"Un ricordo di Cesare" di Giusepoe Lalli

Da l'altro ieri Via Porta del Colle e la piazza di Assergi sono più tristi, senza il sorriso  e la voce inconfondibile di Cesare, romano di nascita e assergese d'adozione, morto a ottantasette anni portati stupendamente nonostante i molti acciacchi.



La morte di Cesare Binanti mi ha molto colpito. Per me Cesare era molto di più di un "romano" che aveva sposato una donna di origine assergese, la figlia di zio Attilio, che ricordo come un uomo anziano che d'estate faceva coppia fissa con De Luca, in quella piazza da "sabato del villaggio" che mi ha visto nascere e crescere. La figura di Cesare, che conosco da quando ero bambino, mi ha accompagnato per tutta la vita. Giocavo con i suoi figli, Lello e Massimo, quando tornavano da Roma nel periodo estivo. Mi colpiva la vista di questo padre giovane e bello, che, a ripensarci bene, sembrava un attore dei film del neo-realismo. In quell'angolo tra i più suggestivi del paese, vicino alla chiesa, Cesare era ormai diventato un'istituzione, come lo era, del resto, mia madre Antonietta.
Sei anni fa, quando mia madre fu ricoverata a Fontecchio, dove sarebbe morta tre anni dopo, Cesare, con quell'inflessione romanesca che non faceva che accentuare la solarità del suo carattere, mi disse: "A Peppì, me dispiace propio tanto, credime, che nun la vedemo più Antonietta a sta strada. Ao pe me era nn'istituzzione...". Queste parole, semplici e sincere, mi commossero molto. Anche adesso, scrivendole, mi viene un groppo alla gola.
Che dire? A Cè, te vojo bene. Speramo da rivedecce, nzieme a mì madre e ai mì nonni, nello stesso vicoletto vicino alla piazza, rischiarato dalla luce der sole che nun tramonta...

 



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