Il Corno Monte. Cronaca della prima ascensione sulla vetta del Gran Sasso d'Italia

"Francesco De Marchi, bolognese, capitano ed ingegnere al seguito di Margherita d'Austria, salì, primo fra gli uomini, sull'ultimo picco di Monte Corno il 19 agosto del 1573, insieme a Cesare Schiafinato milanese, a Diomede dell'Aquila e ai cacciatori di camosci Francesco Di Domenico, Simone Di Giulio e suo fratello Giovanpietro, antesignani delle moderne guide alpine.

Dell'impresa, il De Marchi ci ha lasciato questa attenta relazione da cui traspare un rapporto dialettico con la natura intesa non solo come scenario della umana avventura, ma soprattutto come dimensione morale della vita".

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Università di Bologna - Archivio Storico - Quadreria dell'Università

Il Corno Monte. Cronaca della prima ascensione sulla vetta del Gran Sasso d'Italia
(a cura di Alessandro Clementi)

 La cronaca della prima ascensione sulla vetta del Gran Sasso d’Italia non è inedita. Essa fu pubblicata integralmente nel 1938 da Mario Esposito sul Bollettino della R. Società Geografica Italiana (S. VII Vol. III, anno 1938). Fino a quel tempo era universalmente noto che il primo ad ascendere sul Gran Sasso era stato, il 30 luglio 1794, il teramano Orazio Delfico. Tale opinione si radicò così stabilmente che un secolo dopo, nel 1894 fu celebrato il centenario dell’ascensione del Delfico, sia all’Aquila che a Teramo. (V. le relazioni di I.C. Gavini in Rivista mensile del Club Alpino Italiano, vol. XIII, 1894, pp. 249-253; di G. Pannella in Rivista Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti, vol. IX, 1894, pp. 422-434; ed infine di F. Rizzatti in Natura ed Arte, vol. III, 1894, pp. 422-434). Lo stesso Delfico aveva affidato il ricordo dell’impresa ad un opuscolo, ora rarissimo, pubblicato in Teramo nel 1796, che poi fu più volte ripubblicato, anche sul Bollettino del Club Alpino Italiano nel 1871 (vol. V, n. 18, pp. 222-236). Ma già nel 1895 sulla Rivista Abruzzese (vol. X, 1895, pp. 53-58) veniva pubblicata una breve nota di G. Pansa dal titolo Una gita al Gran Sasso d’Italia fatta nel secolo XVI. In questa nota il Pansa, basandosi su alcuni passi della cronaca del De Marchi, pubblicati a Modena nel 1816 dal fisico Giambattista Venturi (Memoria intorno alla vita ed alle opere del Capitano Francesco Marchi, Modena, 1816), rivendicava la conquista all’ingegnere militare Francesco De Marchi. La nota del Pansa non ebbe ripercussioni: nel torno di tempo che va dal 1895 al 1938 si hanno infatti solo due articoli, uno dell’Almagià (Sul nome del più alto gruppo montuoso dell’Appennino, in Rivista Abruzzese, XXVI, 1911, pp. 6-7 dell’estratto) ed uno senza titolo, e sotto forma di breve memoria, di M. Jacobucci apparso sul Bollettino del Club Alpino Italiano (vol. L, 1931, pp. 94-96). L’Almagià sostenne la tesi che il De Marchi si era avvicinato di molto alla cima, senza peraltro conquistarla, lo Jacobucci, viceversa sulla scorta dell’articolo del Venturi, sostenne decisamente che il primo a conquistare la vetta occidentale era stato il De Marchi, riconoscendo al Delfico il merito della prima conquista della vetta orientale. Solo nel 1938, però, per merito dell’Esposito che vide, trascrisse e pubblicò il codice autografo del De Marchi, si poté risolvere l’appassionante questione.

La narrazione dell’ascensione, secondo la descrizione dell’Esposito è inserita nel grande trattato Della Architettura Militare terminato dal De Marchi circa il 1565.

