Alfonso Postiglione, una memoria nascosta

   - di Gianfranco Giustizieri -

 

È singolare come piccole comunità conservino nei loro confini memorie nascoste ma quando viene sollevato il velo del tempo i recinti si aprono, le tracce si dilatano, entrano in qualcosa di più complesso per dare una maggiore comprensione di ciò che è stato. Allora quel tempo ci coinvolge, diviene poroso, assorbe personaggi e vicende e diviene tessera di mosaico della Storia.

   È stata la prima impressione avuta quando ho aperto le pagine del libro, Alfonso Postiglione. Un profilo biografico di Massimo Di Bartolo e Edoardo Puglielli, edito da Mac Edizioni, Corfinio, 2019. Un volumetto di qualità, circostanziato, informativo su di un personaggio  la cui storia confluisce in quella di un borgo della provincia aquilana per riversarsi insieme nell’Italia della povertà, dell’analfabetismo, della Grande Guerra, dell’emigrazione, del regime dittatoriale.  

   Conosciamo il personaggio. Alfonso Postiglione, nato a Raiano nel 1868, dapprima maestro elementare poi direttore e ispettore scolastico, direttore delle scuole rurali abruzzesi gestite dall’Ente Scuole per i contadini dell’Agro Romano e delle Paludi Pontine, direttore degli asili d’infanzia della Marsica dopo il suo collocamento in pensione, sindaco della stessa cittadina di nascita dal 1914 al 1919, nello stesso periodo in cui si dovettero affrontare le conseguenze del terribile sisma della Marsica e della prima guerra mondiale, vicino agli ambienti del socialismo riformista, giunse alla fine della vita nel 1942. Di lui Alessandro Marcucci, uno dei più noti pedagogisti del tempo, ebbe a scrivere: “[…] Maestro non di cattedra ma di azione […] possono dirla le popolazioni di quella forte e generosa regione, che s’ebbero da Lui scuole ed asili; […] possono dirla i prefetti, i podestà, i provveditori, i colleghi ispettori e direttori, di quelle province; […] possono dirla «Le scuole per i contadini» che per venti anni, dal 1921, lo hanno avuto collaboratore assiduo e fedele nelle loro iniziative, […], ben 450 scuole rurali sono state istituite nei minimi centri d’Abruzzo accogliendo, quando Egli ci ha lasciato, circa 1.500 fanciulli; sono sorte 150 scuole serali per adulti con oltre 5.000 alunni, […] e ancora 20 sezioni di asili con oltre 900 bambini e 9 edifici scolastici rurali”. Cifre che parlano da sole quando si confrontano i dati che registrano nei primi del ‘900 un tasso di analfabetismo regionale vicino al 70% di cui il femminile quasi all’80%.

   Poi gli altri personaggi che intrecciarono la loro vita e la loro azione con quella di Alfonso anche annullando le distanze spazio-temporali.  In lontananza, più sfumata nel libro, la presenza di Umberto Postiglione, l’anarchico/poeta raianese che ha lasciato numerose tracce della sua attività negli Stati Uniti, in Sud America e nel suo Abruzzo, protagonista di studi storici consolidati, figlio di un fratello di Alfonso, nipote sempre amato; entrambi accumunati da ideali che spinsero il primo a trarre dalla miseria e dall’ignoranza la popolazione abruzzese, il secondo a battersi con la penna e con l’azione per una società senza frontiere.

Presenti nel testo due grandi nomi della letteratura italiana: il poeta e scrittore Giovanni Cena e la sua temporanea compagna Rina Faccio, alias Sibilla Aleramo. Consapevoli delle tristissime condizioni di vita dei contadini nelle paludi dell’agro romano e della miseria culturale, ostacolo a qualsiasi rivendicazione contro i ricchi latifondisti, parteciparono attivamente a promuovere una vasta campagna di risanamento e di scolarizzazione attraverso il nuovo Ente Nazionale «Le scuole per i contadini dell’Agro Romano e le Paludi Pontine». Vicino a loro Alessandro Marcucci, già nominato, Angelo Celli, accademico d’Italia, igienista e fondatore dell’Ente e altri studiosi. Ben presto l’Ente si diffuse in varie parti della nazione con lo scopo precipuo del raggiungimento degli stessi diritti senza distinzione di ceto e con particolare riguardo a quella parte della popolazione per cui era nato. Nel 1921 l’Ente, allora diretto da Marcucci, sbarcò in Abruzzo e trovò in Alfonso Postiglione la sua guida.

