IN 77 ANNI IL GRAN SASSO NON ERA CADUTO MAI COSI' IN BASSO...

Simbolo del Gran Sasso aquilano, la funivia di Campo Imperatore ha quasi 77 anni, fu inaugurata nel settembre del 1934. No si ricorda un periodo di completo abbandono come questo. Il bar e l’albergo sono chiusi ormai da mesi  e per i turisti inconsapevoli che si recano a Campo Imperatore, l'amara sorpresa di trovare...anzi non trovare nulla. Mancanza di servizi di ogni genere. Sul sito, il Ctgs specifica che "permane ancora lo stato di chiusura delle strutture ricettive e ristorative di Campo Imperatore ingiustificatamente abbandonate dalla società a cui erano state concesse in gestione a far data dal gennaio 2007”. Il prossimo 13 luglio davanti al Tar verrà discusso il ricorso con il quale il Centro turistico chiede di riprendere possesso della struttura alberghiera. I problemi sono iniziati durante le vacanze pasquali scorse, quando la struttura, che aveva evidenziato problemi ai quadri elettrici e ai servizi igienici, è stata chiusa dalla società che la gestisce. Secondo il Comune, la responsabilità dei problemi era da addebitare a una cattiva manutenzione da parte dei gestori. Il Ctgs ha però dichiarato di avere “le mani legati” in quanto esiste un contratto di gestione trentennale con la società, con la quale esiste anche un contenzioso “dal momento che il Centro turistico deve ancora incassare circa 200mila euro”, ha dichiarato il presidente del Ctgs Vittorio Miconi.I gestori dell'albergo chiedono invece un risarcimento per la mancata apertura della funivia nel periodo natalizio.

La stazione di Campo Imperatore ha alle spalle una storia a dir poco difficile, ora ricostruita «minuto per minuto» da Maurilio Di Giangregorio, ingegnere di professione e alpino-scrittore per passione, nel libro «Campo Imperatore, storia di una stazione invernale». Correva l’anno XII del regime, l’Impero era alle porte, verrà proclamato un anno dopo con la conquista coloniale dell’Etiopia. I gerarchi abruzzesi gratificati da importanti incarichi governativi e fermamente determinati a lasciare un’impronta, vollero fare della funivia l’occasione per la celebrazione di una grande opera. L’idea di un collegamento della conca aquilana con il Gran Sasso fu inglobata in un più ampio programma di sviluppo turistico e sportivo della città dell’Aquila promosso dal podestà Adelchi Serena, che sarà ministro dei lavori pubblici, e dal pescarese Giacomo Accerbo ministro dell’agricoltura. E si decise di commissionare agli ingegneri Giulio Ceretti e Vincenzo Tanfani di Milano la realizzazione dell’impianto.

 Il progetto originario prevedeva il raggiungimento di Campo Pericoli e monte Aquila tramite due funivie lunghe complessivamente 4.500 metri e dal costo stimato sui 5 milioni di lire, venne realizzato solo il primo troncone fino a Campo Imperatore, sul versante del Gran Sasso detto dei Valloni, attraverso tre stazioni sistemate a quote progressive. La stazione di valle era situata a poca distanza da Assergi, alla base venne realizzata una piccola località turistica con servizi e alberghi, Fonte Cerreto, e avrebbe costituito il centro del nuovo comprensorio. Dai 1.125 metri di altitudine di Fonte Cerreto, la funivia raggiungeva poi una stazione intermedia a quota 1.619 metri e quindi la stazione di monte a Campo Imperatore ad una altitudine di 2.128, dove venne costruito anche l’albergo dove nel 1943 fu portato prigioniero Benito Mussolini dopo la caduta. La spesa complessiva fu di 2 milioni e 389 mila lire. Negli anni del boom economico, il turismo di massa e il diffondersi della pratica dello sci hanno fatto della «signora del Gran Sasso» una star; a partire dalla stazione di monte della funivia vennero realizzati una seggiovia ed uno skilift, per l’epoca costituirono una delle più grandi e moderne stazioni sciistiche d’Europa, che si è via via adeguata tra tante difficoltà ai tempi e alle mode.
 Attraverso le fonti più disparate - giornali, carteggi custoditi negli archivi familiari dei personaggi di primo piano nella realizzazione dell’opera, archivi del Club Alpino dell’Aquila - Di Giangregorio racconta non solo le fasi della progettazione e della costruzione della funivia, ma anche il contesto nazionale, l’interesse che l’impianto, d’avanguardia per l’epoca, suscitò. Nel corso di quell’anno L’Aquila fu meta di personaggi più disparati, tecnici da ogni parte del mondo, politici, inviati dei grandi giornali, come per esempio lo scrittore in erba Carlo Emilio Gadda, allora cronista del quotidiano torinese Gazzetta del Popolo. In un articolo titolato «La filovia del Gran Sasso» scrisse: «L’Aquila novantanove volte sacra nelle novantanove sue chiese, alta nel nome e nel sito, pura d’acque, invita alla sua montagna la giovinezza nuova d’Italia. L’invito non è redatto in parole, ma in opere. Raggiunta Paganica per la strada nazionale dell’Aterno e per la deviazione di Bazzano, incontri la nuova camionale assai larga e ben fatta, di buone curve e pendenze. Ed è questa, lungo la fossa rupestre del fiume immissario, il Raiale, che ti conduce a Camarda e poi ad Assergi. Vedi allora, volgendoti, allontanare sui colli appianati le case e le ville degli uomini, i loro mandorli, le brune arature: l’aridità pura del monte ti ha preso, la roccia affiora dal pascolo: e la montagna è davanti come il bastione della solitudine, superba e chiara verso il crinale.
 Di qui, dov’è ora la stazione d’arrivo delle automobili, la stazione inferiore della funivia del Gran Sasso, da questo spiazzo imprendeva il solitario turista di un tempo ad ascendere, oggi sessanta automobili trovano ricetto nella stazione ed i loro conducenti albergo nelle camerette ricavate sopra alle due sale di rimessa: ché questa è a due piani. Arrivi qua in mezz’ora dall’Aquila (venticinque chilometri) e in tre ore da Roma. Morale: tre ore di tempo permettono di trasferirsi da Piazza Colonna al campo dell’Imperatore, metri 2.128, quali che siano le stagioni, i venti, e le nevi. E di lì ascendere il monte d’Italia. A guardare dal suo vertice i mari».
 Per il futuro autore di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana la «filovia del Gran Sasso» incarnava nel 1934 l’esplosione della modernità. La cui storia oggi raccontano e documentano le pagine di Maurilio Di Giangregorio con dovizia di dettagli e curiosità, grazie anche a un ricco repertorio di foto d’epoca e ad una chiara costruzione narrativa.



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