VITA DI AGAPITO MOSCA - di Fernando Acitelli -

 

- di Fernando Acitelli -

 

Nell’opera teatrale Il Gabbiano il grande scrittore russo Anton Cechov fa dire ad uno dei personaggi che si chiama Trepliòv: «…Bisogna rappresentare la vita non com’è e non come deve essere, ma come ci appare nei sogni.» Ecco, diciamo che io non ho potuto in questa occasione disperdermi nel sogno ma riportare i fatti nello stesso modo in cui mi sono stati narrati. Certamente il sogno salva perché ci consente di narrare un’altra vita, una che scorre parallela alla nostra e dove accade tutto quanto noi vogliamo che accada. Dunque la letteratura e la poesia salvano, sono gli strumenti che ci consentono una sospensione dalla vita, un sano distacco, una lontananza dalle angosce quotidiane. La fantasia, il sogno li tengo dunque per me, per i miei racconti, ma se devo delineare il profilo d’un individuo, m’impongo la regola dei puri fatti che hanno dato colore alla vita che m’accingo a narrare.

La vita di Agapito Mosca si può riassumere nella bellezza della sua memoria. Essendo nato il 19 novembre 1929, a 91 anni non una scheggia di perplessità né ricordi annebbiati possono coglierlo e le sue narrazioni sono limpide e sembra che, raccontando, egli mandi in onda il film della sua vita. E così ogni fotogramma è limpido, ogni aggancio al passato è rappresentazione pura e i fatti narrati si colgono tutti e sembra che anche noi che ascoltiamo siamo lì, accanto ai personaggi che vengono chiamati in scena. Figlio di Berardino Mosca e di Angela Giannangeli, Berardino era a sua volta figlio di colui che ad Assergi veniva soprannominato “U Frate”, cioè Giuseppe Mosca i cui riferimenti anagrafici sono 1843-1927. Il soprannome “U Frate” gli veniva a ragione dalla barba solenne, veramente d’un frate, come quella di Fra’ Madi (Frate Ama Dio) che negli anni ’30 raggiungeva sempre Assergi per le prediche e che proveniva dal convento di Santa Chiara de L’Aquila, questuante nei paesi sotto il Gran Sasso: costui era solito ripetere questa lieve preghiera tutta in rima:   

 

                                

                                                           Iddio sempre c’è presente,

                                                           in ogni luogo ci vede e sente,

                                                           pensa spesso che il peccato

                                                           a Gesù la morte ha dato.

                                                           Vita breve, morte certa,

                                                           del morire l’ora è incerta:

                                                           un’anima sola si ha,

                                                           se si perde, che sarà?

                                                           Presto finirà questa vita che hai

                                                           ma l’eternità non finirà giammai.

 

Oltre che per la barba solenne Giuseppe Mosca era ricordato per tutte le faccende inerenti la chiesa e così suonare le campane e cantare gli inni sacri. Non era propriamente un sagrestano, più semplicemente un uomo che si divideva tra i suoi lavori e l’area sacra della chiesa.

La moglie di Giuseppe fu Letizia Giacobbe; i due ebbero sei figli dei quali Berardino era il secondo figlio, nato il 25 dicembre 1878 e morto il 12 dicembre 1953. Agapito ricorda particolarmente la nonna Lucia Acitelli (de i Cotti). Costei era la donna più vecchia di Assergi e si vantava del suo fisico e come da giovane aveva la capacità di mettere sull’attenti anche uomini forti. Malgrado a casa di Agapito vi fossero diverse camere da letto e tutte erano mobiliate, la nonna Lucia preferiva alla sera andare a dormire nella sua casa alla Cimosca. Una volta pure successe un incidente e costei  cadde dal letto e si ruppe il femore. A quei tempi, si doveva essere attorno al 1935, quando ad una persona con età importante accadeva un incidente del genere ciò equivaleva ad una vera sentenza di morte per tutte le conseguenze che una simile frattura recava con sé.

