L’occasione, per più volte, non è stata fatta cogliere!

Cari amici di "Assergi Racconta", ci scrive Claudio Panone in merito alla pubblicazione sul nostro sito dell'articolo: "Il difficile rapporto della città con le frazioni. Il caso Roio", che tratta la storia di novanta anni di lotte per il ripristino del Comune di Paganica.

 

 

- di Claudio Panone -

In relazione all’articolo “Il difficile rapporto della città con le frazioni. Il caso Roio” (pubblicato in data 22.12.2019), in cui l’autore mette in risalto le poche attenzioni della città verso il territorio circostante  che “non può essere più considerato solo come luogo di conquista”, è necessario fare delle puntualizzazioni nei riguardi della ricostruzione storica degli avvenimenti, soprattutto sulla volontà di riconquistare l’autonomia dopo che “nel 1927, in piena epoca fascista, i Comuni del circondario vennero accorpati alla città che tornò ad abbracciare, si fa per dire, un territorio ampio stringendolo nella sua morsa.
Per gli aquilani extra moenia l’occasione (peraltro non colta) per ritrovare la loro autonomia si presentò nel 1953, con la legge n. 71, che permetteva la ricostituzione dei comuni soppressi in epoca fascista. Qualche anno prima, nel 1947, solo Lucoli, che al capoluogo abruzzese non si sentì mai particolarmente legato, riuscì a svincolarsi e a riacquistare l’autonomia momentaneamente perduta”.

A differenza degli altri cinque Comuni soppressi, Paganica ed Arischia hanno sempre mal tollerato il sopruso perpetrato nel 1927 e si sono continuamente attivate per ripristinare la propria autonomia.
Per Paganica l’occasione non è che non è stata colta, per più volte non è stata fatta cogliere!
L’intera vicenda è stata ricostruita da Walter Cavalieri e Claudio Panone, nella pubblicazione “La lotta per il ripristino delle autonomie comunali soppresse dal fascismo – Il caso di Paganica – Proposte per il futuro del territorio aquilano” (Ed. Portofranco, L’Aquila 2017).
L'opera di ricerca storica, fondata su un gran numero di documenti d'archivio, ripercorre tutte le iniziative messe in atto nei decenni scorsi per il recupero delle antiche municipalità sacrificate nel 1927 al progetto della "Grande Aquila" voluto da Adelchi Serena, con particolare riguardo al caso di Paganica.
   I cittadini di Paganica non ricordano con gioia quel 1927, anno V dell’era fascista, quando il podestà aquilano Adelchi Serena (futuro Ministro dei LL. PP. e, successivamente, Segretario del P.N.F), vedendo l’egemonia dell’Aquila in ambito regionale minata dalla perdita dei territori sottratti dalla sua provincia per la nascita delle province di Pescara e Rieti (volute dai due potenti gerarchi Acerbo e Potenziani), volle approfittare, a suo modo, del Regio Decreto dello stesso anno che prevedeva la soppressione, ai fini della limitazione delle spese pubbliche, dei piccoli Comuni economicamente passivi. Questo decreto certamente non poteva riguardare Paganica che vantava, al contrario, un bilancio in attivo, un’economia solida, una gestione sana e secoli di esperienza amministrativa.
   Tuttavia il 29 luglio del 1927 si annettevano all'Aquila otto Comuni limitrofi: Arischia, Bagno, Camarda, Paganica, Preturo, Roio, Lucoli, Sassa e San Vittorino, quest'ultima frazione di Pizzoli. In totale 28mila abitanti, a fronte di una popolazione aquilana di neanche 24mila persone. (Ab.: Paganica 6266, Camarda 4104, Bagno 3927, Lucoli 3691, Preturo 2791, Sassa 2656, Roio 2092, Arischia 1944, S. Vittorino 241, L’Aquila 23899).
     Il 5 settembre 1927 il podestaÌ€ fece affiggere il manifesto che “restituiva all’Aquila, sovrana degli Abruzzi, il suo antico territorio comunale”. Con l’annessione “Aquila – sottolineava il podestaÌ€ – riprende il volo supremo sulle tracce delle glorie piuÌ€ antiche e delle speranze nuove, simbolo vittorioso delle audacie guerriere della Stirpe”.
