Un Presepio in Assergi con Statuette di Creta (di Eugenia Vitocco)

Eravamo un gruppetto di bambini e bambine lì alla porta negli anni del 1930 e 1940. Vivevamo un pò appartati dal grande gruppo degli altri ragazzi e ragazze di tutto il paese. Essi erano forti, abilissimi ed eloquenti a difendersi e a sopraffarci per quegli ingénui litigi che si creavano competendo nei giochi di giovani innocenti di allora. Così vivevamo il nostro giorno nelle due piazzette, avanti e dietro la Porta con l’orologio monumentale che ci guardava e ci proteggeva quando giocavamo i secolari giochi di Assergi, dal pane e salame, alla bella Maddalena e al Chi chi alquanto chiassosi ma bonariamente accolti dagli uomini e donne che con i secchi dei maiali ed il fascio di legna da bruciare sotto il braccio rincasavano sotto l’Arco dopo i loro duri lavori campestri e giornalieri. Forse vedendoci giocare rivivevano la loro infanzia vissuta e durata così brevemente come breve era il sorriso che ci offrivano con una breve sosta. Quando l’autunno stava nella sua fase finale e gli alberi si erano spogliati di tutte le foglie e l’inverno si stava ad annunciare con qualche inaspettata nevicata, in quell’atmosfera di cambiamento stagionale noi bambini avvertivamo il preannunciarsi della piu` bella festa dell’anno il “Santo Natale” e con esso quel presepio rappresentazione di Betlemme piccolo paese dove nacque Gesù Cristo. Il presepio incanta tutti i bambini ed allora noi e le nostre famiglie disponendo di umili risorse monetarie non potendo comprare ornamenti natalizi ce li facevamo da soli, con le nostre manine, usando tutta la nostra fantasia con tutto ciò che madre natura ci offriva attorno; dalla creta, al verde muschio, alla corteccia degli alberi e a carte colorate di cioccolatini recuperati qui e lì. La creta l’andavamo a scavare alle grotte fuori dell’abitato. C’erano piccole miniere di creta che alimentavano la nostra fantasia d’innocenti bambini con un senso di cristianità unica, in quei tempi che promettevano soltanto un futuro d’insicurezza nazionale, di guerra e di terrore. Affardellati con un cestello e una paluccia affrontavamo la grande impresa. Lì nei vicini pagliai c’era un vecchio uomo che ci impauriva dicendoci di non andare alle grotte, perchè ci vivevano e ci dormivano i briganti. Noi a sua insaputa ci andavamo lo stesso e di briganti non ne abbiamo mai visto uno. Scherzi belli tra vecchi e bambini. Salivamo quella stradella di campagna spesso rotolandoci giù alla strada e cominciavamo a scavare creta; era sempre morbita, adatta proprio per l’uso che dovevamo farne. Ne facevamo tante pallottole, le mettevamo nel cestello e via a casa. Nel terreno sovrastante le grotte c’era un altro uomo di bellissimo aspetto che pascolava un piccolo branco di pecore; quando ci vedeva arrivare diceva <> Non ricordo il suo nome, aveva i pagliai sotto il muro della piazza della chiesa. Era una fantastica persona. Quindi con la creta alle nostre case nel doposcuola cominciavamo a plasmare fragilissime statuette color creta, pecorelle, asinelli, mucche, Gesu` bambino con la sua culla i tre Re Magi, San Giuseppe e la Madonna, e la stella fatta con carte luccicanti di cioccolatini che il padre di una compagnuccia del gruppetto raccoglieva lì nel piazzale della Funivia dove lui lavorava. Quando tutto era pronto si andava alla Selvuccia lì ai Frati a staccare alla base dei tronchi degli alberi quel bel muschio verde scuro per ricreare quel meraviglioso luogo di altri tempi dove il nostro Signore Gesù Cristo ebbe i suoi Natali. Lì alla selvuccia in quella vicina aia c’era una donna anziana che ci faceva scappare minacciandoci con un bastone, urlando che con la nostra presenza lì le si sparpagliavano le galline ed andavano a deporre le uova altrove. Come vedete poco e niente apparteneva alla nostra fantasia di bambini, c’erano ovunque buoni e scherzosi e innocui spaventa passeri; ma noi come passerotti svelti a spiccare volo e molto furbi ci andavamo quando essa non c’era, mentre il muschio ci stava ad aspettare per quel fine santo di quell’uso che noi dovevamo farne. La sera della Vigilia dopo aver rubato un angoletto di spazio per un tavolino lì nelle nostre case e il presepio era complete si accendeva la luce sotto la capanna fatta di corteccia di alberi, con la stella luccicante e con tutte le nostre statuette frutto di settimane di lavoro semplici e belle color creta e di creta. Offrivamo un grande dono a Gesù Cristo forse uno dei più belli del mondo e dei più graditi perchè erano manufatti di innocenti bambini del gruppetto della Porta. Dopo cena le campane cominciavano a suonare e con il loro suono sonoro invitavano tutti ad andare in chiesa. Tutti ci andavamo giovani e vecchi da gremire la chiesa in tutte le sue navate, ma più di tutti i bambini e giovincelli che con campanelli alle mani provvedutiseli a tempo presso amici e parenti riempivano seduti per terra sul pavimento tutto lo spazio lì attorno al vecchio altare ora demolito, non più esistente. A mezzanotte in punto quando il parroco don Ermanno Morelli ben voluto ed amato da tutti elevava il bambinello ripetendo “ Gloria a Dio nel più alto dei cieli” i campanelli e le campane cominciavano a suonare riempiendo la chiesa di misticismo, di gioia, e di santità commemorando la nascita del nostro Redentore Gesù Cristo. Poi mentre la funzione religiosa continuava nella sua tradizionale liturgia, seguita unanimemente da tutti in raccoglimento spirituale, non mancava mai l’azione birichina di qualche astuto e furbo bambino che inaspettatamente la interrompeva con un extra tintinnio di campanello creando in tutti una risata non facile a contenersi datasi la solennità del momento, ma con un rispettoso senso di religiosità era una sorpresa e un’aggiunta di gioia bene accettata in quella ricorrenza che tutti stavamo celebrando. Dopo messa fuori la chiesa si creava uno scambiarsi di auguri di Buon Natale e Buon Feste e tutti avevano un momento fraterno da dedicarsi reciprocamente l’un l’altro; dopo di chè si ritornava a casa dove il ciocco al camino continuava ad ardere e a consumarsi lentamente riscaldandoci fino al giorno seguente per la continuazione di questa grande festa. Questo è stato il nostro Santo Natale negli (lontanissimi e non troppo felici), anni del 1930e 1940. Gesù era nell’aria che respiravamo, sembrava stesse partecipando con noi alla commemorazione della sua nascita. Di quegli anni ne siamo rimasti pochi a ricordarlo e voi che leggete questo mio scritto fatelo in memoria di quelli che lo vissero come me suonando i campanelli ed ora non ci sono più. E' stato bello viverlo ed ancor piu` bello ricordarlo, con quell presepio fatto ed ornato di statuette color creta, di creta delle grotte di Assergi, e propriamente “Le Grotte di Chiochia.” Buon Natale ad Assergi, alla nostra chiesa di Santa Maria Assunta, a voi tutti compaesani sparsi nel mondo e a voi tutti attuali residenti di Assergi.
Eugenia Vitocco, USA

