DELATORI E FUCILATE…(Filetto dell’Aquila negli anni ‘20)

I fatti che sto per raccontare sono accaduti a Filetto, appena  finita la prima guerra mondiale,  negli anni venti. Il nostro personaggio principale è un giovane filettese, un certo Domenico Ciampa soprannominato “Minco” o “Scaccia”, nato l’8 maggio 1898, figlio di Angelo Ciampa e Caterina Massaro.

- di Giovanni Altobelli - Questo giovane abita con la famiglia nel quartiere “Giurmella”, attuale Via Aruccia Castello. Pare che Domenico Ciampa  sia stato da giovane un “tipaccio” e un violento. Non rifletteva su quello che faceva. Non aveva paura neanche della legge. Molte persone a Filetto lo temevano, scansavano l’occasione… A proposito, vi sono alcune vicende da raccontare. Il primo episodio è avvenuto a Camarda, vicino a “Piedi la Forma”. Si narra che Domenico Ciampa col fucile abbia sparato ad oltre 100 piccioni della ricca famiglia Moscardi. Senza paura, li ha raccolti e  infilati dentro una balla di canapa, riportandoli a Filetto, senza che nessuno gli potesse dire qualcosa… Il secondo episodio avvenne alla periferia sud-est del paese, in località: “Carecara”, mentre Domenico Ciampa si aggirava col fucile nella zona e mentre passavano due carabinieri a cavallo, della stazione di Paganica. L’appuntato disse al Maresciallo: “Chiediamo il porto d’armi a quel soggetto!” Il Maresciallo rispose all’appuntato.  “Lascia perdere, ché Lo conosco io che tipo è quello!” Per raccontare gli altri avvenimenti su Domenico Ciampa, bisogna raccontare una breve storia sul possidente filettese Antonio Palumbo, grande allevatore e agricoltore dell’epoca. Negli anni venti possedeva oltre ventimila pecore, oltre cavalli, muli, asini ed aveva un seguito di personale di butteri e vergari. Faceva la transumanza, dalle montagne di Filetto e Campo Imperatore a S. Cecilia nel Foggiano. Palumbo era proprietario di diverse case. Aveva tanta gente che lavorava per Lui. Le donne espletavano i lavori domestici, dato che in quel periodo si faceva la fame. Don Antonio in quel periodo si era circondato di “referenti”  guardiani, ruffiani che gli raccontavano l’andamento della sua azienda e il comportamento dei cittadini verso la pubblica amministrazione, essendo Sindaco del paese. Molti referenti facevano il “doppio gioco”: una volta andavano d’accordo col padrone e una volta col popolo. In quel periodo storico a Filetto si era creata una piccola banda di filettesi contrari a Don Antonio Palumbo. C’era la fame e tanta miseria e i più poveri odiavano i ricchi. La banda di giovinastri cominciò a fare dispetti e danni a Don Antonio, danneggiandogli alcune colture. Gli venne bruciato grano e segale. Gli vennero sgozzate oltre 200 pecore e gli sbudellarono tante vacche. Sarebbe stata forse opera di Domenico Ciampa, secondo quanto si vociferava in paese e secondo quanto, forse, era stato riportato da un referente di Don Antonio, un certo “Crisanto Ciampa”, detto “Ferretto” – nato a Filetto il 21.10.1855, altro noto personaggio dell’800/900. La voce giunse anche alle orecchie dello stesso Domenico Ciampa, detto “Scaccia”. In paese, infatti, si borbottava che a fare la soffiata a Don Antonio fosse stato proprio Crisanto Ciampa. Al nostro presunto caporione della banda Domenico Ciampa non andava a genio che si parlasse male di lui. Forse, si era anche sentito offeso da questa calunnia. Pertanto, aveva pensato di fargliela pagare a “Ferretto”con la morte. Verso l’anno 1924 Domenico Ciampa in  una tarda serata di autunno, si trovava a Filetto con amici presso la nota cantina di “Zio Ernesto Altobelli” in via Romana, dove si svolgeva il batti-fondo con le carte.  