     Con il R.D. n. 1564 si bloccavano per sempre le lancette della plurisecolare storia di liberi Comuni (nati nel 1528), sparivano dalla scena amministrativa realtaÌ€ umane e sociali che molto avevano combattuto e sofferto per affermare la propria identitaÌ€; il sacrificio di sette Comuni (Lucoli saraÌ€ reintegrato nel 1947) si consumava per i disegni di un gerarca che voleva creare “a futura e perenne memoria, la Grande cittaÌ€-capoluogo degli Abruzzi”.
      L’accorpamento era da considerarsi, per Serena, come un gesto “umanitario” di grande sensibilitaÌ€ e generositaÌ€: “Aquila avrebbe portato la civiltaÌ€ su tutto il contado e lo sviluppo ed il progresso sarebbero finalmente arrivati in quelle terre”, facendo apparire i Comuni rurali piccoli ed incapaci di amministrarsi, poiché privi di risorse sufficienti a sostenere le spese di gestione e quelle di programmazione.  
     Con la creazione della "Grande Aquila" si poteva dare esecuzione all'ambiziosa vasta operazione di trasformazione urbanistica e di sviluppo turistico della cittaÌ€. Il complessivo impegno finanziario, sostenuto per questo piano di radicale trasformazione dell'impianto urbano della cittaÌ€ e di crescita turistica, comportoÌ€ una gravosa esposizione debitoria dell'’Amministrazione podestarile. Intenso e sistematico fu, di conseguenza, il prelievo di risorse che si verificoÌ€ nei centri aggregati.  Sotto il profilo fiscale gli ex Comuni vennero sottoposti a pesanti tributi sui terreni, elevati di 4-5 volte rispetto ai carichi di tassazione applicati dalle precedenti amministrazioni autonome. Questa intensa pressione dette luogo ad accesissime proteste in tutti i centri annessi, come la generale sollevazione avvenuta nel 1930.
    I moti piuÌ€ veementi furono registrati proprio a Paganica, nel 1934, dove gli abitanti ingaggiarono vibranti scontri con la forza pubblica intervenuta a punire i riottosi alle imposizioni fiscali. Alla fine dell’estate dello stesso anno si costituiÌ€ a Paganica un movimento autonomistico la cui opera di repressione fu coordinata dal nuovo podestaÌ€ dell’Aquila Giallorenzo Centi Colella, uomo di fiducia e successore di Serena alla massima carica cittadina.
    Sempre allo scopo di ricavare proventi, l’Amministrazione podestarile cedeva boschi e pascoli a ditte private forestiere limitando cosiÌ€ fortemente gli antichi e vitali diritti di uso civico delle popolazioni. Dal punto di vista amministrativo i Comuni aggregati furono enormemente trascurati: non fu attuata la minima strategia di interventi che potessero favorire prospettive, se non di crescita, almeno di mantenimento.
     Nonostante le assicurazioni del Prefetto inizioÌ€ subito una progressiva demolizione delle identitaÌ€ e delle dignitaÌ€ degli ex Comuni con soppressione di tutti gli uffici del Dazio e di Conciliazione; a Paganica fu soppressa anche la Pretura. Terminata la seconda guerra mondiale, con la sconfitta del fascismo e della monarchia e l’avvento dell’era repubblicana, il tarlo autonomista riemerse. Nel 1945 si formoÌ€ il “Gruppo di agitazione per l’autonomia di Paganica”. L’iniziativa, portata avanti per tre anni fu fatta fallire, quando era ormai in fase conclusiva, dal deputato aquilano Vincenzo Rivera, nonostante la favorevole delibera della Deputazione Provinciale (con una lettera privata invitava il Direttore Generale del Ministero dell’Interno di soprassedere alla ricostituzione del Comune di Paganica). In questo periodo solo Lucoli riusciÌ€ a riappropriarsi della propria autonomia comunale. Un successivo tentativo, per riavere un proprio Municipio, si ebbe con il comitato nato nel 1951: anche quella occasione fallì perché osteggiata sempre dalla forte opposizione di politici aquilani. Il 23 settembre 1987 nacque il “Comitato Civico per la ricostituzione del soppresso Comune di Paganica” al quale aderirono, oltre ai comuni cittadini, tutti i consiglieri di Circoscrizione (X Circoscrizione del Comune di L’Aquila). Il comitato elesse una Segreteria operativa che si fece carico di portare avanti l’iniziativa che non era una battaglia contro L’Aquila e, meno che mai, contro gli