 

Ecco che la cara Eugenia ci riporta alla nostra infanzia, con racconti di quei giochi infantili ormai smarriti dal vocabolario, quei posti assergesi che spesso si frequentavano, personaggi che fra poco nessun piu ricorderà. Eugenia parla di quell'uomo "di bellissimo aspetto che pascolava un piccolo branco di pecore" ma che non ricorda il suo nome ma sapeva "che aveva i pagliai sotto il muro della piazza". Tutta quella proprietà sotto il muro della piazza apparteneva ai Medoro - Giuseppe Medoro (mio nonno), Silvestro Medoro (nonno di Emanuela), Antonio Medoro (padre della scemecca) e il loro cognato, Giambattista Giusti (il nonno di Pietro Tacca residente in Assergi). Il padre della scemecca nessun lo ricorda, ne noi e ne i nostri padri. Se ne andò in America chissà quando per fare il calzolaio. Ed ecco che quella dinastia dei Medoro la chiamavano "scemec" derivato dalla parola Inglese" shoemaker". Credo che fu il mestiere di tutti i Medoro. Mamma ne parlava di nonno com'era bravo al mestiere. Chissà se l'uomo 'di bellissimo aspetto' fu nonno, o zio Silvestro, o zio Giambattista. So che i Medoro, essendo "shoemakers", pecore non ce ne avevano tante.

 

<a class="_6qw4" style="color: rgb(56, 88, 152); cursor: pointer; font-family: inherit; font-weight: 600; text-decoration: none;" href="https://www.facebook.com/emedoro" data-hovercard="/ajax/hovercard/user.php?id=100001488504736&extragetparams={" "="" data-cke-saved-href="https://www.facebook.com/emedoro" "}"="">Emanuela Medoro allora diciamo che i Medoro sono belle persone, tutti quanti. Babbo Quirino, figlio di Silvestro, aveva occhi chiari, fronte alta e spaziosa, viso regolare. Quando eravamo piccole, lui ci risuolava le scarpe, aveva gli strumenti per farlo, chissà che fine hanno fatto! Mandarono me e mia sorella Mara al liceo classico, difficilissimo allora, perché ci teneva che arrivassimo ad avere uno stipendio nostro, personale. Era molto severo in casa, e temuto. Devo ringraziare Lui e mia Madre per tutto quello che hanno fatto per noi.

 



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