Appennino ghiacciato, come evitare altri incidenti?

- di Stefano Ardito - Un post, comparso su Facebook domenica sera, è stato letto in poche ore da decine di migliaia di persone. E il numero continua a crescere. A scriverlo è stata la Scuola di alpinismo Franco Alletto, della Sezione di Roma del CAI. Lo spunto, ovviamente, è stato dato dai due incidenti avvenuti nelle ore precedenti, nelle quali tre alpinisti hanno perso la vita sulla Majella e sul Gran Sasso.

 

 

“Il nostro terreno di divertimento e avventura non può divenire terreno di morte. In questa fase di transizione fra autunno e inverno ci sono stati già troppi incidenti sulle nostre montagne, e già troppi con esito mortale”, inizia il comunicato della Scuola.

“Con l’approssimarsi della stagione invernale, quando giungono neve e ghiaccio, il terreno escursionistico deve lasciare spazio all’esperienza alpinistica. Tutto cambia, e bisogna saper leggere le differenze. Essere attrezzati con piccozza e ramponi è necessario, ma non è sufficiente, poiché è indispensabile saperli usare con sicurezza e perizia”.

Gli incidenti che sono costati la vita sabato 30 novembre a Matteo Martellini sul Monte Camicia (Gran Sasso) e domenica a Gianpiero Brasile e ad Antonio Muscedere sulla Rava della Vespa di Monte Amaro (Majella) hanno ricordato una realtà che molti frequentatori dell’Appennino conoscono bene, e che il post della Scuola Franco Alletto sintetizza in maniera perfetta.

Tra novembre e dicembre, la prima neve che investe il Gran Sasso e gli altri massicci dell’Appennino viene trasformata rapidamente dall’azione del vento e del sole. A bassa quota e sui versanti più assolati sparisce, nelle zone in ombra si trasforma rapidamente in ghiaccio.

“E’ un terreno difficile, e che bisogna saper leggere bene”, spiega Giampiero Di Federico, guida alpina e grande esperto delle montagne d’Abruzzo. “Dal basso sembra che la montagna sia pulita, anche le creste vengono spazzate dal vento. E invece si trova spesso del ghiaccio duro, che può essere molto pericoloso”.

Di solito, d’inverno, a mettersi nei guai sono gli escursionisti inesperti, che affrontano l’Appennino invernale senza piccozza e ramponi, e con ai piedi le pedule da trekking. Le vittime dei due incidenti del weekend appartengono a una categoria diversa. Gli escursionisti più capaci, in grado di cavarsela con i ramponi in un canalone di neve. Ma il ghiaccio vivo è un’altra cosa.

“Su un pendio di ghiaccio vivo, anche con pendenza modesta, non ci si può permettere di inciampare o scivolare. Per noi guide, quando procediamo in cordata, questo terreno richiede la massima attenzione. Anche muoversi su misto, tra roccia e ghiaccio, è estremamente impegnativo”, continua Di Federico.

“Non credo nei divieti e nei tornelli, per andare in montagna è essenziale saper fare un esame di coscienza”, aggiunge Vincenzo Brancadoro, presidente della Sezione dell’Aquila del CAI. “Nelle condizioni di questi giorni, salire sulle vette della Majella e del Gran Sasso è pericoloso comunque. Chi decide di andarci lo deve sapere”.

In questi giorni la neve e il ghiaccio iniziano intorno ai 2100 metri di quota, e il pericolo esiste solo sui massicci più alti. “Sul Terminillo c’è neve solo sulle vette. Sui Sibillini, dov’ero domenica, neve e ghiaccio ricoprono la parte alta della montagna”, spiega Pino Calandrella, l’alpinista di Leonessa che dirige la Scuola Franco Alletto.

“I nostri corsi-base di alpinismo si rivolgono agli escursionisti che vogliono andare in montagna con più sicurezza. Il prossimo inizierà a marzo”, aggiunge Calandrella. “Io i corsi di alpinismo invernale preferisco tenerli a dicembre, quando la montagna è più difficile, e quindi si impara di più”, aggiunge Giampiero Di Federico.

Nonostante gli sforzi del CAI e delle guide alpine, però, nelle regioni che si dividono l’Appennino (Abruzzo, Lazio, Umbria e Marche, ma anche l’Emilia-Romagna e la Toscana più a nord) l’offerta di formazione alpinistica è insufficiente. Non aiuta il fatto che alcune Regioni, a iniziare dal Lazio, dal 1989 a oggi non abbiano ancora recepito la legge-quadro sulle guide alpine, costringendo i professionisti della montagna alla semi-clandestinità.

“La frequentazione delle nostre montagne è aumentata rapidamente, e lo stesso accade agli incidenti. Tra luglio e novembre del 2018 siamo intervenuti per 97 volte, quest’anno per 140”, spiega Daniele Perilli, presidente del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico dell’Abruzzo.

“Molti che scoprono la montagna non lo fanno con la dovuta attenzione. Ieri due persone sono scivolate dal Passo delle Scalette, al Gran Sasso, per fortuna senza conseguenze. Li abbiamo recuperati, e abbiamo portato a valle i loro compagni di gita. Erano in 12 e 10 e non avevano i ramponi. Una follia”, spiega Perilli.

In futuro, il CNSAS dell’Abruzzo tenterà di comunicare di più, sulla stampa e sui social. Lo farà in collaborazione con il CAI e con le guide alpine, sperando di dare un esempio alle Regioni vicine. Brancadoro, Di Federico e Perilli non sembrano credere molto all’idea di filtri e di controlli all’inizio dei percorsi più a rischio.

“Eppure un esempio lo abbiamo”. sorride il presidente del CAI L’Aquila. Lino D’Angelo, guida di Pietracamela, negli anni Ottanta si sedeva accanto al sentiero dal rifugio Franchetti al Corno Grande, e se vedeva arrivare un escursionista male attrezzato o abbigliato gli faceva una scenata pazzesca”. Folklore? Può darsi, ma D’Angelo, in questo modo, ha salvato delle vite.



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