aquilani; con l’autonomia comunale si volevano innanzitutto ripristinare quelle condizioni secolari delle zone che facevano di Paganica il punto di riferimento di tutto il comprensorio e far emergere quelle grosse potenzialitaÌ€ di sviluppo, venute meno una volta inglobata nel Comune di Aquila. La richiesta della ricostituzione del soppresso “Comune di Paganica” era conforme a tutte le normative vigenti ed una volta che le leggi per le iniziative popolari furono promulgate, il Comitato, a nome di tutta la popolazione della decima Circoscrizione presentoÌ€ al Consiglio Regionale, il giorno 23 dicembre 1989, la richiesta di indizione del referendum consultivo, firmata dai capigruppo dei partiti rappresentati nel Consiglio Regionale.  In esecuzione della delibera del Consiglio Regionale del 6 febbraio 1990, con i decreti n. 370 e 371 del 2 aprile 1990 furono indetti i referendum consultivi per Paganica ed Arischia e fissata per il 10 giugno dello stesso anno la celebrazione degli stessi. L’8 giugno fu approvata da parte del Parlamento la legge 142/90 (legge di riforma delle Autonomie Locali). L’art. 11 di questa legge fa riferimento all’istituzione di nuovi Comuni, fissando a diecimila abitanti la soglia minima per accedervi. L’ approvazione di questa legge costituiÌ€ una doccia fredda per il Comitato poiché la stampa e le emittenti locali dettero ampio risalto all’approvazione della 142 con articoli e servizi che esprimevano l’ormai inutilitaÌ€ dei due referendum. Il Comitato riusciÌ€, però, a sensibilizzare in modo capillare tutti gli abitanti della decima Circoscrizione e l’esito del referendum fu positivo per Paganica. Il quotidiano locale Il Centro titolava un articolo sul referendum: “Una pioggia di siÌ€ per l’autonomia”. Anche il quotidiano nazionale “Stampa Sera” si interessoÌ€ della vicenda autonomistica con la presenza a Paganica, nel giorno del referendum, del giornalista Dario Celli che il giorno successivo firmoÌ€ un articolo su Paganica ed il referendum, in terza pagina. In seguito all’emanazione della 142 ed in considerazione del fatto che in Paganica risiedeva un numero di abitanti inferiore a diecimila, occorreva esaminare se fosse legittimo procedere alla ricostituzione del Comune ed in particolare se, ai sensi dell’art. 36 della legge regionale 2.12.87, il Presidente della Giunta avesse dovuto proporre al Consiglio Regionale un disegno di legge per l’istituzione del Comune di Paganica, in conformitaÌ€ dell’esito favorevole del referendum, o al contrario negare tale ricostituzione attenendosi alla norma della soglia minima di popolazione stabilita dalla 142. I pareri di illustri costituzionalisti (Cassese, Porreca, Quaranta, Iannotta, Scoca) mettevano in evidenza che la 142 non ostacolava assolutamente l’iniziativa. A questo punto, peroÌ€, scesero apertamente in campo le forze contrarie all’autonomia per contrastare, con tutti i mezzi a loro disposizione, quella che ritenevano un’autentica sciagura per la cittaÌ€ capoluogo: l’autonomia di Paganica, di quel paese feudo di diversi personaggi politici. CioÌ€ che prima non era stato degno di considerazione perché “era la volontaÌ€ di quattro facinorosi, forse in cerca di visibilitaÌ€ politica” (cosiÌ€ furono definiti i componenti del comitato da qualche personaggio aquilano) diventava repentinamente argomento politico di primaria importanza: oggetto di attacco era il Comitato ed il Consiglio Regionale, che si apprestava a votare il disegno di legge per la ricostituzione. Diversi politici di spicco, aquilani e non, produssero un’opera di demolizione del processo autonomistico. Sui quotidiani apparivano le loro sdegnate reazioni per "l’attacco del Comitato all’integritaÌ€ del Comune di L’Aquila”, per “i tentativi di ridimensionamento del capoluogo di Regione”, per “l’affronto all’Aquila di iniziative leghiste che minano la stabilitaÌ€ democratica”, per “le strumentalizzazioni politiche elettoralistiche”, per “la logica populista e di campanile,” per “gli ingiustificabili disegni posti in essere per mettere in discussione il ruolo di capoluogo di regione e di provincia della cittaÌ€ di L’Aquila”.
