I nipoti di Galileo tra neutrini e Big Bang

Laureato in chimica e passato al giornalismo scientifico, Pietro Greco in un libro di 360 pagine pubblicato da Dalai ci presenta “I nipoti di Galileo”: scienziati italiani di oggi dalla statura internazionale intervistati e raccontati nel contesto della loro disciplina.

Incontriamo il matematico Alessio Figalli (dall’università di Pisa a quella del Texas), Vincenzo Balzani, chimico che costruisce macchine molecolari e cerca nuovi sistemi per usare l’energia solare, Bruno Siciliano, l’ingegnere dei robot, Giacomo Rizzolatti, scopritore dei neuroni specchio all’origine dell’imitazione, dell’apprendimento e dell’empatia, Pier Giuseppe Pelicci, oncologo e studioso dell’invecchiamento, Elena Cattaneo, biologa sulla frontiera delle cellule staminali. A rappresentare la fisica c’è Lucia Votano (foto), direttrice del Laboratorio del Gran Sasso.

La prima osservazione che viene in mente nello scorrere l’indice del libro di Greco è che apparentemente Galileo non avrebbe lasciato nipoti nella disciplina che occupò gli anni più fecondi della sua carriera scientifica: l’astronomia.

In realtà non è così. Lucia Votano rappresenta bene anche la scienza dell’universo in quanto dirige un Laboratorio dedicato a quel recente ambito di ricerca che va sotto il nome di fisica astro-particellare. In altre parole, l’indagine sull’estremamente piccolo del mondo subatomico e l’indagine sull’estremamente grande della cosmologia si sono intrecciate al punto che non si può studiare il microcosmo senza studiare il macrocosmo, e viceversa.

Così, LHC, il super-collider del Cern, è uno strumento per riprodurre in miniatura fenomeni che avvennero nei primi istanti seguiti al Big Bang, ed esperimenti come “Auger” catturando particelle dei raggi cosmici ad altissima energia servono a indagare su fenomeni che per ora sono lontanissimi dalla portata degli acceleratori di particelle e forse lo saranno per sempre. Sicché l’universo intero è diventato un laboratorio di “esperimenti naturali” dove osservare le particelle elementari in condizioni estreme.

La storia di Lucia Votano è anch’essa un segno dei tempi che cambiano. Figlia di un medico, è nata nel secondo dopoguerra a Villa San Giovanni, cittadina calabrese che certo non offre grandi opportunità a chi non voglia lavorare nelle attività portuali. Lucia Votano prende la maturità classica in un liceo di Reggio Calabria e si iscrive a Fisica alla Sapienza di Roma. Di qui spicca il volo con gli strumenti che le offre il Cern, entra nella collaborazione internazionale che dà vita al Laboratorio del Gran Sasso, e ora è la prima donna a guidare un santuario della fisica di quel livello.

Un esperimento Cern-Gran Sasso chiamato “Opera” pochi mesi fa per la prima volta ha documentato l’oscillazione dei neutrini, cioè la trasformazione di un tipo di neutrino in un altro (se ne conoscono tre: il neutrino dell’elettrone, quello del muone e quello della particella Tau). L’ipotesi dell’oscillazione risale a Bruno Pontecorvo. La conclusione è che, per quanto piccola, il neutrino ha una massa, e ciò ha conseguenze importanti sia per il Modello Standard delle particelle elementari sia per la cosmologia, benché la leggerezza dei neutrini non possa risolvere la questione della “materia oscura” che, insieme con l’”energia oscura”, è il grande problema dell’astrofisica di questi anni.

Possiamo domandarci se tra questi nipoti di Galileo ci siano anche futuri premi Nobel del nostro paese. La risposta è delicata, perché nel Nobel agiscono meccanismi complessi di cooptazione associati a sottili valutazioni scientifiche. Certo i neuroni specchio di Rizzolatti sono ottimi candidati, e risultati altrettanto interessanti possiamo aspettarci dalle staminali di Elena Cattaneo, dalle macchine molecolari di Balzani e dagli esperimenti sulle astroparticelle del Gran Sasso. Proprio in quest’ultimo campo fu assegnato un Nobel per la fisica che vide tra i premiati Riccardo Giacconi.

Il libro di Greco ne evoca un altro, nel quale Angelo Guerraggio, professore di matematica alla “Bocconi”, e Pietro Nastasi, storico della matematica all’Università di Palermo, hanno raccontato diciotto storie esemplari di scienziati italiani dall’Unità d’Italia ai nostri giorni.

Esemplari non significa eccezionali. Alcune lo sono – Golgi, Marconi, Fermi – altre sono ordinarie ma non meno istruttive, come il viaggio che un gruppo di matematici fece in Europa nel 1858. Altre ancora sono vicende di inventori accomunati dalla mancanza di supporto industriale (Antonio Meucci, Galileo Ferraris, Alessandro Cruto) o di istituzioni con luci e ombre (Sips e Cnr, entrambi legati a Vito Volterra), o di docenti universitari che non giurarono fedeltà al fascismo (dodici in tutto, l’uno per cento del totale).

Purtroppo l’insieme racconta un declino che diventa drammatico negli Anni 60 del secolo scorso, quando politici miopi e/o in malafede fecero piazza pulita della nostra ricerca biologica (caso Marotta), nucleare (caso Ippolito), informatica (Olivetti) e chimica vicende Montedison). Si distinse Saragat: fare centrali nucleari è come tagliare alberi per fare segatura, i computer non hanno futuro, meglio le macchine per scrivere...

C’è il medagliere dei Nobel, per carità. Ma Luria (1969), Giacconi (2002) e Capecchi (2007) sono naturalizzati americani. Daniel Bovet divenne italiano, ma era svizzero. Tiene alta la bandiera tricolore Rita Levi Montalcini, 102 anni compiuti il 22 aprile scorso, ultima italiana “vera” festeggiata a Stoccolma. Nel 1986.





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