“MA CHE E’ ‘STU SCONTENTU”: un commovente canto aquilano

Versi di Maria Luisa Frasca e musica di Camillo Berardi

 

Questo canto in dialetto aquilano ha vinto il 1° Premio assoluto per la Canzone Dialettale Abruzzese al Concorso “Vernaprile 2006” organizzato dalla “SMS Fratellanza Artigiana” di Teramo.

Il brano è stato premiato con la seguente motivazione: “L’opera è valida, originale con il rispetto degli antichi stilemi e si presenta come un lavoro molto raffinato nel quale la tradizione è giocata con classe”.

In occasione della Cerimonia di Premiazione, è stato richiesto al musicista Camillo Berardi di presentare al pubblico e alle autorità presenti il canto vincitore e il M° Berardi, fuori programma e arricchendo il prestigio della manifestazione, ha corrisposto alla richiesta del Comitato Organizzatore, offrendo l’esecuzione “cameristica” del brano affidandola alle voci del soprano Adele Ciavola e del contralto Valentina Bruno accompagnate con la tastiera dallo stesso Berardi.

In questo servizio viene presentata la versione corale del componimento per coro misto a quattro voci + due soprani e due contralti solisti.

Questo canto aquilano esprime la struggente malinconia di chi - sentendosi dotato di una grande apertura d’ali - non ha trovato spazio nel piccolo mondo soffocante in cui la sorte lo ha costretto a vivere. Non gli resta che evadere nel sogno.




L’immagine allegata è un dipinto di Teofilo Patini.


MA CHE E’ ‘STU SCONTENTU

Versi di Maria Luisa Frasca

Musica di camillo Berardi


 

‘Na vote me credea che se potea spazia’

ju munnu me ss’è fattu strittu

non pozzo cchiù rispira’

ma pecché, ma pecché, ma pecché , ma pecché.

 

                                        Ma che  è tuttu questu scontentu ?

                                        Pecchè sbatto contr’a ‘nu muru ?

                                        Ju tempu s’ha fattu cchiù lentu

                                        ju celu s’ha fattu cchiù scuru.

                                                    

‘Na vote me credea

 che se potea spazia’.

 Ju munnu me ss’è fattu troppo strittu,

 ji’  quasci  non ci pozzo rispira’.

 

                                         Eppure se me pare che non se po’ spazzia’

                                         ju munnu lo faccio meno strittu

                                         forse ce rrescio a rispira’.

 

Me pare ch’è come ‘na fame

me pare ch’è come ‘na sete.

Ma a mmi’ no’ me sazia lo pane.

Che pena le pene segrete…

 

                                          Redengo la vita a ju sognu

                                          mo’ che la speranza è finita.

                                          Ccusci’ no’ me pare ch’ è pocu

                                          lo pocu che me dà  la vita.

 

E pure se mme pare

che non se po’ spazia’,

ju munnu me llo faccio meno strittu,

forse ccusci’ ce rrescio a rispira’.



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