LA CACCIA NEL XX SECOLO FINO AD OGGI NELLA ZONA PEDEMONTANA DEL GRAN SASSO

LA CACCIA NEL XX SECOLO FINO AD OGGI
NELLA ZONA PEDEMONTANA DEL GRAN SASSO:
ASSERGI-ARAGNO–CAMARDA-FILETTO-BARISCIANO  

- di Giovanni Altobelli -

Premessa. Fin dai tempi antichi, la caccia è stata la pratica di catturare o abbattere animali selvatici. All’inizio l’uomo non considerava la caccia uno sport, ma un modo per abbattere gli animali per la propria sopravvivenza. Nel corso della storia quando ancora non esistevano le varie armi moderne, per catturare i vari animali si usavano: (trappole, fosse, buche e tutti i vari stratagemmi), tutto per soddisfare la nutrizione dell’uomo. Alla fine dell’800 inizio 900, la caccia comincia ad essere un vero sport. Ma prima ancora, la caccia era ambita e riservata soprattutto ai regnanti delle varie corti d’Europa, ai baroni, conti e signorotti vari dell’epoca, che potevano disporre delle varie riserve di caccia per soddisfare i propri divertimenti.  Mentre le classi meno abbienti non potevano frequentare tale sport, ma si contentavano di abbattere gli animali per la necessità familiare e nutrirsi di carne fresca.  Pertanto, verso la fine dell’800, la caccia assume un ruolo di primaria importanza.  Agli inizi del 900 nasce la Federazione Italiana della Caccia, nonostante che nel territorio nazionale ci fossero ancora pochi cacciatori.  Nel 1935 in Italia si contavano 350.000 cacciatori.  Mentre nell’anno 1980 i cacciatori in Italia erano 1.701.853. Con il passar degli anni, inizia la decrescita, arrivando nel 2007 a 751.876 cacciatori, attualmente nel nostro paese ci sono 570.000 cacciatori. Per dovere di cronaca, prima di raccontare brevemente la storia della caccia nelle nostre parti, il 3 giugno 1990 in Italia i cittadini furono chiamati a votare per il Referendum sulla caccia e non fu raggiunto il quorum, ci fu una affluenza del 42,92 per cento e fu dichiarato non valido. 

CACCIATORI DEL PASSATO DELLA ZONA PEDEMONTANA DEL GRAN SASSO.

Dopo gli anni venti, si racconta che i cacciatori erano veramente speciali, coloro che potevano acquistare un fucile da caccia erano fortunati. All’epoca i contadini, dopo il lavoro dei campi si dedicavano alla caccia, mentre i pastori e allevatori di mucche, anch’essi dopo aver organizzato gli animali al pascolo, cominciavano la loro battuta di caccia.  Quasi sempre alla sera riportavano il carniere pieno di starne, pernici, quaglie e lepri, essendoci la miseria quando il capo famiglia riportava carne fresca e prelibata in casa erano tutti contenti. Nel lontano passato, quando le cartucce erano rare e costose, alcuni poveri cacciatori ricavavano il piombo nel seguente modo: (prima si procuravano il piombo in pezzi grandi, poi veniva spezzettato e messo in una padella bucherellata sopra al fuoco, veniva poi fuso e recuperato in altro recipiente sottostante e si ottenevano residui quasi tondi. Dopo, raffreddati, venivano sagomati per essere messi successivamente alle cartucce. Le cartucce sempre a causa della povertà venivano confezionate in casa). Prima si compravano le cartucce vuote, la polvere, il piombo e le borre da caccia e la costa-cina, nella cartuccia c’era la capsula e con una apposita macchinetta si caricavano, ma a volte queste cartucce caricate artigianalmente quando si sparava scoppiavano nel fucile. Mi ricordo da ragazzo, otre 60 anni fa quando avvenivano i matrimoni si sparava per festeggiare gli sposi ed in altre ricorrenze di festeggiamenti o di fine anno. Nel passato quando si andava a caccia; i cacciatori di una volta erano assai rispettosi della selvaggina, in quanto non si uccideva mai un leprotto, perché era un piccolo cucciolo che serviva per la continuazione della nuova riproduzione. Non so oggi nel terzo millennio se qualche giovane cacciatore, trovando un leprotto che decisione prende, ammazzarlo o lasciarlo? Prima una coppia di starne veniva lasciata per dopo Natale, cioè per la prossima stagione venatoria. I cacciatori delle nostre zone, prima le allodole non le uccidevano, perché non valeva sprecare la cartuccia perché troppo piccole.  Ma successivamente negli anni (60-90) arrivarono cacciatori da altre regioni che distruggevano tutto. Nel passato fino agli anni 60 i cacciatori dalle nostre parti uccidevano i lupi perché considerati pericolosi, poiché uccidevano animali domestici (pecore, capre, mucche, cavalli ed asini). Sempre nel passato, molti cacciatori mettevano trappole per i lupi, poi venivano caricati sul dorso di un asino o mulo e andavano in giro per i paesi a chiedere alla gente viveri: (quali formaggio, salami e soldi come ringraziamento). I cacciatori da sempre hanno avuto bisogno dell’aiuto dei cani per cacciare la selvaggina. Ogni cacciatore aveva il suo cane da punta, da ferma o da leva. Gli ultimi 50 anni la selvaggina è diminuita a causa dei pesticidi usati per l’agricoltura, che danneggiano la vita della selvaggina.