Ora, oltre a questo accadimento grave Agapito ricorda anche le belle azioni dell’amata nonna Lucia. Costei si alzava tardi e arrivava alla casa di Agapito e lì si metteva subito all’opera nel preparare la colazione. Tagliava dunque il pane a fette e provvedeva ad abbruscarlo e quindi adagiava sulla brace la macchinetta del caffè (la ciocclattera di rame). Era chiaro che in mancanza di caffè si provvedeva con l’orzo tostato e macinato. Bene, queste dunque le azioni nitide che si componevano nella cucina con i marmocchi Letizia, Clara e Agapito, forse svegli da poco. Poi nonna Lucia provvedeva a versare il caffè in una tazza grande (Agapito ricorda anche che questa tazza aveva due manici) e in essa versava il caffè (o l’orzo) e poi accanto aveva un uovo ed un bicchiere di vino. Con la tazza adagiata sul seno, in una posa di serenità, mangiava tutta soddisfatta mandando a dire a chi le stava intorno:«Mo stengh bona fin a massera…» Dunque, come si sarà capito, la colazione era tutta per lei. Per i marmocchi avrebbe provveduto la madre di questi, ovvero Angela Giannangeli.

La nonna Lucia aveva tre figlie e due figli. La prima era Marietta, la seconda Angela, madre di Agapito e moglie di Berardino Mosca.

Marietta aveva per marito Enrico, la cui più grande passione era la caccia e anche per questo faceva disperare la moglie che faticava non poco per allestire pranzo e cena. Infatti sembra che costui non fosse un gran faticatore e amava molto stare in compagnia degli amici con i quali condivideva il gioco delle carte. Insomma, un discreto dissipatore del tempo. E comunque come ebanista era molto bravo, quando però gli andava di lavorare. Questa, naturalmente, la ricostruzione da parte di chi lo conobbe. Il quadro obiettivo era dunque questo e visto che nella casa di Agapito c’era abbondanza di tutto, ecco che Angela sopperiva a quelle difficoltà aiutando la sorella. E se Berardino – il marito di Angela - si mostrava un poco contrariato per questa situazione, ecco che Marietta subito interveniva con una battuta che non ammetteva repliche, e infatti così ribatteva: «Brardì la robba se piglia a do sta e se mette a do ne sta.» (traduzione: «Berardino, la roba si prende dove sta e si mette dove non sta.»). Ed ecco allora che con questa folgorazione degna d’uno scrittore di aforismi, Marietta rimetteva tutte le cose a posto e s’appianavano gli eventuali contrasti.

Agapito non ha conosciuti i due figli della nonna Lucia ma ne ha sentito parlare in famiglia e se lo zio Giovanni, come tanti assergesi, andò in America e lavorò nelle miniere di carbone, lo zio Franco sposò Elisabetta Lalli ed ebbero due figli Guido e Gino. Franco lavorava come usciere al Banco di Napoli di Avezzano e morì sotto le macerie. Agapito sentì raccontare che la zia Elisabetta con i due figli piccoli si salvarono per miracolo dal terremoto e i figlioletti rimasero addirittura sospesi nel letto sopra le travi dell’imbracatura. In seguito a quella tragedia il Banco di Napoli sostenne la zia Elisabetta la quale poté mandare i figli a scuola. Terminati gli studi, entrambi entrarono al Banco di Napoli come impiegati. Triste destino per Guido che morì di cancro ancora giovane mentre Gino sposò Mimina Lalli, maestra: ebbero due figli, Gianni e Fiorella.

Gino diceva ad Agapito che quando tornava in Italia si poteva rivolgere direttamente a lui in banca in modo che poteva riconoscergli il massimo del cambio dai dollari alla lira. E questo non era che uno dei tratti di altruismo e signorilità che contraddistinsero tutta la vita di Gino Giannangeli.