Egli ad un certo momento, verso le ore 22.00 della serata, lasciò le carte ad un suo amico e si assentò, dicendo ai compagni di gioco che doveva fare un bisogno fisiologico. In realtà si recò di corsa in poco tempo col fucile fra le montagne di Filetto, in località “Piedi Ruzza” per vendicarsi e  ammazzare ”Crisanto Ciampa”, responsabile per aver fatto la “soffiata” a Don Antonio Palumbo, capo del paese dei misfatti ricevuti e organizzati forse dal giovane “caporione” Domenico Ciampa. Crisanto Ciampa, detto  “Ferretto”, si trovava nella tenda affianco alle pecore recintate da reti. Domenico Ciampa mirò col fucile verso la tenda dall’esterno, sparando due colpi nel punto in cui presumeva che si trovasse la sua testa. Convinto di averlo ucciso, ripartì subito alla volta di Filetto per riprendere il gioco delle carte nella cantina di “Zio Ernesto”. Nessuno sospettò di questo crimine. Tuttavia Crisanto Ciampa, detto “Ferretto”, non fu ucciso, ma fu soltanto ferito gravemente alle gambe, perché, essendo entrata l’acqua nella tenda, a causa di un forte temporale notturno, si era girato con la testa al contrario e non si trovava nella posizione prevista da Domenico Ciampa. Il giorno successivo intervennero i carabinieri di Paganica per indagare sull’accaduto. Crisanto Ciampa accusò Domenico Ciampa di tentato omicidio nei suoi confronti,  ma quest’ultimo si difese, asserendo di non essere stato lui e chiamando a sua discolpa i compagni di gioco, affinché testimoniassero in suo favore, in quanto quella sera stava giocando con loro alla cantina di “Zio Ernesto”.  Dopo questo increscioso fatto, fu accusato Luigi Marcocci di Elia, perché qualche giorno prima aveva avuto un’accesa lite con “Ferretto”. Luigi Marcocci fu dunque arrestato e condotto in Via delle prigioni a Paganica presso la pretura. Successivamente fu trasferito alle carceri di San Domenico a L’Aquila per due lunghi anni. Dopo qualche mese Domenico Ciampa, detto “Scaccia”, fece l’ultima bravata a Don Antonio Palumbo. Mentre questi ritornava con la sua biga dall’Aquila lungo la rotabile Camarda-Filetto, in località “Rovara”, fu bloccato da Domenico Ciampa, il quale lo minacciò di morte con le seguenti parole: «Antonio, mi devi firmare le carte per l’espatrio in America». Già in precedenza, infatti, Don Antonio, in qualità di Sindaco, gli aveva dato referenze negative. Domenico Ciampa dunque proseguì «Devi parlare con i tuoi superiori, altrimenti sarò costretto ad agire…!» Dopo breve tempo, Domenico Ciampa poté espatriare in America. Dopo un lungo viaggio col bastimento, raggiunse diversi compaesani filettesi alla città di Monongahela dello Stato della (Pennsylvania) dove si trovavano diverse miniere di carbone e minerali di ferro. Dopo qualche giorno con l’aiuto dei paesani prese servizio in miniera. Domenico Ciampa in poco tempo venne conosciuto subito dallo Sceriffo della città, perché era  un “attacca-brighe”. Faceva continuamente a botte… Aveva insomma gli stessi comportamenti di quando stava in Italia a Filetto. Si fece una pessima reputazione. Dopo due anni di permanenza a Monongahela, nel 1926, mentre lavorava in miniera con altri due compaesani di Filetto – un certo Mariano Moro e Amedeo Ciampa – gli cadde addosso un pezzo di roccia, che lo ferì gravemente. Venne immediatamente soccorso dai compagni, ma non ci fu niente da fare… In punto di morte, prima di spirare, rivelò che a sparare due anni prima a Crisanto Ciampa era stato proprio lui e non Luigi Marcocci… Le forze dell’ordine americane raccolsero la notizia e comunicarono in Italia e alla famiglia che Luigi Marcocci doveva essere scarcerato per non aver commesso il tentato omicidio nei riguardi di Crisanto Ciampa. Domenico Ciampa detto “Scaccia”, morirà all’età di 28 anni. Qui finisce una storia fatta di personaggi di altri tempi, di miseria e povertà,  di odio del passato ‘900.

Personaggi:
Domenico Ciampa detto  “Scaccia”……………L’attentatore con fucile
Crisanto Ciampa detto “Ferretto”……………  Il presunto delatore
Don Antonio Palumbo……………………………Signorotto e Sindaco del paese
Luigi Marcocci, detto di “Livetto”…………… L’arrestato ingiustamente
Zio Ernesto Altobelli…………………………….Il cantiniere di Filetto
Amedeo Ciampa………………………………1°..Emigrante a Monogahela
Mariano Moro………………………………   2°  Emigrante a Monogahela



  
 



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