RICORDO DI MARIA E FRANCESCA SPENNATI “LE MARCHETTE”

- di Fernando Acitelli -  

                                                Oggi il sole mi ha consolato

                                                più di ieri. Vuoi vedere che

                                                incontreremo di nuovo i nostri morti?

 

 

La Strada Ritta si può considerare l’arteria aorta di Assergi. Nei giorni della festa, per il modo in cui tutti da lì discendono verso la Piazza, ovvero verso la Chiesa, la si può immaginare come il red carpet di Assergi. Ho sempre avuto la sensazione che raggiungere la Piazza da questa strada non sia la stessa cosa che arrivarci da altre vie. Dopo l’entrata da sotto l’Orologio ecco che tale strada consente ad ognuno di far ritorno alla propria abitazione, al proprio rione. Ecco dunque che a destra si procede sia verso la Pisterola che verso la Piazzetta Carrozzi, quindi, tra la casa di Apollonia di Tommaso e la casa di Luigi Faccia, si può giungere all’Arco di Carluccio e, a proseguire, verso Daniele Poiana per poi sboccare, dopo le scale, da Vincenzina di Mantella la quale ancora s’immagina tutta operosa dinanzi l’uscio con Carminuccio che, sulla sedia, è in preda ai ricordi. Tornando a Nna Porta, di fronte alla casa di Luigi Faccia ecco in sequenza la casa che fu abitata da Maria de ‘ncantate, poi la casa di Clelia de Poiana e quindi l’edificio della signorina Battista e delle sorelle Patanella.

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La Strada Ritta prevede ancora una svolta a destra dopo la casa di Luigi Faccia e da lì, verso l’alto, vi sono tanti universi, cioè tante esistenze. Quindi la casa di Carlo Massimi e Sara Lalli e poi ancora una svolta a destra verso la casa di Franala mentre, di fronte, l’arco de Cappucine; quindi, ancora sulla destra, prima del vicolo di Poiana, la scala con ringhiera della casa che fu d’una certa Maddalena. Di fronte lo slargo di Petetta, la bottega che fu de gliu scarpareglie e quindi la casa de Giulian. Si sta per arrivare allo scrigno de Le Marchette, ovvero delle due sorelle Maria e Francesca Spennati. È un nido che soltanto pochi hanno visto ed io non sono stato tra i fortunati. Questo soprannome, Le Marchette, lo sentii fin dagli anni Settanta ma successivamente ad esso si aggiunsero quelli de La Stradale e anche, in un rigurgito del Ventennio da parte di qualcuno, La Milizia. Questi soprannomi chiarivano come le due sorelle si muovessero sempre in coppia ed erano d’una fedeltà inaudita. Francesca s’era sposata con un bel giovane di Paganica che di cognome faceva Chiaravalle. Mia madre mi riferì anche il nome di costui ma io, non trascrivendolo subito, me lo sono scordato. Mi sopraggiunge ogni tanto il nome Franco ma non posso essere sicuro. Comunque costui morì in guerra: mia madre non ricordava se si trattasse della guerra di Spagna oppure in Russia. Nel grande spettacolo degli assenti ora c’è anche lui e il nominarlo è, un poco, sentirlo tra noi. Del resto con quel cognome non lo potevo dimenticare: aveva anche un antenato illustre nella storia medievale, l’abate Bernardo di Chiaravalle, dottore della Chiesa. Chissà quante volte Maria e Francesca hanno puntato di notte la volta celeste nella speranza che il marito di Francesca tornasse a casa… «Domammatina se gliu vedeme innanz» - così alimentavano la speranza che Franco Chiaravalle tornasse ad Assergi. Sogno il loro sguardo, un tempo, nel condominio delle stelle, e un medaglione con quel viso a volteggiare nel buio della notte.