Tra i ricordi che riaffiorano v’è uno tristissimo e che coinvolge direttamente Agapito, all’epoca di questo episodio bimbo d’un paio d’anni. Dunque, attraversiamo questo ricordo del quale egli ancora ne parla con grande dolore: la morte di sua zia Domenica Giannangeli, sorella della madre Angela. Per narrare questa tristissima storia bisognerà descrivere il luogo dove tanto accadde di modo che il ricordo di questa giovane donna e madre potrà rimanere scolpito nella mente (e, si spera, nell’animo) dei più. Il luogo è troppo importante per la ricostruzione d’un dolore lacerante; è proprio il luogo che ci consente “d’attenuare” un po’ quello che è accaduto e già il recarsi in quel posto se non allontana il dolore di certo lo mitiga e, con un paragone neppure troppo azzardato, è come svuotare il sacco delle proprie angosce ad uno psichiatra. C’è una “messa a terra” e come in un impianto elettrico, quanto accumulato d’elettricità va a scaricarsi a terra ponendo in salvo tutta la casa e chi vi è dentro.

Il luogo, dunque: la Piazzetta del Forno e così quella stradina in discesa prima della casa che fu di Filomena Vitocco e, poco più sopra, quella di Franco Corrieri e di sua moglie Giuseppina. Dunque quella stradina in discesa o vicolo sublime che dalla casa di Cristoforo Giusti e Maria Alfonsina Mastracci conduce molto in basso fino a giungere a due scale sui rispettivi lati. Alla fine delle scale si apre un finestrone che sembra portare luce a quel vicolo e, oltretutto, rischiara la vista e infonde serenità se ci si può perdere finendo con gli occhi su le Cartiche, su le Coste del Mulino e intravedere da una parte la strada statale fino a “gliu Brigant” e dall’altra la Casa Latina, con i suoi alberi arrampicati. Ebbene, sulla scala a destra dopo la discesa, nell’ultima porta in alto a destra prima del finestrone che dava sul belvedere, ecco, lì abitava Domenica Giannangeli, moglie di Luigi Napoleone e madre della piccola  Pierina. Domenica era la sorella di Angela, la madre di Acapito, e fu aggredita da un brutto male al seno e, sebbene avesse subìto un intervento chirurgico, le cure nel 1930 non davano che esili speranze ed ella rifiutò anche un secondo intervento con il quale i medici sarebbero intervenuti addirittura sulla clavicola nell’ipotesi di scongiurare il male. Ora il bimbo Agapito, non entrava dentro quella casa e rimaneva sulle scale a giocare con la poco più grande Pierina. Ma accadeva che ad un certo punto da quella casa fuoriuscisse, piangente, sua madre Angela. E alle domande continue del bimbo sul perché ella piangesse, costei non poteva rispondergli. E comunque il bimbo Agapito capiva quanto stava accadendo dentro le mura di sua zia. In breve, nel 1931, Domenica Giannangeli se ne volò in cielo e quel vicolo incominciò a distinguersi come luogo nefasto se accanto a questa morte ne dovette registrare un’altra, esattamente quella di Brigida Giusti (1920-1934) sorella di mia madre che morì in una stanza in alto di quella stradina in discesa, lei aggredita dalla difterite. Se per quel vicolo provai sempre un’avversione per la morte di mia zia, dopo aver ascoltato il racconto di Agapito mi pare vi sia un’accentuazione di questo sentimento. E pensare che da fanciullo ero su quelle scale insieme ai miei compagni di giochi e dal finestrone allestivamo progetti e sogni.