     La questione diventoÌ€ motivo di lotta politica all’interno della D.C. a livello regionale, che si divise in favorevoli e contrari, soprattutto per le successive dichiarazioni del Ministro della Funzione Pubblica Remo Gaspari rilasciate in un incontro organizzato dalla Segreteria Operativa presso il Centro Civico di Paganica: ”Ho fatto esaminare la questione della ricostituzione dei Comuni di Paganica ed Arischia da due illustri magistrati del Consiglio di Stato, i professori Iannotta e Quaranta, ho avuto una risposta che non ammette discussioni: Paganica ed Arischia possono riavere il Comune”. Rivolto ai politici aquilani il ministro li invitoÌ€ a non prendersela piuÌ€ di tanto: L’Aquila eÌ€ e rimarraÌ€ l’importante cittaÌ€ che eÌ€, non fosse altro perché eÌ€ il capoluogo di Regione, il fatto di avere qualche migliaio di abitanti in meno non significa nulla”.  Il 12 dicembre la Giunta Regionale deliberoÌ€, a maggioranza, con l’astensione dell’assessore (D.C.) Lettere, di proporre all’esame del Consiglio Regionale il disegno di legge sulla ricostituzione dei Comuni di Paganica ed Arischia. Quando tutto sembrava andare per il verso auspicato dal Comitato per l’autonomia, un telex, inviato dal Ministero degli Interni al centro studi Pragmata, rimetteva in discussione la ricostituzione del Comune di Paganica. Il centro studi “Pragmata” era un’associazione costituitasi da poco, di cui pochissimi ne conoscevano l’esistenza e che annoverava fra le sue fila alcuni politici aquilani. Pragmata invioÌ€ una lettera al Ministero degli Interni, il 10 dicembre, chiedendo lumi sulla legittimitaÌ€ della richiesta autonomistica di Paganica ed Arischia. Dal Ministero, contrariamente alla lenta burocrazia italiana, la risposta arrivoÌ€ in tempi rapidissimi. Con il telex, a firma del dott. Riccardo Malpica, partito da Roma il 12 dicembre, il Ministero degli Interni, di fatto si escludeva la possibilitaÌ€ di ricostituire i due Comuni. C’eÌ€ da rilevare che qualche giorno prima alcuni politici ebbero un incontro a Roma con il Sottosegretario del Ministero dell’Interno (contrario all’ipotesi di ricostituzione). La storia del telex al centro studi Pragmata anticipava una conflittualitaÌ€ giuridica che si sarebbe manifestata in maniera eclatante l’anno successivo. Il destino dell’autonomia di Paganica prendeva ormai una strada sulla quale le forze basate sul rispetto delle leggi e delle regole democratiche non sarebbero piuÌ€ riuscite ad incidere. "Il caso Pragmata", per le reazioni visibili e invisibili che scatenoÌ€, eÌ€ stato uno degli elementi piuÌ€ negativi per il movimento autonomistico. Il 5 marzo 1992 fu un’altra giornata indimenticabile per Paganica: il Consiglio Regionale dopo una forte pressione esercitata dal Comitato, approvava, all’unanimitaÌ€ con la sola astensione del consigliere L. Del Gatto, la legge che sanciva la ricostituzione dell’autonomia municipale. Prima della discussione in Consiglio un pacifico e composto corteo di oltre tremila cittadini della decima Circoscrizione, con striscioni, canti e bandiere, partendo dalla Fontana luminosa, attraverso corso V. Emanuele, aveva raggiunto il palazzo dell’Emiciclo, sede del Consiglio Regionale per attendere il sospirato assenso alla ricostituzione del Comune. L’approvazione da parte del Consiglio Regionale non rendeva comunque operativa ancora la legge di ricostituzione dei Comuni di Paganica ed Arischia: necessariamente doveva passare al vaglio del Commissario di Governo, che l’avrebbe poi inviata, tramite il Ministero delle Regioni, al Ministero degli Interni: la legge di ricostituzione non trovoÌ€, il 3 aprile, un’accoglienza al Governo che la rinvioÌ€ alla Regione. Il 18 giugno il Consiglio Regionale riapprovava all’unanimitaÌ€ la legge che veniva rimandata al Commissario di Governo e da questi al Ministero degli Interni. Il 5 luglio il Governo impugnava la legge regionale di ricostituzione dei Comuni di Arischia e Paganica, e la vertenza passava nelle mani della Corte Costituzionale, che era chiamata a pronunciarsi, in via definitiva ed inappellabile, sulla