LUCI DI UMANITA’ NELLA STRAGE NAZIFASCISTA DI FILETTO

 

SULLO SFONDO BUIO DELLE ATROCITA’ DELLA STRAGE NAZIFASCISTA DEL 7 GIUGNO DEL 1994 A FILETTO SPUNTANO DEI FATTI INEDITI CHE ACCENDONO DELLE LUCI DI UMANITA’
 

- di Domenico Cupillari -

La ricostruzione storica dei fatti accaduti a Filetto nel 1944 con la strage di 17 innocenti ed inermi cittadini l’incendio dei corpi martoriati, il saccheggio e l’incendio delle umili abitazioni, consente di ricomporre un quadro più chiaro e comprensibile.

Il merito dobbiamo riconoscerlo allo storico Walter Cavalieri che nel suo libro del 1994 “L’Aquila. Dall’armistizio alla Repubblica 1943-1946”, servendosi dei resoconti dell’inchiesta del PM tedesco che portò all’archiviazione del caso-Defregger, e dalle testimonianze raccolte nell’immediato dopoguerra da Don Demetrio Di Gianfrancesco e riportate   nel suo libro Filetto l’Aquila ,1985, giunse alla ricostruzione senz’altro la più chiara e attendibile.

  Anche l’articolo di Giustino Parisse apparso sul quotidiano Il Centro il 19 settembre scorso porta una voce di verità sulle modalità in cui Franco Gambacurta, uno studente sedicenne romano di origini abruzzesi, tornato a Filetto come sfollato dai bombardamenti del quartier San Lorenzo si rifugiò presso lo zio, incontrò la morte a causa di una falsa accusa tedesca; fu accusato di aver ucciso un tedesco quando invece la morte era stata causata da un tedesco che aveva scambiato un suo commilitone per un prigioniero inglese, fulminandolo.  

 Il contesto sociale in cui la strage è maturata è simile a quella di tutti quei piccoli paesi di alta montagna in cui in cui le attività prevalenti erano la pastorizia e l’agricoltura di montagna che talora erano praticate insieme in ambito familiare. Poche famiglie benestanti che coltivavano grossi appezzamenti di terreno a grano, a patate, a granturco o ha foraggio, che possiamo considerare benestanti. Il resto della popolazione praticava queste attività su appezzamenti piccoli e il più delle volte poco fertili, riscontrando grossi problemi per sfamare le famiglie che in maggioranza erano numerose.

  Don Demetrio Gianfrancesco, nella sua Cronistoria parrocchiale redatta subito dopo la fine della guerra che raccoglie le testimonianze dei parrocchiani che hanno vissuto direttamente le atrocità della strage, parla dei partigiani,”scesi dalla montagna, dietro avviso di un tale di Filetto, desideroso di impossessarsi di una macchina dattilografica, venduta da poco dai tedeschi ad un altro abitante  e bisognoso dell’aiuto di essi per riuscire nel suo intento”.

   L’ipotesi che il contendere fosse una macchina da scrivere viene smentita da Aldo Rasero, comandante dei partigiani del gruppo “Campo Imperatore, nel suo libro Morte a Filetto. La resistenza e le stragi naziste in Abruzzo. Infatti secondo Rasero il giovane (Angelo Cupillari) si era spinto a richiedere l’intervento dei partigiani non per risolvere controversie personali, ma era stato inviato da un gruppo ristretto di felettesi, fra cui Antonio Palumbo, il primo ad essere ucciso all’arrivo dei tedeschi, nonostante le difese del maresciallo H.Schafer suo amico, le difese che costarono al maresciallo la morte ad opera di un suo commilitone.

  Il messaggio del gruppo ristretto dei filettesi sollecitava l’intervento dei partigiani per evitare che durante il ritiro delle truppe tedesche verso nord, ritiro ormai prossimo, avvenissero trafugamenti di beni di materiali, quali cereali, prosciutti, formaggi, bestiame, ecc. e, per impedire ciò proponeva che i partigiani prendessero di sorpresa i pochi tedeschi di stanza a Filetto, tenendoli prigionieri.

  Mi chiedo come un comandante partigiano, un maggiore dell’esercito regio, abbia potuto cedere alla volontà dei suoi uomini che spingevano per l’intervento, conoscendo bene quali fossero le reazioni dei tedeschi venuti a conoscenza dell’accaduto. E nell’ipotesi che fosse riuscita l’azione di sorpresa come avrebbero potuto gestire la prigionia dei tedeschi catturati.

  E’ stata quella dei partigiani un’azione un po’ avventata che avrebbe avuto senso qualora si fossero presentate le prime avvisaglie delle intenzioni dei tedeschi di trafugare quei beni materiali, la cui la preventiva salvaguardia invece è stato il movente dell’accaduto.

   Le avvisaglie erano diverse e provenivano dal buon rapporto che i filettesi avevano instaurato con i tedeschi e non solo Antonio Palumbo, la cui amicizia con il maresciallo Schafer, gli costò la vita e costò anche quella dello stesso Maresciallo che venne ritenuto da un suo commilitone collaborazionista, ma anche con di uomini inermi e innocenti il resto della popolazione.

  In questo contesto di “buon vicinato” si inquadra l’episodio di cui è stato protagonista Giuseppe Facchinei.

   Durante il conflitto a fuoco fra partigiani e tedeschi un soldato che non si trovava in via Romana, il luogo dello scontro, sentendo gli spari si rifugiò in una grotta alle porte del paese. Quando Giuseppe Facchinei entra nella grotta il militare impaurito, alza le mani in segno di resa, ma il buon Giuseppe lo invita a stare calmo e abbassare le mani in quanto non era nelle sue intenzioni arrecare violenza; lo invita a lasciare il cappello militare e ad indossare un cappello di contadino e a fuggire in direzione di Camarda.

  Il militare di cui non conosciamo ovviamente il nome, arrivato a Camarda, dove ormai si era messa in atto la reazione tedesca, risalì a Filetto insieme ai commilitoni che avrebbero poi messo in atto la rappresaglia.

  E cosa veramente sorprendente il militare, vedendo fra le persone rastrellate, Giuseppe, si è avvicinato chiedendogli dove fosse la sua famiglia e dove preferiva essere portato in salvo. Giuseppe preferì Paganica. Sottratto dal gruppo dei rastrellati, Giuseppe e la sua famiglia furono portati a Paganica con un mezzo militare.

   L’anno successivo alla strage il 1945, a guerra finita, Giuseppe perse uno dei suoi ultimi figli, Clemente, un bambino di 12 anni che rimase ferito a morte dallo scoppio di un ordigno bellico che aveva raccolto per gioco.

  Giuseppe (Zi Peppe), non ha mai raccontato in pubblico l’episodio, ne siamo venuti a conoscenza attraverso il racconto di uno dei suoi figli, Domenico, al quale siamo riconoscenti

  Abbiamo così scoperto che in mezzo a tanta violenza, fatta di rastrellamenti, percosse, uccisioni e incendi, di uomini inermi e innocenti, un bagliore di luce di umanità ha pure attraversato quella pagina oscura.



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