Chissà quante volte Domenica Giannangeli avrebbe potuto affacciarsi da quella grande apertura dopo le scale magari mostrando alla sua bimba il paesaggio!... Chissà come sarebbero stati i suoi rientri con il sole al tramonto e la certezza d’aver ben operato quel giorno!... E non esiste neanche una fotografia di Domenica Giannangeli, qualcosa che possa ancor più di queste righe ricordarla a tutti noi. Eppure tante foto mi sono passate sotto gli occhi, molte pure custodite dai miei genitori, ma sono tantissimi gli assenti per i quali, adesso, dovranno bastare queste e altre righe di ricordo. In seguito a quell’evento, le sorelline di Agapito, Letizia (nata nel 1924) e Clara (nata nel 1926), si recarono a cogliere delle violette per onorare la zia Domenica; quelle violette si cercavano vicino alle forme dei prati ed erano dei luoghi riparati dal vento. Agapito ricorda di aver sentito sua zia Domenica che, poco prima di morire, consigliò suo marito Luigi Napoleone di risposarsi perché la solitudine non l’avrebbe aiutato e poi con la bambina non avrebbe potuto adempiere a tutto. Costui era un uomo forte e robusto e trovò un’altra donna in Domenica Vitocco (degli Scardella) e visto che Luigi aveva un fratello in Argentina partì con tutta la famiglia per quelle terre e si stabilirono nei pressi di Buenos Aires. Negli anni attorno al 1950 Luigi Napoleone con la seconda moglie Domenica raggiunsero Agapito per una breve visita e in quell’occasione Luigi si mostrò entusiasta del Canada e, più in generale, di tutto il nord America.

Tornando a Giuseppe Mosca, cioè “U Frate”, Agapito non lo ha conosciuto perché lui morì due anni prima della sua nascita, nel 1927. Quello che sa di lui è che veniva da una famiglia numerosa di figli maschi e sposò Letizia Giacobbe che Agapito non ha conosciuto ma ne ha sentito parlare molto da suo padre. La madre Angela diceva che donna Letizia era una buona madre, anche severa, ma sapeva disciplinare tutti ed usava severità anche con se stessa. Era figlia unica e suo padre si chiamata Agapito e proprio per questo motivo vi fu la riproposizione di questo nome.

Prima di sposarsi con Angela Giannangeli, Berardino Mosca era andato in giro in Europa in cerca di lavoro perché ad Assergi non c’era nulla da fare. Dopo l’Europa s’aprì all’avventura ed eccolo allora in America: prima a Philadelphia e dopo soli due anni, inspiegabilmente, tornò ad Assergi. Ma s’imbarcò nuovamente per l’America all’inizio del XX secolo e come tanti altri uomini in quell’epoca andò a lavorare in miniere di carbone e rimase in America per circa otto anni. In miniera, tra cunicoli, carrelli e una luce stentata gli accadde di fratturarsi una gamba. Si pensi soltanto per un attimo cosa significhi risalire in superficie con il dolore all’arto in un paesaggio spento e sinistro, quasi infernale.

Nei campi delle miniere c’erano molti europei e quasi tutti semianalfabeti e Berardino Mosca che ormai parlava in modo sicuro e spigliato diverse lingue come inglese, francese, tedesco e inoltre si sapeva esprimere anche con la maggior parte degli uomini provenienti dai Balcani, durante la convalescenza per la gamba fratturata ecco che interveniva scrivendo le lettere a chi era in difficoltà per comunicare con i propri famigliari in Europa. E a lui ricorrevano anche tanti italiani. In quei frangenti fu così astuto da vendere, come si direbbe oggi, dei “pacchetti di viaggio” tra l’America e l’Europa. Si trattò indubbiamente d’un’altra avventura che il figlio di Agapito, Albert, avrebbe poi salutato come una “benedizione in maschera”.

Quando Berardino Mosca decise di tornare in Italia nel primo decennio del secolo XX portò con sé oltre novemila dollari e questa somma, più di 100 anni fa, era tanto denaro. E se non tutto gli andò bene, si fece comunque una discreta posizione ed ebbe una buona proprietà ad Assergi. Che peccato però che i terreni ad Assergi sono sterili e non rendono. E in questo scenario si vede dunque il piccolo Agapito che lavora dall’alba al tramonto, come si dice, e per sette giorni la settimana e questo soltanto per sopravvivere. In poche parole si stanca d’una simile vita che non offre nulla né nell’immediato e che non apre spiragli per il futuro.