Tale trattato fu pubblicato postumo il 1599 a Brescia dallo stampatore Dall’Oglio. Fu ristampato a Roma nel 1810. Gli editori, tuttavia non si avvidero che dopo il 1566, il De Marchi, durante il suo soggiorno aquilano, aveva completamente rimaneggiata l’opera, aggiungendovi nuovi capitoli, tra i quali quello che riguarda l’ascensione e riordinando la materia in sei libri anziché in tre come si vede viceversa nella versione a stampa. Il codice così rimaneggiato, passò nella Magliabechiana di Firenze con la vecchia segnatura cl. XVII, n. 3 e con la nuova numerazione della Biblioteca Nazionale II. I. 277-280.

Nel terzo tomo (II. I. 279), senza paginazione, si legge: Libro Sesto del Capitano Francesco de Marchi da Bologna.E’ in quest’ultimo volume (cap. 4 del libro VI) che si trova il racconto dell’ascensione, in forma di esplicazione di un disegno del Monte Corno che avrebbe dovuto accompagnare il capitolo e che è mancante, ma che fu pubblicato nell’edizione a stampa del 1599. Il racconto che si legge alle carte 10a-13b doveva sostituire un precedente racconto (carte 7a-9b) che il De Marchi aveva cancellato con semplici lineette trasversali.

Queste, in rapida sintesi, le vicende della ricostruzione della storia della conquista del Gran Sasso d’Italia.

Non si può tuttavia omettere in questa sede qualche notazione biografica su quel singolare e poliedrico personaggio che fu Francesco De Marchi, la cui fama non fu certo legata a quell’episodio marginale che fu l’esplorazione del Gran Sasso. Tale episodio trova, tuttavia, una logica collocazione nella vita del De Marchi, così densa come fu di eventi e così caratterizzata da razionale coraggio e volontà conoscitiva, esaltazione ultima ed estenuata di un costume tipicamente rinascimentale. Nacque il De Marchi a Bologna nel 1504 da umile famiglia, colà trasferitasi da Crema. La sua educazione fatta indubbiamente di sforzi autodidattici e di dure esperienze di vita trasse spunti e motivi dalle guerre che sconvolsero la Lombardia al tempo di Leone X e di Clemente VII. Sembra infatti che abbia militato al seguito degli Imperiali e forse prese parte alla battaglia di Pavia nel 1525, se nel 1568 potrà ricordare a la presa del Re di Franza tirano a braccia un archibuso detto pistone, senza paura. Sembra anche che sia stato presente all’assedio di Firenze del 1529-1530. E’ sulla scorta di queste esperienze che il De Marchi preciserà la sua vocazione di studioso di ingegneria militare, i cui risultati, affinati da una costante pratica, oggi forse dimenticati, furono un tempo plagiati e famosissimi. Sono del De Marchi le proposte dei sistemi bastionati, dei fronti rettilinei e a tenaglia, dei fianchi retti e concavi, di false brache, barbacani, mezzelune, rivellini, berrette da prete, opere a corno e a corona, strade coperte con piazze d’armi, controspalti, cavalieri, casematte e fossi con manovra d’acqua. Dietro questo arido elenco si cela un’ansia di ricerca e di invenzione intensissima ed acuta. Nel museo del Genio di Castel S. Angelo in Roma è conservata una sua grande tavola autografa con il sistema d’attacco detto poi alla Vauban. Cominciai questa mia occupazione - narrerà egli stesso - in giovanile età. Il momento determinante della sua esistenza fu tuttavia quello in cui, circa il 1533, entrò al servizio di Alessandro de’ Medici, nuovo duca di Firenze.

Fu in quegli anni che il De Marchi incominciò a frequentare Roma. Sedici anni - ricorderà - Ho abitato in Roma senza partirmene mai, sempre cercai di vedere anticaglie, ogni giorno e ogni ora m’era mostrato cose nuove.

