L’Aquila e il Giro d’Italia, una lunga storia…


di Enrico Cavalli



Lo sport moderno, secondo le scienze sociali, origina in sintonia alla civiltà industriale.

Il velocifero-bici che sfornato da un opificio serve per andare al lavoro o divagazione, simboleggia lo sport industrialista, ma è un mezzo di locomozione privato che a dispetto delle lotte ottocentesche, si determina come pratica interclassista.

Attecchisce la bicicletta nell’Aquila che dall’Unità cerca una visibilità nazionale anche tramite il verbo sportivo, rinverdendo le sue celeberrime arti alpinistiche, balistiche, ginnasiarche, fino a coltivare le nuove attività del leisure time, tipo il football.

Si assiste al salire di attenzione municipale per il ciclismo, con gli artigiani socialisti che nonostante le censure massimaliste verso lo sport “distraente” le masse, sostengono una industriosità di settore; alla Fiera celestiniana del 1883, spuntano le gymkane studentesche; al teatro comunale, una “contessa Filomena" compie funambolismi col velocifero; un ingegnere, parte da Torino in bici, per tornare alla sua Aquila, nel 1891; il consiglio comunale applica tasse ai temerari delle due ruote, nel 1893; per la venuta di Umberto I di Savoia, pure, si realizza un ciclodromo a Collemaggio, nel 1895; alle piccole olimpiadi di Expò aquilana del 1903, spiccano squadre ciclistiche cittadine che primeggiano nei challenge allestiti dalla rivista aprutina ”IlVelocipede”.

In questo sostrato di popolarità locale del ciclismo, succede che “La Gazzetta dello Sport”, dopo la buona risultanza dell’arrivo a Chieti del primo Giro d’Italia nel 1909, alla successiva edizione, riceve la candidatura dell’Aquila, per una tappa intermedia della discussa poi Teramo-Napoli.

Dopo che i girini vanno a Sulmona nel 1911, a Pescara nel 1912, ecco l’annuncio che il Giro d’Italia nel 1914, come sesta tappa giungerà da Bari ad Aquila.

Con curiosità si attese l’arrivo dalla capitale pugliese, della pittoresca carovana della”Gazzetta dello Sport” sul rettilineo delle villette liberty di via XX Settembre e del gruppone di assi prevalse Calzolari, su Girardengo e l’attardato Azzini in quel del circuito di Popoli; poi, una folla antelucana attorniò l’”Albergo d’Italia” per la punzonatura il 5 giugno 1914, della tappa girina più lunga ed ardua di 430 chilometri, che avrebbe condotto i residui corridori fino a Lugo di Romagna, sicché, vinse il primo Giro d’Italia con classifica a tempo, proprio per lo scollinamento aquilano, Calzolari.

Siamo al tempo della “settimana rossa”, al rombare del cannone in Europa, quindi, in chiave aquilana, al sisma marsicano del 1915: si mobilitano ciclisti in grigioverde, ma lo sport non si ritrae e la bicicletta resta un mezzo di aggregazione per chi è in attesa di notizie dal fronte e poi per la riconversione difficile al termine della Grande Guerra.

Soprattutto, per gli uffici del fondatore della testata rosea, il conte meneghino Bonacossa dalle intense frequentazioni sul Gran Sasso, tornerà nell’Aquilano, il Giro d’Italia ed in annate che un po’scandiscono le fasi storiche comprensoriali.

Ecco che nel 1935, Bartali entra al velodromo comunale di una capitale sportiva italiana e “Ginettaccio” nel 1950 e ’54 suggella coi Coppi, Koblet,Magni e vincitori di tapponi Astrua e Clerici, la Ricostruzione post bellica; nel 1965,’68 e 1971, gli scalatori alla Carlesi, Gabbo, Basso, Lopez Carril, per non citare il camoscio d’Abruzzo Taccone, testimoniano il boom economico dalle Rocche al Gran Sasso che nel 1989 è affrontato da Carlsen e Fignon, come l’ingresso alla Seconda repubblica ed alla recessione di un territorio che saluta nel 1999 il profilo di Pantani e stringe amicizia col ciclismo del terzo millennio nella edizione del 2005 che disarciona il pescarese Di Luca; il connubio L’Aquila-Giro si rafforza al sisma del 2009, nel veloce passaggio in rosa del 2016 ed arrampicata a Campo Imperatore di Yates nel 2018, fino alla tappa che da Vasto giungerà al traguardo della Villa Comunale, in un’atmosfera di kermesse civile e sportiva.

Chissà, forse, lo meditino i pur bravi e volenterosi dirigenti dei sodalizi di settore e gli stessi amministratori pubblici, che il futuro del ciclismo aquilano, pur annoverante exploits internazionali, non possa discendere anche da una migliore narrazione della propria epopea, in specie, per gli “Aquilotti/e! che si approcciano a questa partizione dello sport di una municipalità, onorata della ennesima venuta di sua maestà il Giro d’Italia.



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