Annita Scipione, si è salvata correndo! - Dai bombardamenti della Zecca e dal terremoto...

(DI Federica Farda) - Le due tragedie che più hanno insanguinato il capoluogo abruzzese negli ultimi 70 anni l’hanno sfiorata due volte, lei si è sempre salvata correndo: protagonista Annita Scipione, classe 1920. 
Lavorava alla Zecca, quell’8 dicembre 1943, quando gli americani lanciarono bombe dagli aerei sull’Officina delle carte e valori della Banca d’Italia e sulla Stazione ferroviaria aquilana. Udì lo scoppio, ebbe la prontezza di saltare un muro “forse alto tre metri” verso la salvezza mentre intorno era distruzione, sangue, brandelli di carne. “Ricordo perfettamente vicino a me un operaio mutilato, un’altra, invece, che veniva da Roma giaceva morta. I tedeschi erano già da alcuni mesi in città. Mi venivano a prendere a casa e mi scortavano al lavoro. Anche quella mattina, puntuali alle 7,  si presentarono a casa col fucile spianato, abitavo vicino piazza del Sole. C’era la neve e mia mamma mi legò i sacchi di juta intorno ai piedi per non farmi scivolare. La scorta l’avevo anche al lavoro: lì a sorvegliarci che non facevamo sparire nulla c’erano i carabinieri. Io era addetta a ritirare i soldi che uscivano dalla stampante”. Il rumore delle macchine dei soldi quella mattina fu squarciato da un boato, morte che pioveva dall’alto, urla, grida. Un balzo, il fiume, la corsa a perdifiato. “Mi ritrovai nel fiume. Ero tutta inzuppata fino ai capelli. Corsi fino a Coppito: ero salva”. Solo a sera si ricongiunse con i genitori che per la verità già disperavano. Poi gli raccontarono che qualcuno dal centro della città pensava agli americani che buttavano volantini dagli aerei.
La vita che ricomincia dopo la liberazione: il padre per proteggerla non volè mandarla a Roma a lavorare alla Zecca quando questa si ritrasferì nella capitale e riassunse gli aquilani. Il genitore la volle preservare, lei unica femmina di 3 figli, dalle fatiche del lavoro: non gli permise di avvicinarsi al banco di giocattoli in piazza. Solo alla sua morte prese in mano l’attività paterna. Annita non si è mai sposata, anche se pretendenti ne ha avuti “ma il matrimonio mai, lo dicevo fin da bambina, la libertà non ha prezzo. Oggi non mi pento perché non ho mai avuto bisogno della compagnia. Nostalgia dei figli? No, loro ti limitano più di un marito”. Ha viaggiato in Italia: la conosce quasi tutta. Conosce benissimo Roma: soggiornava presso parenti a Trastevere e con una cugina andava a messa a piedi o a piazza Esedra o in Vaticano. Ha sempre camminato molto a piedi anche all’alba la mattina d’inverno per raggiungere il banco di piazza Duomo da Valle Pretara, dove poi abitava, inseguita solo dai cani e con “un po’ di paura”, confessa.
Quel pomeriggio di domenica del 5 aprile 2009, giorno del suo compleanno, era però stata accompagnata con la macchina da un suo nipote alla Messa delle Anime Sante. “Rientrai a casa con una strana sensazione: sentivo che avrebbe fatto il terremoto. E’ per questo che sistemai una sedia sul pianerottolo e stette lì seduta tutta la notte fino a… Scappai immediatamente mi feci quattro piani a piedi di corsa, fui la prima del palazzo a scendere meravigliando tutti. Oggi sto bene qui nel progetto Case di Cese, il mio palazzo lo devono buttar giù e rifarlo. Ora mi fanno male solo un po’ le gambe non posso camminare più come prima, ma spero che in primavera i dolori alle ossa passino”, racconta.
 



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