ONDINA VALLA, PRIMA AZZURA D'ORO ALLE OLIMPIADI NEL TREDICESIMO ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA

Il 16 ottobre ricorre il tredicesimo anniversario della scomparsa della olimpionica ONDINA VALLA.
Riportiamo l’ultima intervista che fece il giornalista Dante Capaldi alla RTA(Radio Televisone Abruzzo nel 1979,) alla indimenticabile atleta, bolognese di nascita, ma aquilana di adozione a tutti gli effetti.

 


 

 

Conobbi Ondina Valla nel negozio di articoli sportivi Lussosport del collega in giornalismo Gianni Lussoso. La invitai a venire come ospite nella mia trasmissione a RTA (Radio Televisione Abruzzo da me fondata e diretta nel 1978). Accettò subito con molta semplicità. Temevo un suo rifiuto considerando la statura del personaggio, prima donna italiana a vincere una medaglia d'oro alle Olimpiadi del 1936 a Berlino. Invece fu affabile, amabile subito mi mise a mio agio, io giovane cronista dell'Aquila e lei grande atleta intervistata in tutto il mondo

Ondina Valla era una donna statuaria, molto bella anche in quel 1964. Viveva ad Aquila perché aveva sposato il dottor De  Lucchi che aveva una sua clinica in periferia, nella zona di Pettino.

Mi appare giunonica, pur essendo alta 173 cm, ma per quegli anni era una altezza non usuale nelle donne.

Venne in redazione e portò anche la medaglia d'oro vinta a Berlino, quella medaglia che le fu rubata in casa in via XX Settembre, e che dopo anni le feci avere un duplicato dal presidente del Coni e, quel giorno, il suo commento fu: "Bella, ma non è la stessa."

Racconto in sequenza ciò che mi disse in quella lunga intervista, un po' sollecitata dalle mie domande, molto dalla sua voglia di raccontarsi, dopo tanti anni e dopo essere uscita dall'interesse dei media che bruciano le realtà dopo pochi anni.

Scoprii che ad Aquila, tra i tanti ragazzi che frequentavo per le mie attività didattiche e giornalistiche, molti non sapevano che avevamo in città una vera gloria internazionale.

Molto del suo racconto lo propongo come riflessione d'insieme, e senza spezzettare il suo dire con le domande e le risposte.

Ascoltarla era un'esperienza fantastica e lei, con il suo accento ancora bolognese, nonostante gli anni vissuti all'Aquila, coloriva le varie fasi della sua vita di atleta con espressioni che facevano non solo immaginare, ma vivere, i suoi momenti di gloria e di lotte e di sofferenze per arrivare al momento culminante in cui Hitler le consegnò la medaglia a Berlino.

Per rompere il ghiaccio, presi il discorso alla larga, non volevo bruciarmi l'intervista chiedendole subito della vittoria olimpica.

Signora, perché si corre?

La socievolezza, mi disse, è una motivazione potente della pratica sportiva. Tutti coloro che fanno sport sanno che in compagnia è più facile perseverare a lungo in un’attività. L’allenamento regolare è stimolato dall’emulazione che nasce nei circoli e nelle uscite di gruppo. 

Signora Valla...

Può chiamarmi Ondina, se preferisce, così mi fa sembrare una vecchia signora ed io, invece, sono ancora giovane e vitale, le mie gambe sanno correre ancora e sfiderei qualche "quatrana" a reggere il mio passo.

Certo Ondina, allora le chiedo, se non può sembrare assurdo il sacrificio se si misura la fatica con il risultato ottenuto: nessun guadagno se non simbolico e di valore esclusivamente soggettivo. Certo, per lei è diverso perché è arrivata al top olimpico, ma le migliaia di persone che corrono, perché lo fanno?

Gli esseri umani sono “nati per correre” mi rispose con semplicità. 

Quando ha cominciato a correre e ha capito che poteva essere la sua strada, il modo di conquistare se stessa?

Con gli occhi rivolti verso il soffitto, quasi stesse tornando ai suoi anni giovanili, in un sussurro, mi disse: Ho sempre corso da bambina e mi divertivo a staccare sempre i miei fratelli. Appena undicenne, il 23 giugno 1927, vinsi con un metro e dieci il salto in alto in una gara tra le alunne di Bologna, piazzandomi poi al terzo posto nei 50 metri piani e nel lungo, con un buon 3,52. Il maggiore Vittorio Costa, organizzatore dei Littoriali, era presente all’evento e mi disse di impegnarmi in quella disciplina perché, per lui, avevo un talento naturale. Fu l’inizio di una carriera folgorante.

A soli quattordici anni, divenni campionessa italiana assoluta, e fui convocata in Nazionale dal CT Martina Zanetti che mi fece gareggiare in cinque gare (100 m, staffetta veloce, 80 m. a ostacoli, lungo e alto) e, in occasione di un Italia - Belgio del 1930, mi decisi a farmi chiamare, da quel momento Ondina, il nome in cui tutti mi conoscono ma che in realtà era Trebisonda, un nome orribile.