Al contrario, dopo che giunse in Canada, nei primi tempi naturalmente soffrì a causa della lingua e inoltre per la poca richiesta di lavoro; comunque, quando accadeva di lavorare, veniva pagato puntualmente e quando poi incominciò a prestare la sua opera alla Chrysler, la paga era adeguata al lavoro e gli sembrò che il Canada fosse veramente un bel posto dove vivere. Oggi, addirittura, Agapito spende parole ancora più favorevoli per il Canada. Adesso è un pensionato dopo trentasei anni di lavoro alla Chrysler e anche questo inverno ha ripetuto l’azione degli uccelli che migrano verso i paesi caldi. È infatti in Florida dove è già stato tante volte in passato rimanendo per quattro mesi, praticamente dalla metà di novembre alla metà di aprile. Inoltre è stato per tre volte in Australia trattenendosi sempre nel periodo da metà novembre ad aprile inoltrato. Ha potuto sperimentare che queste vacanze nei paesi caldi – l’inverno in Canada è tremendo - sono anche per le persone considerate “normali”, mentre lui invece in passato aveva sempre creduto fossero riservate alle persone ricche. Cosa dire inoltre? Egli ricorda come ha avuto la fortuna dalla sua parte perché è stato sempre in salute mentre la sfortuna grande l’ha avuta con la malattia della moglie Olimpia e in seguito a questo brutto evento s’è dovuto cucire addosso anche l’abito di madre oltreché di padre occupandosi dei suoi due figli.

Agapito è in Canada da sessantotto anni e vive, tutto soddisfatto, nella sua confortevole casa costruita per lui nel 1954. Vive da solo ma può giovarsi del programma che il governo canadese ha stilato per le persone anziane. Una persona viene tutti i giorni ad aiutarlo un po’ e con soddisfazione afferma d’essere riconoscente allo stato canadese per l’assistenza che offre. Dunque in Canada lo stato sociale funziona molto bene anche se, sottolinea Agapito, tutto deriva dalle tasse che lui ha pagato durante tutta la sua vita lavorativa. Dice in particolare Agapito: «Il governo canadese ha coscienza sociale ed io mi sento protetto e al riparo per ogni evenienza. Credo che il sistema sanitario del Canada sia uno dei migliori del mondo.»

La mattina scorre tranquilla tra le abluzioni, la colazione, la dolce compagnia del caffè da sorseggiare, leggero, e mantenuto caldo nel thermos. Eccolo descritto un mattino sereno per questo affezionato della vita e del ricordo che si chiama Agapito.

Con questo racconto, fedelissimo con quanto narratomi da Agapito, credo che sia sempre in funzione quella gioiosa macchina della memoria che ci consente, con il ricordo, di avere le persone di Assergi trapassate sempre vicine a noi. Devo ringraziare Agapito per le notizie che mi ha donato e con il suo lungo e intenso narrare mi ha fatto conoscere tante cose, tanti fatti e in un certo senso, anche in assenza di fotografie, mi sembra di avere davanti a me tutti i personaggi citati in questo racconto. Un abbraccio a tutti e in particolare uno metafisico alla giovane donna Domenica Giannangeli. Quando m’affaccerò dal balcone della casa di mia madre che dà sul vicolo narrato, un pensiero andrà sicuramente a lei e alla sorella Angela che, in lacrime, non poteva rispondere alla domanda del suo bimbo Agapito: «Perché piangi, mamma?»

 

 

Devo ringraziare il mio parente Raffaele (Lello) Acitelli e sua moglie Tiziana che mi hanno inviato le fotografie di Agapito. Sempre attenti alla storia di Assergi e a tutto ciò che rappresenta il nostro passato, si sono distinti anche questa volta. Per il ricordo di Fra’ Madi (Frate Ama Dio) devo ringraziare mia madre, Domenica Giusti, che mi ha sempre ricordato le cose più belle di Assergi e di tutti coloro che anche da bambina lei conobbe. A suo tempo, ebbi la buona idea di trascrivere quanto lei mi raccontò: quella preghiera esile ma intensa che soleva recitare quel frate che i miei di casa conoscevano bene.



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