Roio e L’Aquila ricordano Monsignor Virgilio Pastorelli a vent’anni dalla sua morte

Roio e L’Aquila ricordano

Monsignor Virgilio Pastorelli a vent’anni dalla sua morte

“Dal Gran Sasso ai Monti dell’Hermon”

 

Ho appuntamento con “don Virgilio” alle quattro del pomeriggio, subito dopo il suo riposino pomeridiano. Busso, e sono le nipoti ad aprirmi. Nella sala d’ingresso della casa il mio sguardo è rapito dal sorriso di papa Giovanni XXIII, raffigurato in un ritratto a carboncino, e dal grande orologio a pendolo posto accanto al pianoforte con cui, mi dicono, monsignore ama esercitarsi abitualmente. Mi presento, chiedo di don Virgilio e rispondono che è su, nella camera-studio, ad aspettarmi. Passo dopo passo, salgo accompagnato dallo scricchiolio delle scale di legno attutito dal suono dello stereo che diffonde i concerti brandeburghesi di Bach, compositore che il don sembra particolarmente gradire.

Buon pomeriggio Monsignore, come va?

Finalmente sei arrivato (la pazienza non è una delle sue virtù). Comunque, non molto bene, oggi il dolore al ginocchio mi costringe a stare a letto.

Prima di sederti puoi per favore spegnere lo stereo e stendermi il bicchiere d’acqua poggiato su comodino che devo prendere la pasticca per il cuore, a questa età gli acciacchi non mancano mai.

Ecco l’acqua Monsignore. Mi piacerebbe ascoltare la sua storia

Sono nato il 15 settembre 1919 a Roio Piano dove tuttora risiedo in via dei Giardini. Sono compaesano di San Franco. Mia madre Florinda era casalinga, mentre mio padre Fabio faceva il calzolaio. Era davvero in gamba nel suo lavoro, venivano persino da Lucoli a farsi accomodare le scarpe.

Come mai ha scelto di fare il parroco?

Un po’ per vocazione e un po’ per esigenze di casa. Sai, la mia era una famiglia numerosa: eravamo sette fratelli (tra i quali Marino, Domenico e Aleandro) e una sorella maggiore che si chiamava Adelina. Due di loro ci hanno lasciato poco dopo la nascita, il più piccolo, Olivo, studiò medicina a Roma e io fui mandato al seminario regionale di Chieti. Spesso i miei mi inviavano cartoline per sapere come stavo, e se tardavo a rispondere si preoccupavano molto. Dopotutto, a quei tempi, parliamo degli anni Trenta, le comunicazioni erano quelle che erano, non c’erano certo i telefonini!

Dove iniziò a esercitare il sacerdozio?

Fui ordinato sacerdote il 28 giugno del 1942. Iniziai il mio mandato nelle chiese di San Giovanni e Ss. Cosma e Damiano a Cagnano, da lì venni trasferito a Sant’Andrea di Lucoli quindi a Pie’ la Costa di Tornimparte, per far ritorno in seguito nel Lucolano, dove divenni persino abate dell’Abbazia di San Giovanni. Nelle mie piccole trasferte mi seguiva spesso mia sorella e qualche volta mia nipote Anna Maria per attendere alle faccende domestiche.

Ho saputo che ha seguito le vicende che hanno interessato il mondo dei pastori

Si, negli anni Cinquanta divenni Cappellano della “Pia Unione Pastori”, ne seguii le vicende con incontri, manifestazioni e approfondite ricerche, con il compito di restituire dignità a un mestiere, quello del pastore, che per secoli aveva sfamato le famiglie dell’Abruzzo montano. Più tardi (anni Ottanta) il 5 agosto di ogni anno venivo invitato a celebrare messa a Campo Imperatore, al cospetto della statua di Vicentino Michetti che lo scultore volle realizzare in ricordo della famiglia del pastore Nunzio Pupi che perì su quei monti insieme ai figlioletti. La moglie morì poi di crepacuore.

Come ha fatto a diventare uno dei personaggi di spicco della curia aquilana?

Negli anni Sessanta mi recai a Roma dove mi dedicai agli studi umanistici e teologici per poi far ritorno all’Arcidiocesi dell’Aquila. Divenni arcidiacono della Cattedrale e per un breve periodo vicario generale della Diocesi quando era vescovo Carlo Martini. Nel 1995 fui nominato dal pontefice Giovanni Paolo II “Protonotario Apostolico”, per alti meriti ecclesiastici. Sono sempre stato uno dalla penna facile e spesso scrivevo discorsi che venivano letti nelle grandi occasioni. Divenni anche responsabile della curia per la “Perdonanza Celestiniana”.

Quale fu il suo rapporto con il cardinale Carlo Confalonieri?

Un ottimo rapporto direi. Anche per il comune amore che ci legava e tuttora mi lega al Santuario Mariano di Roio. Lo conobbi durante il suo decennio episcopale aquilano (1941-1950). Nel 1987, un anno dopo la sua morte, scrissi un libro a lui dedicato: “Un vescovo una città”. Il volume narra delle vicende che coinvolsero l’Arcidiocesi aquilana nei duri anni della Seconda Guerra Mondiale e del rapporto privilegiato che l’alto prelato ebbe con il Santuario della Madonna della Croce.

 

Come passa il tempo oggi?

A pensarci bene, prima giravo spesso. Sembra così lontano il viaggio che feci in Terra Santa che poi tradussi in un libro intitolato: “Dal Gran Sasso ai Monti dell’Hermon”. Era l’anno 1964.  Adesso, invece, per via dell’età e degli acciacchi non posso fare molto. Mi limito a qualche partitella a carte (tre sette e briscola) a casa in compagnia degli amici Armando, Angelo, Tommaso, Pasquale… e di mio fratello Tonino. Celebro ogni tanto messa nella chiesetta del paese (la Cona). Poi leggo, scrivo… insomma faccio quello che mi è possibile fare e ciò che mi riesce meglio.

Quale è il messaggio che si sente di dare a tutti noi?

Un messaggio di pace e di solidarietà, ovviamente! I tempi che ci aspettano saranno duri. La globalizzazione porterà forti cambiamenti sociali e climatici che produrranno nuove emergenze le quali potrebbero trovare i cittadini impreparati. Tali inattese circostanze richiederanno un forte senso di responsabilità e affrontarle insieme sarà fondamentale. Non dimentichiamo mai però chi siamo e da dove veniamo. Con umiltà, lavoro, senso civico e tanta fede gli ostacoli potranno essere superati e con l’aiuto di Dio non perderemo mai la speranza di poterci riuscire. Dopotutto, le vie del Signore sono infinite!

Lascio “don Virgilio”, che mi saluta con il sorriso sulle labbra, con il conforto di aver avuto la possibilità di conoscere una persona di grande spessore culturale, spirituale e soprattutto umano!

Monsignor Virgilio Pastorelli, conosciuto a Roio come don Virgilio, è morto il 18 marzo 2000. Nove anni dopo, il 6 aprile, nella stessa via dove aveva sempre vissuto, lasciarono la vita terrena il fratello Aleandro e la nipote Sonia. I due familiari furono le uniche vittime del terremoto a Roio Piano.

Fulgenzio Ciccozzi

 



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