FERNANDO ACITELLI - APPUNTI SU UN COLLOQUIO INTERROTTO

Felicità non t’ho riconosciuta che al fruscio
con cui ti allontanavi.

Camillo Sbarbaro

 

 

1.

 
L’esigenza del margine s’era acuita dopo che mia madre se n’era volata in cielo, e certamente la casa adesso era per me tutto uno smottamento e rimanere lì per molte ore era impossibile e così il girovagare per la città si faceva evento fruttuoso ma non per scordarmi di mia madre quanto per attenuare lievemente quel dolore che mi pugnalava e nella nostra dimora non c’era un solo punto che non mi raccordasse a lei e dunque era inutile voltarsi da un’altra parte, spostare lo sguardo da una fotografia o da un abito di lei, no, non c’era niente da fare anche perché le fotografie erano ovunque come pure gli abiti appesi che erano pareti ulteriori, le vere pareti, quelle impregnate della sua essenza e dei suoi codici interiori, dunque non si trattava d’un evento clamoroso il dormire fuori, magari su una panchina com’era capitato, ma questo non mi bastava più, del resto le stelle sapevano essere tristi, e così più d’una volta avevo immaginato d’addormentarmi in una chiesa nascondendomi all’imbrunire quando in una cappella di lato all’altare s’officiava il rosario, ecco, sognavo questo e sarebbe stato intenso addormentarmi in un cantuccio di navata con i marmi della Passione a vegliarmi assieme ai santi, sperando che di notte accadesse un miracolo, l’apparire del volto di mia madre, oh sì, là dentro poteva accadere e così si sarebbe innalzata la notte e all’alba sarei uscito felice da lì.

 

 

 

 

 

 

 

2.

 

Ma a parte queste fantasie, a casa meno ci stavo e meglio mi sentivo,  mia madre s’era addormentata nel sonno ed io che dormivo accanto a lei, una volta accortomi di tanto, non avevo saputo più cosa fare e non riuscivo a muovermi, ad ipotizzare una azione e soltanto dopo alcuni istanti, sperando d’essermi sbagliato, le avevo dato un colpetto con la mano come spesso mi capitava di fare di notte quando non sentivo più il suo respiro ma in tutte quelle occasioni ella m’aveva risposto perché al mio scuoterla lievemente s’era destata e mi aveva accarezzato con parole intense ed io allora avevo sospirato Oh cuoricino mio e la mia gioia s’era innalzata e non m’importava più niente del tutto, bastava sentire il respiro di mia madre e ogni cosa intorno perdeva consistenza, s’inaridiva, e invece quel mattino era accaduto che il fiorellino aveva forse sentito il suo cuore arrestarsi un istante prima che questo avvenisse, ma era stato tutto un colloquio tra di loro, intimo, tra lei e il setto atrio-ventricolare e così il fiorellino era salito in cielo senza la minima sofferenza, senza annunciarmi il sopraggiungere di qualcosa di strano, spostando al dopo il mio dolore, distinta anche nell’andarsene, delicatezza infinita, e poi l’avevo baciata lungamente e tra il viso ed i capelli e le labbra ed il collo, avevo composto un immenso diadema e l’avevo stretta a me come mai fatto con altri.

 

 

 

 

 

 

3.

 