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Si diceva della Strada Ritta, ebbene, dopo la casa de Le Marchette ecco un’altra svolta a destra con le case di Giuseppina la Biancona, dei Brardella (un tempo casa di un certo Tomassone) quindi u Principine, la sorridente Mariettina che aveva sul suo letto, ben disposte a ricamare quel luogo, delle bambole, e quindi la casa di Agapito e, di fronte, quelle di Angelo e Chiarina, di Ginetta e Ercolino, e poi di un altro Ercolino, di Fiorone. Si arrivava quindi alla casa di Antonio Giacobbe e di sua moglie Pulcheria Lalli.

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Sempre sedute sull’uscio di casa, Maria e Francesca vegliavano il proprio tempo, scambiavano il saluto con tutti i passanti e la loro era una postazione ottima per vedere chi proveniva da Nna Porta e chi già affollava la Piazza. Sempre vestite di nero, non avrebbero mai accettato una variazione sul tema, e neppure sul grigio avrebbero patteggiato. Con il fazzoletto nero in testa, erano sempre rezzelate, come si dice, ed il loro sguardo (e quindi il loro animo) tentava di adeguarsi ai tempi nuovi anche se si vedeva che era per esse una fatica. Quella loro casa era un posto magico per me e quell’ombra del tardo pomeriggio che si distendeva sulla Strada Ritta risultava meravigliosa per fantasticare. Un pomeriggio d’agosto dell’anno 1970, attorno alle quindici,  trovai con i miei compagni – truppa chiassosa della fanciullezza - Grazia la camarda addormentata sugli scalini della bottega chiusa de gliu Scarpareglie. Indossava un vestito verde penicillina con il colletto tondo ed i bottoni serrati nell’asola fino al penultimo in alto. La chiave, al solito, era bene al sicuro nella cinta e la si intravedeva sul lato destro di lei, lato che era leggermente più sollevato rispetto all’altro. Grazia era poggiata sul suo lato sinistro, con la testa verso la Piazza e non si riusciva a capire come facesse a rimanere in equilibrio. La vegliammo senza disturbarla. Dormiva un sonno lieto: questione di attimi di serenità, di momentaneo distacco dalla vita. Malgrado il sole a picco, era già in giro, e di sicuro doveva aver incontrato tante persone e a ognuna aveva composto quel sorriso che l’avrebbe immortalata, sorriso che conteneva quei due sentimenti contrastanti ma che accompagnano da sempre gli umani: il sorriso per lo spettacolo della vita e il disincanto per la finitezza del Tutto. Oggi, ripensandola, le posso accreditare uno spazio pittorico, una figura nitida in un dipinto se non del Caravaggio almeno dei seguaci di Michelangelo Merisi. E comunque: a quell’ora Maria e Francesca Spennati erano al riparo dentro casa, steane a lo fresc peque fore ardea l’aria. Come loro abitudine sarebbero scese nel mondo di lì a qualche ora iniziando così la loro opera di catalogazione su chi transitava. Indubbiamente quella postazione poteva essere considerata come il belvedere della Strada Ritta ed esse aggiornavano le news con il loro sguardo acuto ma bonario. A proposito dello sguardo: esistevano due momenti nella vita di Maria e Francesca Spennati: il primo era quello nel quale Francesca non era stata ancora aggredita agli occhi. Era il tempo in cui poteva ancora contare sulla vista e così conversare con maggiore partecipazione non soltanto con la sorella ma anche con chi passava là davanti. Con quell’improvvisa aggressione, ecco che Francesca doveva contare su Maria per poter salutare chi là davanti si fermava. E mentre nel tempo lieto della buona vista di Francesca le due sorelle stavano sedute l’una accanto all’altra sul gradino di casa, con quella irruzione della patologia agli occhi ecco che Francesca era retrocessa, per così dire, nella parte interna dell’entrata, e se Maria occupava il gradino sulla strada, Francesca invece le stava seduta dietro, più protetta, al primo scalino della scala interna da dove iniziava l’arrampicata verso l’intimità della casa.

