LE STORIE DI SANTA MARIA. Giochi “esplosivi”

- di Paolo De Angelis -

 

Nelle lunghe estati a S.Maria ci inventavamo continuamente i giochi più disparati ma il tempo per giocare in realtà non era poi così tanto, perché prendevamo parte ai lavori di campagna. Tra orto, mietitura, trebbiatura, “sgamatura”, smarrocchiatura , vendemmia, api, mucche e pecore, si arrivava presto a settembre e con settembre arrivavano gli odiati pomodori da bollire ed imbottigliare, tanto che alla fine era meglio tornare a scuola… ma alcune cose furono pietre miliari. Una di queste fu il periodo che dedicammo alle “esplosioni”. Dovete sapere che la polvere nera è composta da elementi molto comuni a S. Maria. Il salnitro si trovava in abbondanza sui muri delle cantine, come muffa biancastra. Lo zolfo ce n’era in abbondanza perchè veniva usato in campagna e il carbone era dovunque. Mescolati in certe quantità si forma la polvere nera. In realtà la polvere nera non esplode, semplicemente brucia molto velocemente e per farla esplodere bisognava rinchiuderla in un contenitore. Ci inventammo bombe di vario genere, ma poi scoprimmo le pasticche di clorato di potassio. Erano pasticche che si vendevano in farmacia e servivano per schiarirsi la gola, essendo blandi disinfettanti del cavo orofaringeo. Andavamo a turno alla farmacia di Preturo ed il farmacista faceva finta di credere alla raucedine che il compratore di turno accusava all’ingresso della farmacia. Un giorno, forse per farci un dispetto, un nostro cugino, Mauro, andò ad acquistare le compresse di clorato e tornò con le VALDA. Del resto disse che gli faceva male la gola…. E perdemmo le poche lire accumulate per l’acquisto. Le compresse di clorato di potassio si mescolavano con lo zolfo e si otteneva una polvere dorata. Si metteva tra due pietre piatte, si saliva sopra con il tacco e con l’altro tacco si dava un colpo. L’esplosione era forte e la polvere si poteva portare con se senza problemi in un sacchetto. I pericoli in ultima analisi erano due. Il primo che una pietra partisse contro gli stinchi secchi ( chissà perché avevamo tutti gli stinchi secchi), di qualche dinamitardo. L’altro era che si frantumassero i tacchi delle scarpe. Delle due erano preferibili le ferite agli stinchi, perché i genitori non ci facevano caso. Un giorno, durante la costruzione delle fogne, a S.Maria, nello scavo sistemammo un sasso piatto, ci mettemmo sopra una quantità enorme di polvere esplosiva e poi ci gettammo sopra un masso gigantesco. Ci fu una esplosione terribile, tutti i vetri di S. Maria tremarono. Fuggimmo e ci dileguammo e per molti giorni non ci furono più esplosioni. Tutti i mariuoli erano legati da vincoli di parentela. Eravamo tutti cugini e tutti gli zii erano autorizzati a punire chiunque, senza possibilità di scampo. Poi se capitavamo a tiro di Zia Eva era la fine… Un bel giorno io e Angelo facemmo il salto di qualità. Zio Elia era un appassionato cacciatore e ricaricava lui stesso le cartucce. Aveva tutta l’attrezzatura per lo scopo e quindi aveva anche la polvere da sparo, quella vera, non la polvere nera o il clorato di potassio. Gli altri cugini furono tenuti all’oscuro del progetto, era troppo pericoloso divulgare la notizia, ci avrebbero decapitati sul posto . Prendemmo qualche pugnetto di polvere, ma poi l’ingordigia ci vinse e “prendemmo a prestito” l’intera scatola. Era una scatola di metallo contenente una grossa quantità di esplosivo. Ma io Angelo non eravamo semplici discoli, eravamo scienziati in erba e visto che tutti i tentativi di volare erano naufragati, pensammo di far volare un razzo. ( per la storia dei mancati decolli vedere https://www.facebook.com/paolo.deangelis.7792/posts/2785326861502762 ) Ci fu un progetto, uno studio approfondito con disegni e calcoli. Studiammo come accendere la polvere e vi assicuro che non è facile, altrimenti il razzo o esplode o parte e poi si spegne subito. Alla fine accroccammo una specie di Saturn5 e lo accendemmo. Ci fu un sibilo e il razzo partì, ma la direzione era casuale, si alzò, poi ruotò, si diresse verso di noi, poi cambiò di nuovo direzione ed infine esplose con una nuvola di fumo. Sembrava l’esplosione di quello che molti anni dopo fu il disastro dello shattle Challenger. La paura ci bastò e tornammo ad esplosioni più “umane”. Il carburo è una pietra che si usava per le lampade. Quando si bagna, forma gas di acetilene, un gas infiammabile. La pietra di carburo veniva posta in una buca a terra con l’acqua e coperta da una scatola di lamiera con un buco sopra. Si lasciava riempire di gas, tenendo otturato il buco con un dito, poi si dava fuoco e la scatola saltava in aria. Questo periodo durò per due estati, poi passammo ad altro, ma questa è un’altra storia.
 



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