POSTA CERTIFICATA DAGLI ANNI SETTANTA

- di Fernando Acitelli -

 

Caro Peppino, il tuo corsivo è giunto “come un ramoscello verde in un rigido inverno”, citando Umberto Saba in risposta all’allora giovane poeta Sandro Penna che gli aveva inviato delle poesie in lettura. Grazie per il tuo sublime intervento. Ma a parte questa premessa lirica, devo dire che la scrittura ci permette di ri-sentirci, e questo non è poco. Hai detto bene: malgrado io passassi un solo mese l’anno ad Assergi, ho talmente attraversato tutti i suoi luoghi e osservato minuziosamente le persone che adesso tutto avviene come intensa ricaduta narrativa. Vero è anche che c’è stata una scuola silente alle spalle, e dunque un verbo coniugato sempre al tempo imperfetto (quando andava bene) e più spesso al passato remoto. Ascoltavo sempre questi due modi verbali e così il Passato s’ergeva come eterno presente. Naturalmente queste rappresentazioni non le ascoltavo soltanto dai miei cari ad Assergi ma anche dai miei genitori: ciò che era accaduto andava accudito e custodito come Memoria. Quanto al futuro, era come guardare Corno Piccolo dal basso: lo si intravedeva ma era assai difficoltoso immaginare i movimenti giusti anche se il sentiero era tracciato. E comunque, io non credo che sia soltanto l’aver ascoltato quei verbi coniugati al passato a portarmi in simili “mari estremi”; ritengo che “costituzionalmente” sono sempre stato per rammemorare e infatti c’è immenso piacere nell’affastellare parole, per unire universi incredibili, apparentemente dissolti. Ritengo inoltre che sia stato tuo desiderio rimanere “uno scrivano di provincia” perché t’assicuro che saresti stato molto al di sopra di tanti scrittori, più o meno conosciuti. Almeno come tua impostazione di scrittura ed etica. La tua prosa è limpida e venata d’ironia ad ogni passo e direi che è come la tua postura ed il tuo sguardo quando ti poni in ascolto: l’eleganza già nella posa come in certi dipinti di Giovanni Boldini. L’alto e il basso sono in te ed è questo cortocircuito - la prosa controllatissima, nitida, e d’improvviso la caduta (volutamente concepita) – a farti alla fine sorridere com’è nell’eterno incanto dell’umana sconfitta. Che tu non ti sia inoltrato professionalmente nella scrittura credo sia dipeso dal tuo pudore e da una forte discrezione, qualità queste che furono anche di mio padre – i Lalli lasciano sempre un segno - che spadroneggiava con matita e pennelli e che anche con la scrittura diceva la sua, ne sono testimonianza le innumerevoli lettere e anche quelle dai fronti di guerra. Se ti fossi inoltrato veramente nella scrittura, l’avresti di certo potuto pubblicare il tuo Gattopardo. E comunque saresti sempre in tempo per farlo. A ben vedere, è proprio un romanzo come Il Gattopardo che manca in questa epoca di passaggio che lascerà tra breve il posto alla sempre più veloce e incontrastata e pericolosa Età della Tecnica. Ma noi, tardo romantici e un poco pure decadenti, con in testa Balzac, Manzoni, Maupassant fino alle evoluzioni del D’Annunzio, poco ci interessa che a parlare d’ora in avanti siano le macchine e sempre meno gli umani. Pensa, tutta l’umanità è in contatto ma il logos è scomparso! Non sa essere sublime anche il nichilismo? Ti ringrazio nuovamente, ti abbraccio forte e ti invito ad iniziare il tuo privatissimo Gattopardo (se già non l’hai fatto), tuo Nando



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