Perché quel nome?

L'ho chiesto a mio padre Gaetano, mi disse che aveva scelto un nome da “Mille e una notte”: Trebisonda, dall’antica città turca Trapezunte che possedeva tutte le meraviglie che anche io avrei dovuto possedere.

Mi ha detto che gareggiava in casa con i fratelli...

Sì ero la quinta dopo quattro fratelli, era la prima femmina di casa.   Madre Natura mi donò un fisico di tutto rispetto, quasi “campagnolo”, che mi permise, sin da giovanissima, di primeggiare nell’atletica, dal salto in alto alla velocità pura sino alla corsa ad ostacoli.

Chi erano i suoi fratelli? Qualcuno ha avuto successo nello sport?

Si chiamavano Augusto, Filippo, Walter e Rito, ma nessuno si è dato allo sport, è per la famiglia bastavo io. E rise alla sua battuta illuminando quasi il nostro studio televisivo.

Sinceramente, Ondina, ha mai avuto paura di vincere?

Strana, ma molto interessante la tua domanda. E’ apparentemente incomprensibile come un atleta, nell’affrontare il confronto agonistico, possa temere di vincere. Eppure questo fenomeno è tutt’altro che raro. Il mio allenatore, nei primi anni, quando vincevo quasi sempre, mi diceva che dovevo stare attenta alla depressione da successo.

Come si conquista il successo?

La conquista del successo richiede una notevole aggressività. Questa ha bisogno di essere gestita con disinvoltura fin dall’età infantile. Lo sport richiede aggressività.

Mi racconta quel favoloso 6 agosto 1936?

Sabato primo agosto 1936 la fiaccola, per la prima volta accesa a Olimpia, entrò nel gigantesco Olympiastadion. Dopo aver agevolmente liquidato il turno eliminatorio, il 5 agosto la Testoni ed io superammo con facilità le semifinali. Io, addirittura, eguagliai in 11” 60 il primato del mondo, pur se con un vento favorevole di 2,8 m/s. Il tempo mi venne omologato come record ventoso: all’epoca, infatti, non era ancora in vigore la regola che stabilisce in 2 m/s il limite massimo accettabile.

Giovedì 6 agosto era il giorno della finale.  Per tutta la notte avevo sognato il tricolore sventolante su un pennone, non ero in forma smagliante, tormentata da un fastidioso mal di gambe, così come Claudia Testoni che era nei giorni del ciclo. Faceva freddo, per essere un giorno d’estate, e cercammo di aiutarci con delle zollette di zucchero bagnate nel cognac.

In finale avevo male alle gambe. Partii piano e nella parte centrale della gara avevo qualche problema nel saltare gli ostacoli. Claudia, invece, partì fortissimo, portandosi subito in testa. Io in difficoltà, mi trovai a dover rimontare. Non feci l'errore di guardare le altre e corsi come se fossi la sola in pista: tattica indovinata, perché ai cinquanta metri avevo già raggiunto le avversarie. Fu allora che chiamai a raccolta volontà ed energie, aggredendo gli ultimi ostacoli come mai aveva fatto prima e gettandomi ad occhi chiusi sul filo di lana.

Fu un finale incredibile, con quattro atlete con lo stesso tempo, 11” 7. Ebbi subito la percezione della vittoria subito ma per i piazzamenti dovemmo attendere a lungo. Inizialmente fu data seconda l’altra azzurra, prima che la zielzeitkamera, il fotofinish desse un altro responso. Fui cronometrata in 11” 748, ma l’argento andò alla tedesca Anny Steuer con 11” 809. La Testoni perse anche il bronzo, pur avendo ottenuto lo stesso 11” 818 della canadese Betty Taylor (inizialmente classificata quarta) e, dopo uno sportivo abbraccio con la Valla, rientrò negli spogliatoi convinta di essere stata defraudata di una medaglia. Claudia si sarebbe rifatta negli anni seguenti con il titolo europeo del 1938 e quattro primati mondiali.

Mentre le note della Marcia Reale risuonavano e il tricolore saliva sul pennone più alto, realizzando il mio sogno mi adeguai al clima dell’epoca e levai il braccio destro nel saluto romano.

Dopo fummo ricevuti a Palazzo Venezia e Mussolini volle accanto a sé nella foto di rito soltanto me.

Oltre alla soddisfazione della vittoria cosa ricevette?

Una medaglia speciale e un assegno di cinquemila lire. Ma ricordo che divenni subito una star assoluta, quando le mie prime dichiarazioni furono rilanciate dalla radio in tutta Italia.

Dopo l'oro olimpico come andò la sua carriera di atleta?