Piccoli racconti di cacciatori del passato.

Un cacciatore di Filetto negli anni 20 “Domenico Ciampa” uccise oltre 50 piccioni della famiglia Moscardi nella propria piccionaia a Camarda con prepotenza. Nel 1958 a Filetto si celebrava un matrimonio, il fratello della sposa si mise a sparare all’impazzata, mentre un giudice che faceva una causa sul posto nelle vicinanze, redarguì il giovane facendolo smettere.  

La caccia alle volpi.

Nel lontano passato a Filetto, gli asini morti, venivano buttati in un dirupo denominato: “Le coste sante”, la notte le volpi andavano a caccia di carogne, mentre i cacciatori gli facevano la posta, tutto in luna piena, le volpi venivano ammazzate e la pelle venivano portata a Piedi Piazza a L’Aquila per essere vendute ai negozianti per ricavarne pellicce e venderle ai signorotti benestanti. Sempre a Piedi Piazza a L’Aquila, le mogli dei cacciatori dei paesi vendevano anche la buona selvaggina.

Vecchi cacciatori del passato da ricordare.  

Per la frazione di Assergi vanno ricordati: Domenico Scarcia detto Mimì, Aldo Giusti, Domenico Mascioni, Arcangelo Graziani, Giovanni Leonardis, Giuseppe Faccia, Clemente Mosca, Domenico Mosca.  Per la frazione di Aragno vanno ricordati: per prima un certo Fiore Barone detto Santarello, il quale appena finita la Seconda Guerra Mondiale in un anno, ammazzò 99 lepri, altri vecchi cacciatori: Amedeo e Silvio Barone e Domenico Bromo. Per la frazione di Camarda vanno ricordati: Nunzio e Pietro Pulsoni, Luigi Carrozzi, Giulio Casilli, Alfredo Baglioni. Per la frazione di Filetto vanno ricordati: il capostipite dei cacciatori Clemente Marccocci il vecchio nato il 2/5/1851 il figlio Sabatino Marcocci e tutti gli altri figli: (Zelindo, Remigio, Umberto, Arturo ed altri). Altra famiglia di cacciatori, Federico Marcocci, Pierino Altobelli, Florio e Domenico Chiarizia, Amedeo e Domenico Ciampa, Vittorino e Domenico Ianni e tanti altri. Cacciatori famosi del passato di Barisciano. Emilio Zaccagnini detto Biancone, Remigio Panone detto Belluzzo, Quintino di Nardo detto Ucanaru, Gugliemo Santavicca detto Bracciolungo, Ennio Santavicca detto Ucallararu, Antonio Giampietrone detto Ricciurigliu, I fratelli Luigi e Vittorio Di Paolo detti Mappetta, Antonio Marinelli detto Lo Scialapopolo, Gaetano Giamberardino detto Piagnittu. Questi sono stati i cacciatori del passato con i pochi mezzi a disposizione, sono stati dei grandi ed hanno fatto la storia in un periodo dove c’era la miseria, hanno passato il loro tempo libero a divertirsi, sono stati amici e rispettosi gli uni con gli altri. Hanno organizzato gare di tiro al piattello e di caccia pratica e di addestramento cani fra i Piani di Fugno di Filetto e la Piana delle Locce di Barisciano. 

Conclusioni. Ho cercato di raccontare a modo mio i cacciatori del passato, ricordo quando si apriva la caccia, la sera prima era una grande festa per i bar dei paesi, si formavano le varie squadre per alzarsi presto la mattina per iniziare le prime battute di caccia. Oggi i cacciatori sono assai diminuiti è questo sport è diventato molto costoso. Forse l’unica soddisfazione è la caccia al cinghiale, dove grandi squadre di amici cacciatori nei nostri paesi ammazzano tanti cinghiali. Oggi non esiste più la caccia di una volta è soltanto un ricordo di un tempo che fù.

 

Collezione fotografica storica di Giovanni Altobelli.



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