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«Bonasera, Fernà!» intonava Maria quando sfilavo davanti al loro uscio. E a quel ricamo affettuoso subito le faceva eco Francesca il cui saluto mi giungeva un po’ scheggiato ma non in quanto ad affettuosità sì invece per il modo in cui lei non controllava più con gli occhi la realtà. In quei momenti mi chiedevo in che modo Francesca avrebbe composto la risalita sulle ripide scale (poteva trattarsi almeno d’una decina di gradini). Forse Francesca procedeva con le mani poggiandosi gradino dopo gradino fino ad arrivare in cima. E in questa risalita doveva avere un ruolo non secondario Maria che infatti immaginavo come figura protettiva, pronta ad intervenire per la sorella. Era una sorta di puntello non soltanto emotivo ma anche pratico: Maria che sosteneva la risalita di Francesca fino alla serenità della cucina e poi della cammera ‘ngima. Quale fatica doveva essere quella scalata ad occhi chiusi! E perché, la cena e poi l’andata al letto non prevedevano forse dei rituali di fatica? Immaginavo il loro «Bonanotte…!» sotto le coperte dell’altro secolo, forse dono dei genitori. E a quel punto della sera Francesca sperimentava un altro tipo di buio  dopo quello ormai per lei consueto del giorno ad occhi spenti.

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Quella mia lieve familiarità con Maria e Francesca era nata quando io ero poco più che un bambino. Incuriosito da quelle due figure che vegliavano su quel ritaglio di mondo della Strada Ritta, un giorno mi fermai perché ero attratto da quel quadretto così composto, così necessario in quel punto del paese. E se da sempre cercavo figure che potevano definirsi emblematiche e che mi caricavano di quel sentimento dell’antico a me così necessario, ecco che Le Marchette dovevano entrare nel mio mondo interiore. Dunque mi fermai e con quella disinvoltura simpatica che mi riconoscevo, iniziai con un favoloso «Buongiorno!» Ricordo benissimo che era pomeriggio ma quel mio saluto non stonava a quell’ora e fu come un improvviso presentarmi. Una simpatica disinvoltura (come subito appresi) era anche in loro e infatti con modi gioviali intrapresero un colloquio non prima di avermi chiesto di chi io fossi figlio. Sapevo già da tempo cosa dovevo rispondere a quella domanda, del resto me l’aveva già posta la Giganta, me l’avevano posta tante altre care figure. «Di chi sono figlio? Di Domenicuccia di Lorenzo.» risposi prontamente. E quella mia confessione equivalse ad un’apertura di credito nei miei confronti e così Maria e Francesca incominciarono a chiedermi tante cose ed era uno spettacolo per me osservarle ed ascoltarle. Finivo con gli occhi anche sulle scale, su quello che consideravo uno splendido nido. Ognuno di noi eccelle in qualcosa e a me toccò l’arte di raccontare: se iniziavo con i ricordi, a fatica mi fermavo. Così in quell’occasione passai dalla famiglia di mia madre a quella di mio padre arrivando addirittura a narrare di mia nonna Teresa Lalli. Di lei riferii che era morta il 10 marzo del 1964 ed esposi con una precisione da storico latino tutta la sua traiettoria fino al congedo con la vita. Maria e Francesca rimasero stupite di tutto quel mio analitico e lirico narrare: conoscevano anche mia nonna paterna ed io fui contento di questo: fu come se qualche altra persona potesse dedicare qualche pensiero a lei. Da quel giorno con Le Marchette fui in affettuosa familiarità e quando transitavo per la Strada Ritta e non le trovavo sul ciglio del loro nido, ci rimanevo male e mi ripromettevo di passarci di lì a poco: anche scambiare poche parole sarebbe stato per me importante.  Le loro voci mi risuonano ancora dentro e il «Bonasera Fernà!» nella voce di entrambe, è ancora una carezza per me.

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Da ultimo voglio ricordare come le cugine di primo grado di Maria e Francesca Spennati (Le Marchette) si chiamavano (udite! udite!) Maria e Francesca Spennati (Le Scangiglie): erano fratelli i padri. Le Sgangiglie, la cui madre era sorella del padre di mio nonno Lorenzo, riposano in Australia, a Liverpool.



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