IL PRIMO 6° GRADO ABRUZZESE SUPERATO DAGLI ALPINISTI AQUILANI ANDREA BAFILE E LUCIO BERARDI

IL PRIMO 6° GRADO ABRUZZESE SUPERATO DAGLI ALPINISTI AQUILANI ANDREA BAFILE E LUCIO BERARDI 

- di Camillo Berardi -

 

Nella conquista del verticale, fino al 1978, la massima difficoltà riconosciuta internazionalmente nell’alpinismo era il VI grado, considerato il livello estremo umanamente possibile. Soltanto nel 1978 fu aggiunto il VII grado e nel 1985 si adottò una scala aperta.

Nella storia dell’alpinismo degli abruzzesi, il primo VI grado fu superato dagli aquilani Andrea Bafile e Lucio Berardi sulle “Fiamme di Pietra, Gioielli di Roccia” del Corno Piccolo nel massiccio del Gran Sasso, ed è legato a una via che fu aperta dal grande alpinista friulano Giusto Gervasutti (1909-1946).

Vissuto in Friuli, dove nacque, Gervasutti andò a Cuneo per svolgere il servizio militare, alla fine del quale si trasferì a Torino e scalò le poderose montagne del vasto territorio circostante. Con le sue straordinarie capacità alpinistiche, applicò la tecnica dell’arrampicata dolomitica sulle severe e più alte rocce delle Alpi Occidentali, destreggiandosi con disinvoltura sul VI grado. Realizzò imprese incredibili su pareti che ai suoi tempi erano considerate inviolabili e per le sue conquiste estreme, al limite dell’impossibile, fu denominato “Il Fortissimo”. 

Sul grande alpinista friulano è utile riportare alcune notizie tratte dal libro Il desiderio di infinito: Vita di Giusto Gervasutti di Enrico Camanni.

Scrive l’autore in un tratto del volume:

“Il segretario del Partito Nazionale Achille Starace comunica con una circolare ai segretari federali:

<< L’alpinista accademico Giusto Gervasutti, friulano, notissimo negli ambienti alpinistici, invitato da uno dei migliori scalatori francesi, Lucien Devies, a tentare la parete nord-ovest del Pic d’Olan nel 1934, è riuscito vittorioso nell’impresa. E’ forse il primo sesto grado delle Alpi Occidentali e certo fu il primo sesto grado in Francia. E’ quindi un’impresa che onora l’alpinismo italiano, tanto più significativa perché un alpinista francese ha ricorso per aiuto a uno dei nostri. >>


Alla fine di settembre 1934, Giusto Gervasutti parte con il conte giramondo Aldo Bonacossa per l’Abruzzo, che frequenta da anni la neve e le rocce del Gran Sasso. La sera del 1 ottobre il conte e l’alpinista sono al rifugio Garibaldi.

<< Dov’è la roccia migliore? >> chiede Gervasutti. << Ti porto io in un bel posto >>. Bonacossa ha in mente la cresta sud del Corno Piccolo, il crinale delle fiamme di pietra. E’ stata già scalata a tratti, ma nessuno l’ha fatta per intero e nessuno ha tentato il primo salto: lo sperone della Punta dei Due.

La mattina seguente il calcare del Gran Sasso si specchia nel cielo autunnale e negli occhi del “Fortissimo”. La roccia di ottobre è droga purissima, senza increspature.

La Punta dei Due suggerisce una via logica e invitante sulla Sella dei due Corni. Il conte e l’alpinista si legano e cominciano la scalata.

Gervasutti superò un tratto di scaglie e recuperò il compagno - scrive lo storico aquilano Marco dell’Omo - ; proseguì piantando un chiodo e superando elegantemente una placca senza molti appigli, con leggera traversata a sinistra. Dopo un paio d’ore erano sulla cima… << Passaggio di sesto >>  scrisse nella relazione che lasciò al rifugio Garibaldi.

 E’ un piccolo passo nella storia di Gervasutti e un grande passo in quella del Gran Sasso, nota l’accademico romano Gianni Battimelli perché il sei è ancora un numero vietato da quelle parti. Sulle fiamme di pietra cala la leggenda. Gli arrampicatori locali scrutano lo spigolo della Punta dei Due e scorgono i tre chiodi del friulano, soprattutto l’ultimo prima del passaggio chiave. Lo fissano scuotendo la testa e rinunciano. No, ci vorrebbero ali d’angelo per arrampicarsi dove è salito l’uomo del nord.

Passano quattordici anni e una generazione di scalatori, prima che le nebbie del mito si dissolvano, ripete finalmente la via del 1934. La prima cordata viene da Trieste (Guglielmo Del Vecchio e Piero Zaccaria), ma la seconda è abruzzese: Andrea Bafile e Lucio Berardi”.

 

Andrea Bafile era mio zio e Lucio Berardi era mio padre, con il carattere riservato, e mai si è autoesaltato per le sue innumerevoli attività sportive, tra le quali l’alpinismo: ne parlava pochissimo e assai raramente.

Il giubileo del primo VI grado superato da due abruzzesi sulla Via Gervasutti alle Fiamme di Pietra del Corno Piccolo, è stato ricordato e festeggiato dal Bafile alla fine dell’estate del 1998, nella cena conviviale che offrì nel cinquantenario dell’evento presso il BAR MARIA alla Base della Funivia del Gran Sasso, invitando dirigenti e soci del CAI aquilano congiuntamente a diversi amici alpinisti provenienti da altre città. Ogni anno Andrea Bafile, sempre a Fonte Cerreto al Bar Maria, e successivamente all’omonimo Ristorante, festeggiava un cinquantenario significativo delle sue avventure alpinistiche.

A questi “giubilei” non mancava mai Stanislao Pitrostefani, coautore con Carlo Landi Victori della Guida del Gran Sasso d’Italia CAI-TCI del 1943 che - riportando la relazione tecnica della salita del “Fortissimo”, nell’intera Guida menziona il 6° grado soltanto nella placca superata da Giusto Gervasutti nel 1934: “Al terzo chiodo passaggio di 6°”. Questa frase lasciò sbigottiti gli alpinisti abruzzesi, e la placca Gervasutti, per molto tempo, restò l’unico l’esempio ufficiale di una salita “estrema e proibitiva” nell’intera catena del Gran Sasso che nessuno osò sfidare.

Come già riportato, soltanto quattordici anni dopo, nel 1948, fu affrontata questa via - difficilissima in quel tempo - e fu superata agevolmente dagli alpinisti abruzzesi aquilani, che Andrea Bafile soleva (auto)definire “I primi terroni del 6° grado”. 

La scalata dello sperone sud (Gervasutti-Bonacossa) della Punta dei Due delle “Fiamme di Pietra” del Corno Piccolo, è indicata con il numero 33 nella foto e nel disegno allegati, tratti dalla Guidina “SCALATE SUL GRAN SASSO” redatta nel 1950 da Andrea Bafile, Domenico D’Armi e Fredi Mallucci.

Va tenuto presente che le imprese alpinistiche del passato, al limite dell’impossibile, avevano un valore più rilevante, perché realizzate con materiali pionieristici, poco idonei e inadatti per le conquiste estreme.  



Condividi

    



Commenta L'Articolo