Debutta lo spettacolo teatrale FONTAMARA a Pescina

Debutta sabato 2 marzo, alle ore 21.00, presso il Teatro San Francesco a Pescina, il nuovo spettacolo, coprodotto dal Teatro Stabile d’Abruzzo e il Teatro Lanciavicchio, “Fontamara”, allestimento tratto dal romanzo di Ignazio Silone con l’adattamento scenico e la drammaturgia di Francesco Niccolini.
Una straordinaria pièce che porterà in scena la storia di Berardo Viola e di Elvira, dei fontamaresi e di quel mondo di abusi e soprusi di cui furono tragicamente vittime.
I cafoni di Silone, oppure i fantasmi di uno spaccato della società di mezzo, la guerra e il fascismo da una parte, i latifondisti e l’avidità dall’altra, il tutto raccontato attraverso la straordinaria recitazione di 5 attori, 5 personaggi che daranno voce, a turno, a più personaggi, a volte vittime, altre carnefici.
La produzione è in collaborazione con il Centro Studi Ignazio Silone, il Comune di Pescina e il Comune di Avezzano.
In scena Angie Cabrera, Stefania Evandro, Alberto Santucci, Rita Scognamiglio, Giacomo Vallozza, diretti da Antonio Silvagni. Musiche originali di Giuseppe Morgante.

Voci. E Fantasmi. Talvolta fantasmi di fantasmi. Così i cinque attori: danno voce a un mondo, a un paese, ai suoi abitanti e pure ai loro carnefici. Raccontano quel mondo  quasi fosse un'opera sinfonica a più voci  Le voci dei protagonisti si accavallano con quelle dei personaggi minori: ogni attore deve acrobaticamente passare da un'identità all'altra. Giuvà, Matalè, il loro figlio, Marietta, Scarpone, e poi il generale Baldissera, Papasisto, Venerdì Santo, Ponzio Pilato, Betta Limona, l'impresario, il cavalier Pelino, don Circostanza, le mogli, i carabinieri, un prete venduto, un sacrestano disperato...un mondo si affolla sul palcoscenico attraverso una partitura ferrea, un'alternanza di presenze e testimonianze. Perché di testimoni si sta parlando: quasi fossimo di fronte a un giudice, o forse al Giudizio Universale, sono tutti chiamati a ricostruire quei giorni osceni pieni di vergogna violenza e disumano accanimento sui più indifesi.
Mano a mano che l'intreccio di sviluppa, prendono corpo le storie dei Fontamaresi e degli abusi dei poteri forti ai loro danni. Più l'ombra incombente del fascismo che si sposa con gli interessi dei latifondisti. E insieme, la storia dei due protagonisti assenti, Berardo ed Elvira: in mezzo a questo concertato di voci, solo le loro mancano. Berardo ed Elvira esistono solo nel ricordo degli altri. Eppure, qui, sono tutti fantasmi. A parte un unico sopravvissuto: il figlio di Giuvà e Matalè. Solo lui si è salvato. Da lui parte il racconto: se fossimo davvero di fronte a un tribunale, lui sarebbe il supertestimone, quello da proteggere, quello da cui dipende la riuscita o meno del processo. Lui evoca tutti i fantasmi, e i fantasmi si presentano e  a loro volta i fantasmi ne generano altri e altri e altri ancora. Fino alla fine. Fino alla strage. Fino al genocidio. Perché di genocidio si tratta.


“Torno a Fontamara 35 anni dopo il mio primo viaggio. - dice Francesco Niccolini. - Allora avevo 15 anni: la forza disperata dei tre testimoni protagonisti del capolavoro di Silone non mi ha mai abbandonato. Quello stile piano, colmo di dignità e al tempo stesso di umiliazione, l'ironia della scrittura e la ferocia dei potenti. I privilegi dei ricchi, la loro ingordigia, la presa in giro spietata di un mondo destinato al genocidio. Perché un genocidio è stato. Solo che allora non avevo gli strumenti per capirlo. Quando vent'anni fa ho avuto la fortuna di lavorare con Marco Paolini e Gabriele Vacis al Racconto del Vajont, uno dei capitoli più duri da studiare e al tempo stesso esempio di coraggio e forza morale, è stata la lettura dell'arringa dell'accusa, scritta dall'avvocato Sandro Canestrini, ora novantaquattrenne: ne fece un piccolo libro, un autentico pamphlet, che intitolò Vajont:genocidio di poveri.Ecco, tornando a Fontamara a distanza di tanti anni, e con molti chilometri e incontri belli e tragici sulle spalle, penso che questo romanzo capolavoro sia un altro capitolo fondamentale per chi ha deciso di raccontare quel genocidio. Ora, insieme agli attori cafoni  come si definiscono loro stessi del Teatro Lanciavicchio e ad Antonio Silvagni, provo a portare quelle voci e quei fantasmi sul palcoscenico.”


“Pietà Sentimento di affettuoso dolore, di commossa e intensa partecipazione e di solidarietà che si prova nei confronti di chi soffre.- dice nelle sue note il regista Antonio Silvagni.- Fontamara è un romanzo spietato.
Questa assenza mi ha suscitato da sempre un certo  fastidio in questo straordinario romanzo, che ho amato, che dovevo amare, raccontava della mia terra, ma ...qualcosa mi allontanava da Silone.  Sentivo che la commozione che io provavo per i cafoni, non intaccava minimamente Silone e questo lo trovavo inspiegabile, ma anche insopportabile.Silone non lascia trasparire mai la pietà per la situazione miserrima  dei cafoni, che pure vivono  in condizioni disumane, vengono  imbrogliati, sbeffeggiati, sfruttati, violentati uccisi, ma l'autore tira avanti dritto nella sua strada narrativa, senza indugiare un momento in considerazioni  sul loro dolore, in descrizioni della loro afflizione. Malgrado quello che accade ai fontamaresi, Silone non è mai indulgente con loro, con i loro difetti, le loro meschinità dettate dall'ignoranza e dalla miseria. Poi -colpevolmente in ritardo- ho capito  che una delle  forze del romanzo è proprio questa assenza di indulgenza da parte dell'autore, questa scelta di sdradicare ogni forma di pietàdalla narrazione di una storia cosi terribile, quella spietatezza nella cronaca di fatti duri, cruenti, immorali che ci accompagna a all' ineluttabile destino di morte è il solo modo di raccontare una società che per affermarsi ha bisogno di sbeffeggiare l’ingenuità, sbeffeggiare l'ingenuità, calpestare i più deboli.  L' assenza di commozione è la strada  che intraprende  Silone per commuovere, per  commuoverci… 'farci muovere verso’... E muovere qualcuno e far muovere qualcosa attraverso l'arte in un momento storico di coscienze assopite come quello che ha vissuto Silone, era un grande obiettivo. A lui è riuscito, e riesce  ancora a quasi un secolo di distanza. Abbiamo cercato con il nostro spettacolo di essere il più possibile vicini a Silone, abbiamo cercato uno spettacolo asciutto, rigido, duro. Uno spettacolo senza pietà.
Senza pietà per  i cafoni e la loro storia.
Senza pietà per gli attori inchiodati sul posto a dar vita a cento vite.
Senza pietà per quegli spettatori abituati a ammiccamenti e moine.
Senza pietà per i figli dei cafoni di Fontamara e le loro storie d’oggi.”

 



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