipo di apparecchio bellico, anzi, usato dagli ignari combattenti di terra per indicare d’antonomasia, l’”aeroplano” e che anche destava ammirazione nei fronti esteri da quelli dell’Albania alla Francia.
L’”aeroplano“ per definizione, nei modelli Ca.1, Ca.2, Ca.3, presentava le seguenti caratteristiche: a trave di coda e carlinga trimotore dai 100 a 450 hp con velocità massima di 140 km/h ed autonomia di 4 h, ovvero, un motore centrale ad elica posteriore e motori laterali ad elica anteriore; struttura resistente in legno, rivestimento in tela o compensato, le ali in tela, di circa 22 metri; equipaggio di 2 piloti più un mitragliatore ed eventualmente un osservatore.
Perplessità manifestò D’Annunzio al tenente colonnello La Polla ed al Duca D’Aosta nel marzo 1918 sui rischi nella conduzione del Caproni in versione Fiat 200 hp: precipuamente, si incorreva nel pericolo dei ritorni di fiamma al carburatore, derivando tale difetto nel sistema dei motori, dalle esigenze di politica industriale.
Con la guerra volgente per le sorti della patria italica, il 15 aprile 1918, al suo tremilasettantesimo decollo per un’attività di collaudo e successiva ricognizione aerea, “il più geniale e prestigioso pilota dei Caproni”  duemilaottocento metri sopra Vizzola sul Ticino, scorgendo una fiamma al motore centrale,  evidentemente, dovuta alle ragioni suaccennate da D’Annunzio, si gettò in picchiata per atterrare velocemente e così permettere il salvataggio  del suo compagno di volo, il tenente Mario Galassini, che invece, lasciato il proprio seggiolino, non riuscì a recuperare l’estintore in dotazione e spegnere il divampante incendio a bordo. Pensuti-Speranza, in preda ad ustioni pesantissime, ancora risultava in grado di governare il triplano distante tre metri dalla terra, quando una nuova fiammata investe l’apparecchio che perde il carrello e si capovolge sfasciandosi appena toccata la superficie, esce dai rottami incandescenti, il prode Galassini, incredibilmente in vita e pronto a liberare dalla carlinga in fumo il suo superiore di volo, che ormai imprigionato al posto di pilotaggio, ivi periva , quasi due mesi prima di Francesco Baracca.
Un pilota di valore come Speranza-Pensuti è da ascrivere al grande contributo aquilano per la “Quarta guerra d’Indipendenza”.
Se dal 1915 al’18, le sorti militari italiane, molto debbono alla incidenza strategica, dopo la dirotta di Caporetto, della flottiglia area, questa ultima, in valori di efficienza è dipesa dall’opera di collaudo dei velivoli svolta da Emilio Pensuti-Speranza.

4.  Le Celebrazioni Nazionali e Aquilane del Sacrificio di Emilio Pensuti-Speranza.

“Il Corriere Della Sera”del 20 maggio 1918, lo elevava a più abile pilota della nazione in armi, perché coi galloni di capitano precipitato ventottenne.
D’Annunzio gli riconobbe i tratti del “pilota nato con le ali”, su ”La Stampa Sportiva” del 1918.
Encomi solenni, gli vennero dalle gerarchie militari, tipo il tenente colonnello Carlo V. Cavalla, l’amico personale di questo virtuoso dell’aria.
Il periodico ”L’Aquila” del 20 e 26 maggio 1918, dedicò articoli a firma di Giuseppe Urbani, alla memoria del ”figlio purissimo di Aquila nostra” e le cui spoglie vennero onorate in cattedrale dei SS. patroni, con rito officiato dal canonico Francesco Silveri ed alla presenza dei parenti più prossimi, Francesco e Nicolina Speranza, di una folla fervida e le massime autorità civili e militari locali.
Pensuti-Speranza ricevette un “medaglione” pubblicato a Milano nel 1919, dovizioso di particolari intimi, a cura del fratello minore, Mario, una firma nel 1914 del prezzoliniano “La Voce d’Abruzzo”, con Italo  Moschino, Tito Blasetti ed ora in intensa carriera da saggista alla editrice Bompiani (sarà il pioniere del genere fantascientifico in Italia, la qualcosa forse in evocazione delle gesta in aere del fratello); l’inserimento nella rivista ”Ali d’Italia a fine 1919, fra gli eletti ed i nomi che più hanno contribuito per le sorti italiche; la lapide commemorativa a Somma Lombarda nella piazza Vittorio Veneto, nel 1919; a Taliedo, alla famosa Cascina dei Caproni, fu idealmente compreso in una stele agli “eroi del cielo”, astante il principe Umberto di Savoia e scolpita dall’artista Paiti e con epigrafe di D’Annunzio, e appostavi nel 1926: ”Maestro d’ali sommo/che qui eroe d’ogni giorno/tramutando la sapienza in ardire/consegnava al volo certo/ l’opera dei costruttori ansiosi” .
Alla memoria del suo grande pilota-collaudatore dedicò a Taliedo anche il campo di volo, la Caproni, che congegnato un velivolo, ne basava la produzione sui test proprio di Pensuti-Speranza e che avrebbe dovuto dare il benestare ad un nuovo prototipo in forza alla Regia aeronautica, fino al 1923.
A parere degli osservatori anche internazionali, non sarebbe stato più lo stesso, il  know how tecnologico-operativo della Caproni, inglobata nella omologa Isotta Fraschini, all’atto del riordino della industria di settore, condotta durante il fascismo dal ministro Italo Balbo, il trasvolatore da Roma a New York nel 1932, che poi avrebbe dato assenso alla formazione di velivoli leggeri ”Pensuti-Speranza” ed impiegati alla guerra D’Abissinia.
 Nel primo dopoguerra, l’agenda di celebrazioni nel capoluogo abruzzese, non contemplò il sacrificio di questo aviere aquilano, a tutti gli effetti, e questo oblio spiega la mancanza di onorificenze ufficiali alla sua memoria.
Ad Aquila, alle figure senz’altro fulgide di Francesco Rossi, Andrea Bafile, Pasquale De Rosa, furono confinate le suggestioni di massa, oltre la seconda guerra mondiale, intitolandosi dalla cittadinanza in sequenza, la caserma alpini, liceo scientifico (doveva essere dedicato al premio Nobel, Guglielmo Marconi, nel 1936), sede del 13’artiglieria, mentre alla medaglia d’argento Dante Troiani, verrà concesso un ruolo importante nella vita civica  fra le due guerre
Pensuti-Speranza, aveva dato la stura ad un discorso aviatorio in ambito aquilano, come dal brevetto apparso nel 1916 sui fogli locali, di un velivolo a propulsione ”Aquila” in base al disegno dall’ingegnere francese Eduard Borgo, da prodursi finanziato dal napoletano di stanza al 13’’artiglieria Occhetto, alla officina di Odoardo Frasca; senza contare le velleità di una scuola di volo al plesso di avviamento militare alla Villa Comunale, raccordata al campo aviatorio di Piazza D’Armi.