In questo torno di tempo compie un’impresa per quei tempi straordinaria: l’immersione con speciali scafandri nel lago di Nemi per una ricognizione delle navi romane giacenti sul fondo. Ne potrò io descrivere avendole vedute e toccate colle proprie mani: quando calai nel lago il giorno 15 luglio 1535. Dal suo racconto inserito nel Libro II, capp. 82, 83, 84, apprendiamo che le immersioni furono due, la prima, della durata di mezz’ora presentò notevoli inconvenienti: pressione agli orecchi e perdita di sangue, la seconda, della durata di un’ora, gli servì per portare a termine varie sperimentazioni: visibilità attraverso l’acqua, propagazione del suono nell’acqua. In quell’occasione, naturalmente il De Marchi misurò le dimensioni delle due navi, ne rilevò le strutture e trasse in superficie campioni dei materiali. Non poté esplorare l’interno perché impeditovi dallo scafandro. Nel 1536, appena pochi mesi dopo questo episodio, il De Marchi era a Napoli per le nozze di Alessandro de’ Medici con Margarita d’Austria, figlia naturale di Carlo V. Da questo momento il destino del De Marchi sarà legato a quello di Margarita. Rimasta questa vedova all’età di sedici anni, il De Marchi ne passò al servizio fino al termine dei suoi giorni. Dopo poco tempo Margarita sposò in seconde nozze Ottavio Farnese nipote di Paolo III e futuro duca di Parma e Piacenza. Divenne poi governatrice imperiale delle Fiandre ed infine si ritirò a signoreggiare i suoi possedimenti dotali in Abruzzo. Ebbene il De Marchi fece sempre parte del suo seguito, compiendo i 50 anni che andò per il mondo dal 1520 in quà. Gli interessi feudali dei Farnese in alcune terre del Regno lo portarono a continui viaggi e spostamenti verso Napoli e per via mare nel Tirreno. Nel 1538 il De Marchi registra: Abbiamo veduto alli giorni nostri presso Napoli il fuoco fare un altissimo monte dentro il mare. Io vidi questo fuoco e dove è il Monte mi sono ritrovato stare con molte barche di vini grechi che venivano a Roma. E con il gusto dell’avventura che gli è proprio aggiunge: Mi sono trovato nell’isola di Ponza, mi fu preso da corsari una barca carica di vini grechi, ma non la mia, ch ‘era leggera e piccola, mi salvai con dare in terra nel fiume di Terracina. Ancora: l’anno 1543 venendo da Napoli in una fregata e fuggendo dalle fruste de’ Corsari turchi, arrivammo con fortuna alle bocche del Tevere e qui si perse la barca. Io benché sapessi nuotare presi un barile tutto ben serrato e nuotando venni a terra con fatica assai perché ero in mare un buon terzo di miglio.

Quindi la vita del De Marchi si svolge tra il palazzo Madama di Roma, Napoli, l’Abruzzo. A Roma svolge un’intensa attività di conoscitore d’arte (indicativa la sua amicizia con Leonardo Bufalini autore di una planimetria dell’Urbe pubblicata nel 1551), di consulente sulla struttura viaria della città, di appassionato cultore di dibattiti con le personalità più notevoli della cerchia farnesiana (Nel tempo mio ho conosciuto di gran valentuomini in Roma, e in molte altre parti d’Italia, li quali hanno sempre avuto da contrastare, o con la fortuna, o con la povertà o con gli Ignoranti, o con li Principi. Com ‘é stato il valente Abramante, poi quel gran Pittore Raffael d’Urbino e quel divin Michelangelo e Daniel di Volterra pittore, e Ticiano pittore tanto eccellente....). Divenne così membro della famosa Congregazione dei Virtuosi al Pantheon. In quegli anni e sempre al seguito di Margarita fu in Abruzzo più volte. Durante quei soggiorni stilò le relazioni non contenute nel Magliabechiano ma desunte da una Copia ricavata dal Manuscritto autografo che trovasi inedito nella Biblioteca Laurenziana di Firenze. Copiato a spese del sac. Francesco Calzoni anno 1793, ora in Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna. Queste relazioni, se inserite nel contesto delle attività romane, ci offrono un quadro culturale del De Marchi estremamente stimolante. La sua latitudine di interessi ne fa un «virtuoso» della conoscenza.

Ogni esplorazione non è fine a se stessa, ma serve a completare un orizzonte che, ancorché vastissimo, il De Marchi tende a riportare nei confini del suo dominio conoscitivo. Arte e natura: il dilemma del loro rapporto era forse presente nel Nostro. Ed ecco gli accenni al Monte Terminillo o ancora il richiamo ai Monti Sibillini intorno ai quali correvano paurose leggende e superstizioni.

