"CASETTE", PROROGA O DEMOLIZIONE? SI STUDIA ANCHE L'IPOTESI SANATORIA

Il Comune dell'Aquila va verso la proroga di un anno dei manufatti provvisori realizzati a seguito del terremoto, le cui autorizzazioni hanno la validità di 36 mesi. In molte circostanze le cosiddette "casette di legno", costruite grazie alle delibere di Consiglio comunale numero 57 e 58 del 25 maggio 2009, approvate per consentire ai residenti in fabbricati inagibili di edificare in deroga agli strumenti urbanistici, in realtà, sono vere e proprie case che, senza un intervento amministrativo, rischiano di essere oggetto di provvedimento di abbattimento alla scadenza dei tre anni previsti dall’atto deliberativo dell’amministrazione comunale dell’Aquila. Il termine del 25 maggio del prossimo anno, molto vicino alla luce della delicatezza del fenomeno, è prossimo e monta la preoccupazione per quanti temono che i sacrifici fatti vengano vanificati da un colpo di ruspa. Il rinvio appare indispensabile anche perché molti proprietari di edifici gravemente danneggiati, quindi  classificati "E", ancora non sono rientrati nei propri alloggi, ma soprattutto per il fatto che si tratta di un tema complesso in cui subentrano tanti fattori: umani, economici, sociali. Alcune stime parlano addirittura di 4 mila manufatti, anche se un volo aereo realizzato gratuitamente da una società di Parma per conto del Comune ne ha scovati poco più di mille.
Qualunque sia il numero, si è di fronte ad altrettante storie personali di cittadini che si sono messi le mani in tasca e hanno tirato fuori i soldi, non gravando sulle casse dello Stato, per ridare un tetto dignitoso a se stessi e alla propria famiglia. Per questo il sindaco del capoluogo, Massimo Cialente, e l'assessore competente per l'Urbanistica Roberto Riga stanno pensando a una soluzione "ponte", una proroga dei termini per rimandare l'esame del problema a urne fredde, cioè dopo le elezioni della prossima primavera; un altro elemento che, per il centrosinistra, “consiglia” il rinvio di un anno in quanto le decisioni potrebbero essere impopolari e potrebbero quindi nuocere al consenso. Ma certo è che il rinvio è un pannicello caldo rispetto alla soluzione definitiva del problema e non si possono obbligare i proprietari dei manufatti provvisori a sfogliare ancora a lungo la margherita dello "smantello, non smantello". Piuttosto sarebbe il caso di dire le cose come stanno, facendo scelte coraggiose, sottolineando che da un lato esistono situazioni che potrebbero anche essere sanate, dall'altro ci sono case che vanno rimosse, come quelle tirate su senza l'autorizzazione del Comune o che non rispettano i vincoli idrogeologici e le distanze dalle strade e dagli altri edifici, per esempio. Si tratta di fare una distinzione tra speculatori e "poveri cristi", la stessa differenza che passa tra un condono tombale indiscriminato, di cui si parla anche a livello nazionale, e una sanatoria accorta, anche se distinguere è un compito per nulla facile e che potrebbe richiedere tempo. Molte le motivazioni che depongono a favore di questa seconda eventualità: il Comune potrebbe non turbare più i sonni degli aquilani che sono ricorsi a questa soluzione evitando che molti lascino la città trasferendosi con le famiglie lontano dall’Aquila, oltre al fatto che l’amministrazione potrebbe incassare cifre importanti dagli oneri di urbanizzazione conseguenti alla regolarizzazione dei manufatti.





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