Tormentata da un continuo mal di schiena (in realtà una spondilosi vertebrale, come ebbe a dire mio marito), gareggiai per altre quattro stagioni, fornendo comunque ottime prestazioni come il primato italiano nel salto in alto, stabilito nel 1937 con 1,56 m e imbattuto sino al 1955. All’inizio degli anni Quaranta lasciai lo sport attivo, dopo sedici presenze in Nazionale, quindici titoli e ventuno record italiani, di cui l’ultimo nel 1940 con il pentathlon.

E poi?

Poi conobbi nel 1944 il chirurgo Guglielmo De Lucchi e mi trasferii definitivamente all’Aquila.

Dopo i grandi successi internazionali, e lei che è nata in una città viva e palpitante come Bologna come si ritrova qui da noi?

Bene, perché dopo quegli anni di allenamenti gare e viaggi, avevo ed ho voglia di tranquillità.

Dissi della medaglia rubata. Come gli aquilani hanno vissuto la vicinanza di una così importante donna dello sport?

Con educazione e rispetto, mi ha risposto. Dato il carattere schivo e profondamente educato della gente, nessuno mi ha fatto sentire il peso del successo. Posso passeggiare tranquillamente per le vie nessuno mi disturba. Anzi, ho l'impressioni che molti giovani, non sanno nemmeno chi sono e la cosa non mi disturba affatto.

Cosa rappresentava per lei lo sport prima del ritiro? E cosa rappresenta oggi?

Lo sport per me è la vita. 

Dopo il suo ritiro dalle gare ufficiali come fa a mantenersi in forma?

Continuo a praticare tanto sport, prediligo la corsa, soprattutto all´aperto, a cui mi dedico appena arriva la primavera, e poi il nuoto in piscina, ma anche in mare, che aiuta a liberarsi dai liquidi in eccesso e fa benissimo alla pelle.

La sua vita, Ondina, dopo lo sport?

Nello sport, come nella vita, il proprio valore lo si dimostra alla fine e non all’inizio.

È sicuramente un’immagine triste quella dei riflettori che si spengono, ma forse è proprio in questo momento che si trova il significato di tutto. 

I cambiamenti sono tutti un po’ spaventosi, ma non aver paura di aver paura perché questa fa parte del brivido del gioco E’ difficile lasciare andare un sogno sul quale si è creduto per anni e sono pochi gli atleti che riescono a farlo con serenità e riconoscenza.

Molti hanno dovuto imparare a vivere senza lo sport e il “training down“, ad esempio, è stato studiato con la finalità di accompagnare i campioni a disintossicarsi dalla dipendenza dallo sport e ciò sig­nifica ridurre gradualmente l’intensità di allenamento, fino a raggiungere un equilibrio che può essere mantenuto per il resto della propria vita. Questo avviene a livello fisico ma anche emotivo, perché ancora più difficile è stac­carsi dall’eccitazione delle gare e della competizione.

 Essere coinvolti nello sport non dovrebbe precludere l’opportunità di esprimersi sotto altri aspetti: è importante trovare degli spazi, la forza e il tempo per dedicarsi anche ad altro. Come l’allenamento delle capacità atletiche possono portare a raggiungere degli importanti risultati sportivi, così l’acquisizione  di “compe­tenze di vita” possono aiutare ad aver successo e a formare delle persone migliori.

Ma l'Aquila non ha mai dimenticato la sua importante concittadina e nel novembre 2016

L’Aquila le ha reso omaggio con uno spettacolo teatrale: “Ondina Valla: oltre ogni ostacolo” per la regia di Lisa Capaccioli che si è svolta al ridotto del Teatro Comunale.  

Ondina continuò a vivere la sua vita all'Aquila dove morì il 16 Ottobre 2006. Solo quattro giorni dopo avrebbe compiuto novanta anni.

Milano ha inaugurato il 26 marzo 2018 Via Ondina Valla, una strada dedicata alla prima donna italiana entrata nel palmarès olimpico. L’Aquila non ha avuto questa sensibilità...,purtroppo!!

Concludo dicendo che, nella mia lunga esperienza giornalistica, anche se vissuta in redazioni di provincia, ho incontrato tanti campioni dello sport, pure a livello internazionale, venuti all'Aquila nei ritiri estivi o nei raduni di settore, e devo confessare che questa lunga chiacchierata con Ondina, che sinceramente non posso definire una classica intervista, mi ha dato enorme soddisfazione e mi ha fatto conoscere, oltre che l'atleta e la donna, dei risvolti dello sport che sono stati utili, successivamente, nel mio lavoro come Dirigente Scolastico e Docente all'ISEF (Facoltà di Scienze Motorie, cattedra si Pedagogia generale e differenziale) con campioni come Daniele Masala e Francesco Rocca.

E' proprio vero che l'esperienza fa maturare, specie se fatta con le persone che hanno molto da dire da insegnare. Grazie Ondina, ovunque tu sia.     

Dante Capaldi



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