Arte e natura si diceva. Appunto: di Paolo III ricorda che diede vita alle anticaglie di Roma, massime alle statue, colonne, capitelli, basi, cornici, archi triunphali et theatri et antitheatri. Il suo entusiasmo per i Farnese è pari alla ammirazione per il bello et ornato palazzo loro. E’ così che il De Marchi può farsi un gusto in materia di architettura civile, senza peraltro mai abbandonare gli studi e la pratica di architettura militare, come testimoniano le sue attive consulenze agli studi ed ai lavori di Antonio Sangallo il giovane per la difesa di Roma da un temuto attacco del Turco.

Il De Marchi fu in Abruzzo una prima volta nel 1535, vi fu ancora nel 1541 e nel 1547. Sono questi i primi contatti che egli stabilisce con il Gran Sasso e ne è frutto la prima relazione che risulta cancellata con lineette trasversali nel Magliabechiano. Un monte che si dice Corno - è un tarlo che si insinua nella sua mente - nel quale monte vi è una aria così sottilissima, e così vi è freddo, così m’hanno contati molti homini del Paese che vi sono stati sopra, e io alle radici de esso son stato più volte del che considerai il sito al meglio ch‘io puoti. Tra le righe s’avverte chiaramente una sfida. Poi avvenimenti più importanti lo distraggono. Nel ‘51 il De Marchi è Commissario di guerra e d’artiglieria per difendere la farnesiana Parma contro gli Imperiali e la Chiesa. Frutto ne fu un libro che - ci racconta - io feci in Parma mentre io era commissario de la Eccellenza del Duca sopra la artelaria. Nel ‘56 è in Belgio e in Inghilterra, sempre al seguito di Madama. In questi paesi fa conoscere tra l’universale ammirazione le sue opere di ingegneria militare. Nel 1558 dirige i lavori del grande palazzo ducale di Piacenza. Nel 1559 lascia l’Italia per le Fiandre. E’ l’anno in cui Margarita, per incarico del fratellastro Filippo II, assume il governo di quelle regioni. Vi rimarrà otto anni lasciando traccia di sé mediante le attività più varie, disegnando carte topografiche, sigilli, gioielli, perfino il cocchio di Margarita. Fu chiamato a costruire la cittadella fortificata di Anversa, anche se poi un altro architetto militare, il Paviotto, lo soppiantò nell’incarico. Tuttavia la nostalgia di Roma segna questo periodo della sua vita: quando mi viene a memoria delle belle cose di Roma, mi viene voglia di lasciare non tanto la bella e amena Fiandra, ma quasi quella, tanto onorata e dolce patria mia di Bologna per andare solamente a godere la bella vista di quelle anticaglie. Nel ‘68 il ritorno. Madama Margarita è stanca. Si ritira quindi nella quiete dei suoi domini abruzzesi. De Marchi torna in Abruzzo. Si ricorda della sfida: Il detto Monte erano trenta du’anni che io desiderava di montarvi sopra. Non può realizzare subito questo desiderio perché il soggiorno in Abruzzo è a Leonessa prima ed a Cittaducale dopo.

Al rientro in Abruzzo Madama era stata salutata festosamente dai «Signori del Magistrato» dell’Aquila. All’Aquila torna nel 1572 soggiornando in un palazzo che per antonomasia sarà in questa Città il palazzo della regina Margarita.

De Marchi è ormai vecchio, ma non demorde dalla sfida: così andassimo d’Aggosto l’anno 1573. E’ il 19 di Agosto. Il 20 esploreranno le grotte Amare di Assergi. Ma di ciò si leggerà nella cronaca. Tre anni dopo il 1576 il De Marchi moriva in Aquila, e lì veniva sepolto. L’impresa del Gran Sasso conchiudeva la sua vita, quasi a sigillare l’ansia inesausta di conoscenza.

 Alessandro Clementi


Il Corno Monte. Cronaca di F. De Marchi

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