Infine nel libro tanti altri nomi, territoriali e nazionali, provenienti dalla politica, dal sindacato, dalle associazioni professionali, che intrecciarono la loro azione con quella di «Papà Alfonso», come Postiglione era comunemente conosciuto. Continui rimandi, note, approfondimenti e altro ancora, fanno luce su tutti i protagonisti, mai minori, del libro.

   Infine le tematiche. Tre le principali che costituiscono l’asse del libro. Della prima già si è accennato: l’alfabetizzazione delle classi sociali più umili con le priorità di formazione e riconoscimento della classe docente e la fondazione e allargamento di tutto il sistema scolastico in Abruzzo secondo la legislazione del tempo. Al dettaglio l’esame della situazione economica e sociale dell’Italia come necessario supporto per comprendere l’impegno educativo.

La seconda riguarda il problema dell’emigrazione, in stretta correlazione con la lotta all’analfabetismo, che aveva raggiunto nel primo decennio del ‘900 la considerevole cifra di circa un milione di concittadini diretti verso i diversi paesi del mondo: “[…] la necessità di aprire corsi di conferenze per gli emigranti, per far conoscere loro le nozioni elementari delle istituzioni politiche, sociali ed economiche dei paesi di immigrazione e per inculcare i doveri di solidarietà, il rispetto alla giustizia e l’aborrimento all’uso delle armi ai nostri operai, che per le continue infrazioni alle leggi e alle norme di viver civile, si attirano l’odio delle autorità straniere e gettano il discredito sulla nostra patria […]” (dalla Relazione svolta da Postiglione al 3° Congresso Magistrale Abruzzese a Sulmona nel 1909). Naturalmente il richiamo costante è all’opera degli insegnanti che affiancano ma spesso sostituiscono le istituzioni deputate alla lotta contro l’analfabetismo e la stessa chiesa con i suoi parroci che “[…] non mandano neanche le anime gratuitamente in paradiso”.

Infine l’impegno politico/amministrativo. “Assumemmo l’amministrazione del nostro comune dopo un trentennio di acerbe lotte e di discordie profonde”, così Postiglione dopo la carica a Sindaco di Raiano nel 1914. Qui il libro entra nel merito di un trentennio di vita del borgo peligno, con i vari tentativi di sistemazione urbanistica, le diaspore politiche, le agitazioni popolari, i molteplici commissariamenti, la distanza della maggior parte della popolazione scarsamente coinvolta dai meccanismi elettorali secondo il ristretto corpo elettorale del tempo. Ma tremende prove attendevano il nuovo Sindaco: il terremoto della Marsica del 13 gennaio del 1915 con circa trentamila vittime e la Grande Guerra. Postiglione si attivò immediatamente affinché il Comune venisse compreso nell’area danneggiata e concessi finanziamenti di indennità e soccorso alla popolazione colpita. Ma il conflitto bellico fu ben più devastante per la piccola comunità raianese e una lettera riportata nel testo rende conto del dramma della guerra, con una sottolineatura documentale della scarsa cultura linguistica degli italiani: l’analfabetismo ritorna anche in questa testimonianza. Le condizioni dell’immediato dopoguerra alimentarono delusioni nella popolazione con le difficili condizioni di vita quotidiana, per cui nel 1919 Postiglione rassegnò irrevocabili dimissioni.

   Fin qui il libro, a seguire una serie documentale di caduti raianesi nella Prima Guerra Mondiale, tributo di sangue di parte di quella popolazione che Alfonso Postiglione cercò di rendere più consapevole con gli strumenti elementari della cultura anche per cercare di raggiungere il traguardo auspicato dal suo più celebre nipote: un traguardo di liberazione.

 



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