5.  La Parabola di un Aviatore Aquilano.
La parabola di Pensuti-Speranza poté essere richiamabile a livello municipale, se a capo della Caproni sedette l’aquilano ed ex combattente Carlo Perrone (versatile personalità locale, compose il canto ”J’Abruzzu” col maestro-baritono Nazareno De Angelis, fu pioniere sportivo locale, post 1945 da vice monarchico di Vincenzo Rivera, portò la industria “G.Marconi” a Pile), che assieme al direttore della flottiglia lombarda, il dottor Gianni, venne a dirigere il Centro nazionale di studi minerari, installato ad Aquila dal vicesegretario del PNF., Serena nel 1936, ad inciso, per fare del capoluogo abruzzese il terzo think tank della politica autarchica, dopo Milano (per la ricerca tessile) e Genova (per la ricerca siderurgica).
Nella concezione programmatica del Grande Comune nel 1927, che previde ridotti infrastrutturali per le comunicazioni, probabilmente, i due succitati esperti di settore, scartata la piana di Preturo-Coppito, suggerirono di un campo aereo a Pizzone di Bagno. L’infrastruttura in fieri inquadrabile alla IV zona militare di Bari, secondo un precedente accordo progressivo, fra Balbo e Serena, nel 1933-35, venne data in direzione ad una figura di richiamo locale, il gtande atleta e pugile Alfredo Vivio.
Nelle more di queste progettualità (tanto che Perrone sostenne un aeroporto a Rieti concorrenziale a quello di Pescara, lì sorto per le esigenze della Grande Guerra ), si pensò di rafforzare l’atterraggio di fortuna a Piazza D’Armi per la tratta commerciale Roma-Aquila-Pescara.
La buona riuscita di questa installazione indusse l’amministrazione podestarile ad un aeroporto dal profilo turistico, in base alle fibrillazioni della Esposizione Universale di Roma del 1942 e relativa Olimpiade a  cinque cerchi.
Giocoforza, il discorso aviatorio nel capoluogo abruzzese, riprese allo scoppio della seconda guerra mondiale, ipotizzandosi allo scalo bagnese hangar e velivoli di addestramento per gli allievi dell’arma azzurra e poi occupanti tedeschi, ma tutto restò sulla carta, e di queste piste, tuttavia, troppo esposte alle correnti di aria, poco o nulla se ne curarono gli stessi  Alleati.
Dopo il 1945, L’Aquila eternamente alla ricerca di approcci ai grandi sistemi di comunicazione, sottese all’aeroporto di Preturo, ad uso turistico-commerciale della “Regione dei Parchi”, di supposte “Università del Volo” e per la Protezione Civile (intitolato all’Ing.Giuliana Tamburro, perita il 6 aprile 2009),  senza che ci fossero degli agganci ideali alla memoria di un personaggio, cui a Roma e Somma Lombarda, ci sono vie a lui dedicate, in grado di fungere da richiamo alla industria di settore ed in chiave di una generale identità cittadina.

Conclusioni.
A conclusione, di questa modesta ricostruzione, mi sia concesso di dire che del personaggio,  nei testi di storia contemporanea locale, non si è mai rinvenuta traccia (ab sit iniuria verbis!), forse, la causa del dimenticatoio, da riscontrare in uno di quei meandri in cui si dipana la ricerca storica (che in quanto scientifica, per l’appunto, non ha mai fine, afferma il filosofo Karl Popper, nel 1976), o, nella circostanza della sua nascita forestiera, cioè, perugina, ma in questo caso, varrebbe di aggiungere che mantenne importanti legami con la città d’origine (dove vissero per diversi anni, i suoi familiari), a ribadire di quanto riportato sopra, e, che, di converso, analoghi discorsi di esclusione storiografica,  potrebbero farsi per altre soggettività non autoctone e che sono state invece reputate meritevoli, e, sia chiaro, giustissimamente, di massima considerazione civica, la medesima che dovrebbe riconoscersi, minimante, a questa figura, con le disquisizioni su di un’epoca cruciale, ma a tutti gli effetti aquilana.



 



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