IL COVID-19 E GLI AQUILANI - UNA RIFLESSIONE DI GIUSEPPE LALLI

- UNA RIFLESSIONE DI GIUSEPPE LALLI -

 

In questi giorni di perdurante emergenza sanitaria, in una delle mie frequenti passeggiate con mascherina nel centro storico dell’Aquila, secondo un’abitudine che è diventata ormai una terapia per l’anima, mentre vagavo trasognato in quel gomitolo di viuzze nel ventre della nostra città pieno di gru che sembrano grosse siringhe che iniettano disinfettante in un corpo ferito, riflettevo che in fondo noi aquilani alle “zone rosse” ci abbiamo fatto l’abitudine, dal momento che ci conviviamo da più di undici anni. 

  Giusto un anno fa, all’inizio della prima ondata del Covid-19, mentre facevo la fila per entrare nella stanza del medico di famiglia, sentii dire da una signora: «Oddio ! Questo è peggio del terremoto!», ma, a guardarla la bene, la donna non appariva poi tanto impaurita, e la frase sembrava che le fosse uscita di bocca più per scaramanzia che per vera angoscia.

  Ecco – pensai - il terremoto per gli aquilani è diventato uno spartiacque, sia dal punto di vista cronologico, sia come criterio di valutazione di ogni altra disgrazia collettiva: questo è il sentimento che, benché siano passati quasi dodici anni da quella notte del 6 aprile, fa capolino nella psiche dei nostri concittadini. Per strano che possa apparire, il Covid a noi aquilani non sembra una sciagura che si aggiunge ad un’altra sciagura, quanto piuttosto una condizione di precarietà, che si pensa sarà breve, che ci farà superare meglio quella che dura da troppo tempo.

  È come se il Covid, con le sue restrizioni e il suo andirivieni di ansie, fosse una terapia che viene in aiuto alla memoria. Il Covid sarà un tampone – è proprio il caso di dirlo – che aiuterà a rimarginare la grossa ferita del terremoto.

  Passeggiando per le vie del centro dell’Aquila, si respira la voglia di ricominciare, ci si saluta volentieri, più di quanto non accadesse in passato, si riceve e si dà sempre più spesso una manciata di ottimismo.

 Senza voler sminuire la tragedia del virus, c’è da sperare, con Giambattista Vico, che da una calamità collettiva possa venire un’opportunità, a tutti i livelli, e in ogni parte del mondo.



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