Era sopraggiunto un vento neoplatonico, quello che riconoscevo dopo una giornata di pioggia e che dà una lustrata ai marmi, siano essi delle antichità romane oppure delle faccende contigue ad essi e riferibili ai nomi di chi s’era abbandonato nella speranza, quel vento anche piacevole perché non forte e in un cielo ancora venato di nuvole e in un grigio lieve come certe facciate di chiesette chiuse da molti anni la qualcosa dava da pensare, ecco, mia madre era compresa in un simile affresco ma era soltanto nel passo che potevo attenuare il dolore perché cambiavano le immagini davanti a me e così accadeva che io finissi in altri luoghi che non fossero quel cuore e quel viso che pure ogni tanto m’apparivano a mezz’aria senza però un ovale ove potessi vedere protetta mia madre, e deglutivo a secco e chiudevo gli occhi e instancabilmente superavo quartieri, giochi di luce a confine di due rioni, incrociavo preticelli delusi, pensosi con il loro sguardo in terra, e poi uomini d’età severa, paffuti, acchittati e reclusi in un attivismo che stupiva come se non avessero ancora messo in conto la risoluzione ultima, e quindi donne vaporose, di passo sicuro e che pensavano al domani, e quelli erano mondi che non potevo attraversare perché nel mio animo il primo punto all’ordine del giorno era sempre stato l’Essere e le sue conseguenze, e mia madre conosceva queste mie angosce e soltanto lei mi capiva.

 

 
 

 

 

 

 


 

4.

 

Quel vento neoplatonico che donava una lieve speranza era soltanto nella mia mente, oscuro agli altri, e superando rioni potevo ancora avvertirlo come favorevole, sì, era come la lieve carezza ai marmi ed io in quei momenti ad essi assomigliavo, mi sentivo un’iscrizione latina che si medicava grazie a quel vento tutto interiore che riassumeva le filosofie di tutti i secoli, ero medico di me stesso, e allora superavo rioni conosciuti, versati nella storia dell’arte e sfioravo chiese con racconti di miracoli all’interno, sì, tutto bene questo ma nel frattempo io pensavo a dove fosse finita mia madre e tutte le metafisiche attraversate non m’erano di soccorso, non riuscivano a svelarmi nulla, men che meno a puntellarmi e così vi era nella mia mente un affollarsi di anime dall’antichità ai nostri giorni ma non si poteva più prendere nota, s’era al collasso delle trascrizioni e gli ultimi arrivi erano in numero ingente e allora il capogiro era al sommo, la vertigine incalzava e saggio a quel punto diveniva sveltire il passo, fare il pieno d’immagini e celebrarmi in solitaria col solito monologo interiore tra strade che conoscevo bene e che erano adesso le sole ad accarezzarmi, a sussurrarmi bontà, e lungo esse negli anni vagai spensierato, pure imbrigliato in immagini di bene, sperso nella poesia, avevo tante illusioni ma l’unica certezza eri tu, a casa, cuoricino mio, tutta presa in mille laboriosità buone.

 

 

 

 

 

 

5.

 

Se tutto diveniva contemporaneità e il tempo nelle sfere celesti non esisteva, allora mia madre poteva essere in compagnia di chissà quante anime, magari del 4° secolo avanti Cristo oppure del 9° secolo dopo Cristo, e anche dei suoi genitori, delle due sorelle, entrambe di nome Brigida, del suo fratello Antonio e delle amiche d’infanzia Lellina e Maria, ma a pensare tutto questo di nuovo sopravveniva la vertigine e non riuscivo ad immaginare accanto a chi poteva vivere mia madre tra tutti i secoli accatastati proprio come marmi ed iscrizioni latine ai margini del Foro, questo era il punto, e in cielo le coordinate umane del giorno e della notte non esistevano e tale fatto poteva alimentare veramente un mondo delle idee che pareva un paesaggio più facile, quasi a portata di mano, ma su cosa si facesse lassù era impossibile immaginarlo e proprio per questo dovevo rimettermi in cammino, evitare simili riflessioni e concludere che avendo respirato il soffio vitale di mia madre e aver sentito accanto (e per un tempo lunghissimo) il suo battito, soltanto a quel ricordo potevo volgermi e rassicurarmi, quanto al resto, avevano provveduto a lesionare rapporti umani e pensieri celesti e ormai tutto aveva un prezzo e la speculazione non poteva essere più  filosofica ma d’altra natura, di nascosto e con telecamere, e si poteva dunque avvistare cosa sarebbe sopraggiunto, oh, beata tu madre mia.

Fernando Acitelli
 



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