Il difficile rapporto della città con le frazioni - Il caso Roio

- di Fulgenzio Ciccozzi -

 

 

Con le attuali votazioni per rinnovare il consiglio degli usi civici (tra l’altro molto poco pubblicizzate) e ahimè (non per colpa dei cittadini) poco sentite (a Roio solo 109 votanti!), si vuole cogliere l’occasione per rispolverare per sommi capi il rapporto che lega L’Aquila alle sue frazioni. Un rapporto difficile che risale alla notte dei tempi. L’Aquila, intesa non come città ma come amministrazione, prima figlia poi matrigna dei paesi del circondario, con il suo ruolo egemonico ha diffuso una sorta malcontento tra gli abitanti dei paesi che si sono visti rilegati in ruoli marginali, schiacciati dalla supremazia del capoluogo. Non fu un periodo facile per “Aquila” quando nel 1529 venne separata dai paesi e a nulla valse la difesa del Franchi che chiedeva a favore della stessa il pagamento della bonatenenza per i beni che i cittadini aquilani possedevano nei borghi circostanti. Allora ci si accorse che la città non aveva un territorio proprio e quello delle Università limitrofe giungeva a ridosso del capoluogo abruzzese. Poi, nel 1927, in piena epoca fascista, i comuni del circondario vennero accorpati alla città che tornò ad abbracciare, si fa per dire, un territorio ampio stringendolo nella sua morsa. Per gli aquilani extra moenia l’occasione (peraltro non colta) per ritrovare la loro autonomia si presentò nel 1953, con la legge n. 71, che permetteva la ricostituzione dei comuni soppressi in epoca fascista. Qualche anno prima, nel 1947, solo Lucoli, che al capoluogo abruzzese non si sentì mai particolarmente legato, riuscì a svincolarsi e a riacquistare l’autonomia momentaneamente perduta. Per farla breve, prima le circoscrizioni, abolite con la legge 42/2010, e poi i consigli territoriali di partecipazione voluti dalla precedente amministrazione, nel 2015, e poi lasciati completamente abbandonati a sé stessi dall’attuale, insieme agli usi civici, nella maggior parte dei casi, non sono mai riusciti a difendere il territorio di rappresentanza. I cittadini delle frazioni pur nutrendo un assoluto rispetto e amore verso la città, e non potrebbe essere altrimenti, reclamano una maggiore attenzione verso il loro territorio.  Queste lagnanze possono essere evitate concedendo alle frazioni un valido organo amministrativo e delegando allo stesso anche possibilità di spesa con una gestione diretta di una parte delle risorse incamerate dal comune: una sorta di federalismo locale che riconosce la città come punto di riferimento e le frazioni come partecipi di un progetto inclusivo. Nulla potendo toccherà trovare altre strade affinché, insieme alle molteplici realtà rurali di tutta Italia, possa essere cambiata l’attuale legge che di fatto vanifica il ricostituirsi dei vecchi comuni soppressi nel 1927. Insomma, il territorio circostante non può essere più considerato solo come luogo di conquista (vedi per esempio le antenne a Monteluco di Roio e l’esagerato numero del Piano Case che ha investito l’altopiano) ma di sviluppo. Una visione, questa, che deve essere fatta propria dall’amministrazione di un capoluogo che dopo il terremoto si è oltremodo espanso diventando una città territorio. Un’ampia area in cui le periferie chiedono cure e attenzioni che oggi non hanno!

 



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