ANCHE L’ASSERGESE GIACOBBE SUL PIROSCAFO ORIA LA TOMBA DIMENTICATA DI 4200 SOLDATI

Sul muro della memoria dei dispersi del piroscafo Oria, affondato nel mar Egeo con i prigionieri italiani, c’era un giovane assergese, Giacobbe De Amicis, cugino di Antonio e Giacobbe Massimi (de Pojana).

 


L’episodio di guerra è avvenuto il 12 Febbraio 1944, ma solo da poco tempo e dopo tante peripezie è stato ufficialmente inserito il nome del nostro compaesano nella lista grazie al nipote Gianfranco Serafini, che vive a Roma ma da ragazzo ha vissuto per lunghi periodo nel nostro borgo.

Pochi sanno del naufragio del piroscafo norvegese Oria e degli oltre 4000 militari italiani che vi hanno perso la vita.
La nave di 2000 tonnellate, varata nel 1920, requisita dai tedeschi, salpò l'11 febbraio 1944 da Rodi alle 17,40 per il Pireo. A bordo più di 4000 prigionieri italiani che si erano rifiutati di aderire al nazismo o alla RSI dopo l’Armistizio dell'8 settembre 1943, 90 tedeschi di guardia o di passaggio e l'equipaggio norvegese.
L'indomani, 12 febbraio, colto da una tempesta, il piroscafo affondò presso Capo Sounion, a 25 miglia dalla destinazione finale, dopo essersi incagliato nei bassi fondali prospicienti l'isola di Patroklos (in Italia erroneamente nota col nome di isola di Goidano).
I soccorsi, ostacolati dalle pessime condizioni meteo, consentirono di salvare solo 37 italiani, 6 tedeschi, un greco, 5 uomini dell'equipaggio, incluso il comandante Bearne Rasmussen e il primo ufficiale di macchina.
L'Oria era stipata all'inverosimile, aveva anche un carico di bidoni di olio minerale e gomme da camion oltre ai nostri soldati che dovevano essere trasferiti come forza lavoro nei lager del Terzo Reich.
Su quella carretta del mare, che all'inizio della guerra faceva rotta col Nord Africa, gli italiani in divisa che dissero no a Hitler e Mussolini vennero trattati peggio degli ignavi danteschi nella palude dello Stige: non erano prigionieri di guerra, di conseguenza senza i benefici della Convenzione di Ginevra e dell'assistenza della Croce Rossa. Allo stesso tempo, poi, il loro sacrificio fu ignorato per decenni anche in patria.
Nel 1955 il relitto fu smembrato dai palombari greci per recuperare il ferro, mentre i cadaveri di circa 250 naufraghi, trascinati sulla costa dal fortunale e sepolti in fosse comuni, furono traslati, in seguito, nei piccoli cimiteri dei paesi della costa pugliese e, successivamente, nel Sacrario dei caduti d’Oltremare di Bari. I resti di tutti gli altri sono ancora là sotto.

 



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