legittimitaÌ€ giuridica della legge stessa. La Regione Abruzzo sceglieva come difensore l’Avv. Gustavo Romanelli con il quale la Segreteria operativa ebbe diversi incontri per preparare un’arringa ben argomentata necessaria per smontare la tesi della controparte. All’Avv. Romanelli furono forniti tutti i dati demografici e storici. La discussione della vertenza - Presidente Consiglio dei Ministri contro la Regione Abruzzo - venne fissata per il 1° dicembre. La rappresentanza di Paganica, guidata dalla Segreteria operativa al completo, si presentoÌ€ numerosa ed organizzoÌ€ una tranquilla manifestazione in piazza del Quirinale con uno striscione inneggiante all’autonomia municipale ma ad assistere alla seduta furono ammessi in pochi. Relatore della Corte fu il giudice E. Cheli che, ripercorrendo la storia delle richieste autonomistiche, metteva in rilievo il contenzioso tra la Regione Abruzzo ed il Governo. Successivamente prendeva la parola l’Avv. Franco Favara, dell’Avvocatura dello Stato, che riconfermava la posizione del Governo. Nella memoria presentata in precedenza l’Avvocatura sosteneva che in caso di separazione dall’Aquila, i cittadini di Paganica sarebbero stati dei privilegiati perché nel loro territorio sarebbe ricaduto il Nucleo Industriale: la ricostituzione del Comune di Paganica, privando L’Aquila di quella importante zona avrebbe mutato l’assetto economico-industriale del territorio aquilano.
    L’ingiustizia, ancor piuÌ€ grave di quella perpetrata nel 1927, fu fatta con la sentenza firmata dal presidente F.P. Casavola, dal relatore E. Cheli, dal cancelliere G. Di Paola, emessa il 18 dicembre, depositata in cancelleria e resa pubblica attraverso la G.U. del 5 gennaio 1993. Pur non avendo avuto un esito positivo il tentativo autonomistico ha evidenziato, comunque, un malessere verso chi in sessanta anni non ha saputo e purtroppo ha continuato poi a non saper promuovere un’opera d’integrazione e di difesa dell’unitaÌ€ comunale attraverso una sana, equilibrata amministrazione ed un’equa distribuzione delle risorse. Dalla sentenza sono trascorsi altri ventisei anni ed il territorio ha trovato ulteriore abbandono e trascuratezza: in molti cittadini si eÌ€ instaurata una certa rassegnazione proprio per la mancanza dei piuÌ€ elementari servizi per la collettivitaÌ€. Si sarebbe dovuto recuperare lo sbilanciamento che si eÌ€ creato tra la zona ovest ed il comprensorio paganichese: la zona est dell’Aquila eÌ€ stata continuamente considerata il territorio di “servizio” dove localizzare i siti per lo smaltimento dei rifiuti, del canile comunale, di un’impropria area industriale, dell’esagerata superficie per il Progetto C.A.S.E.  In tutti questi anni diverse sono state le occasioni per il recupero della qualitaÌ€ della vita per l’ex Comune, ma sono state tutte mancate.
    Questa situazione ha trovato nel tremendo sisma del 6 aprile 2009 una grave accentuazione. La maggiore opportunitaÌ€ che il terremoto ha offerto, al netto dei gravi lutti e delle distruzioni provocate, era quello di ricostruire il territorio, nella sua interezza, non  “dov'era e com'era " ma "dov'era e molto meglio di com'era"!
    Alla sezione del libro dedicata all'attualità del terremoto e della ricostruzione post-sisma sono seguite alcune considerazioni e proposte, degne di dibattito, che riguardano un possibile nuovo assetto amministrativo fondato sulle aggregazioni di Comuni in entità comprensoriali.
    Attraverso la ricerca della documentazione si è potuto purtroppo constatare che nell’Italia repubblicana si sono verificati episodi forse  ancor più gravi di quelli avuti nel periodo fascista: interessi politici, pressioni personali e missive private hanno fermato un processo democratico riconosciuto dalle leggi vigenti rispettose della Carta Costituzionale, e per di più è stato sorprendente verificare che con sentenza della Corte Costituzionale n. 171 dell’11 giugno 2014 è stato costituito (non ricostituito) il Comune di Mappano (in provincia di Torino), di appena 7012 abitanti.

 



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