LA SCOMPARSA DI FERDINANDO GIUSTI: LA FINE DI UN’EPOCA

   - di Giuseppe Lalli -

 

   La morte di Ferdinando Giusti, “Il ragioniere” e “Il direttore”, come veniva chiamato ad Assergi ad indicare la sua qualificata e lunga presenza all’interno della C.I.T., l’azienda turistica del Gran Sasso che dalla metà degli anni trenta del secolo scorso, dal tempo della “Grande Aquila” di Adelchi Serena, (1895-1970) che quell’ente volle, ha dato lavoro a tanti assergesi, è molto più di un triste annuncio: segna in qualche modo la fine di un’epoca.

  Ferdinando Giusti è l’ultimo anello di una piccola catena di memorie che nell’immaginario collettivo degli assergesi ha accompagnato una vicenda, quella della montagna di Campo Imperatore, che negli anni ha assunto le tinte di una vera e propria epopea. Altri nomi (Carlei, storico direttore tecnico, Antonelli, mitico maestro di sci d’antan, Remo Lalli, Domenico Valeri (“Mimìtt”), Granata, Arcangelo Giacobbe, Franco Tacca, e tanti altri…) sono stati anelli di questa catena.

   A Campo Imperatore è passato un pezzo di costume e di storia, nonché di cultura. L’albergo, intitolato ad Amedeo di Savoia (1898-1942), che oggi versa in condizioni pietose, con il suo inconfondibile “stile Impero”, fu a lungo, prima della guerra, ritrovo della buona borghesia aquilana e soprattutto romana. Nel 1943, come è noto, fu la storia con la “S” maiuscola a transitarvi, allorché Benito Mussolini (1883-1945), proveniente dalla Maddalena, vi fu tenuto prigioniero dal 3 al 12 settembre, giorno in cui, nel quadro di quella arrischiata “Operazione Quercia”, fu liberato dai tedeschi e condotto in Germania.

   Nei primi anni cinquanta fu il deposto re egiziano Re Farouch (1920-1965), in esilio in Italia, a visitare le nostre montagne e pare che, sempre a caccia di donne e di affari, abbia espresso il desiderio di acquistare il Centro Turistico del Gran Sasso per istallarvi un casinò. Ma non se ne fece nulla.

  Il 10 settembre 1952 Jean Paul Sartre (1905-1980), il grande filosofo francese, giunse a Campo Imperatore insieme a Simone de Beauvoir (1908-1986), la compagna di una vita. Dissero che stavano visitando l’Abruzzo «per continuare idealmente ad “ascoltare” e “vedere” la descrizione che di questa terra ci ha fatto il nostro amico Ignazio Silone», che avevano conosciuto a Parigi dopo la lettura di Fontamara, il capolavoro dello scrittore marsicano.

   Chissà quanti aneddoti avrebbe potuto raccontare Ferdinando Giusti sulle vicende dello storico albergo.

    Ma riscendiamo a valle, nelle piccole storie e nei piccoli pensieri.

    La scomparsa di Ferdinando Giusti segna la fine di un’epoca sia da un punto di vista sociale che da un punto di vista anagrafico. Mi viene da pensare a lui come ad una figura tipica nel paesaggio professionale italiano. Meticoloso, competente, coltivato, era l’espressione di quella piccola borghesia degli impiegati direttivi che nel secolo scorso, nelle amministrazioni private come in quelle pubbliche, hanno costituito una piccola spina dorsale del nostro Paese: quella onesta categoria dei ragionieri che ricordano di tanto in tanto ai politicanti di turno che due più due fanno sempre quattro, in tutte le età e in tutte le latitudini. Io che scrivo ricordo una cena di tanti anni fa a cui era presente anche Ferdinando, il quale espresse un'opinione di assoluto buon senso e che in questi nostri tempi di demagogia imperante potrebbe apparire una proposta rivoluzionaria, e cioè che le pubbliche amministrazioni dovevano ripristinare il costume antico di perseguire il pareggio di bilancio.

   Ferdinando apparteneva a quella generazione nata prima della guerra, la generazione che ha preceduto quanti, come lo scrivente, hanno visto la luce negli anni cinquanta: erano rispetto a noi più avanti con l'età perché potessimo trattarli come fratelli maggiori e ancora abbastanza giovani perché li potessimo considerare dei padri. Una generazione, quella di Ferdinando Giusti, che nei nostri villaggi ha fatto in tempo a conoscere le ristrettezze della vecchia società contadina e al tempo stesso ha beneficiato dello sviluppo economico degli anni sessanta.

  Quando l’età mi ha permesso di rapportarmi con lui, ho scoperto un uomo riservato e gentile. Aperto al confronto, tollerante, preparato, mi ricordava vagamente, anche nell’aspetto fisico, Giuliano Amato, il noto intellettuale e politico che dà l’impressione di essere “tutto cervello”.

    A me che scrivo, modesto cultore di storie grandi e piccole e che ama cogliere nelle cronache di quei microcosmi che fino a pochi decenni fa erano i nostri villaggi i tratti stessi della vicenda universale, piace ricordare che Ferdinando Giusti era un mio non lontano parente. Infatti, il suo nonno paterno era fratello di una mia bisnonna, Rita Giusti, sposata con Francesco Giacobbe, detto “Ciccion”.

     Arrivederci Ferdinando, e che la terra ti sia lieve, come era lieve la tua voce.



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