Le aquile, l'orgoglio e l'austerità dei nostri aspri monti e del Gran Sasso

Le aquile, l'orgoglio, e l'austerita` dei nostri aspri monti e del Gran Sasso

- di Eugenia Vitocco, USA -

 

Era un giorno di Primavera, non c'era scuola perchè era festa nazionale.

Era un giorno di Aprile e gia da tanto tempo avanti noi studenti, avevamo pianificato di andare a vedere quella inaccettabile e orribile gabbia li` sotto alle mura della nostra città (L'Aquila) vicino allo stadio, dove vivevano recluse una decina di aquile, tra il loro sterco, resti di carogne putrefatte, pezzi di ossa spolpate, muffa nera e umidità,  piume raccolte in mucchi con le loro feci, negli angoli dove stagnavano generando un odore irrespirabile. Dio come puzzavano! Quel ripudiante odore cominciò ad ostruire le nostre narici sin dalla Fontana Luminosa e più procedevamo più denso e duro diventava respirarlo. Quando arrivammo le aquile nel vederci cominciarono a schiamazzare forse illudendosi che finalmente un qualcuno dei tanti passanti frettolosi si era fermato a constatare il loro brutale prigionamento a vita, inaccettabile e sperando che un qualcuno di noi nel gruppo avrebbe aperto quella inferriata di sbarre di ferro riconcedendo loro la loro libertà fuori verso quel cielo azzurro e quelle cime di monti e picchi del nostro appennino e che sognando osservavano giornalmente sperando di raggiungerle ed estendere le loro ali, volando e rivolando per glorificare quegli spaziosi orizzonti per cui erano state create.

Perchè erano rilegate li’, contro quel legame e dono che avevano avuto da Madre Natura? Esse erano nate per volare, e per godersi l'immenso azzurro dei cieli. Che male avevano fatto a Madre Natura per essere vittime di una così grave e mortale punizione privandole dei loro orizzonti da esplorare?

Ci dicevano che rappresentavano l'emblema della nostra L'Aquila da cui preveniva il suo nome; un nome che a secondo della storia aquilana deriva dalle tante sorgenti di acqua che alimentano tutto il circondario della città. Noi tutti studenti avremmo voluto rompere quelle sbarre arrugginite dal tempo e dal fetore che stagnava su quella piattaforma di cemento e su parte di quella roccia dove l'avevano incastrata. Avremmo voluto aiutarle in qualche maniera, ma inabili a farlo ce ne andammo con un cuore straziato in silenzio e con l'eco del loro schianiazzare ai nostri orecchi che pian piano si annientò e che ci accompagnò fin dove scomparimmo, alla loro vista, la vista di quelle care aquile, prigioniere della umanità. Auguro a me stessa di poter vedere quell'angolo scomparso, distrutto senza un rimasto segno o immagine di quello che è stato; obbrobrio della mente di una società senza voce e che incurante viveva sottomessa a quei pochi usurpatori di diritti naturali anche per gli animali ed assoluti comandanti delle istituzioni dell'allora nostra città. Ma le genti in quei tempi avevano un cuore palpitante? Lo dubito,  perchè quel giorno di vacanza scolastico in altri tempi è uno ed il più triste ricordo doloroso di quei miei anni di studio trascorsi li` a L'Aquila e cerco ancora oggi dopo decadi passate di annientare nella mia mente quel triste giorno di Aprile e mi consolo ricordando e rivedendo le nostre aquile libere volando a circolo nel cielo all'ora del tramonto li attorno a Portella, a Cifalone. Erano così belle con quelle larghe ali distese nell'aria e che davano maestosità ai nostri monti e alle loro cime, da dove osservavano e custodivano i loro nidi con i loro aquilotti, tra quelle rocce che sfiorano l'azzurro intenso del nostro cielo; irraggiungibile dall'essere umano che spesso supera tutti i limiti, diventando distruttore di tutto ciò che appartiene a Madre Terra, inconscio di stare a distruggere per primo se stesso. Li al posto di quella obbrobriosa gabbia ci istallerei una croce, dove tutti possono inginocchiarsi in memoria di quelle care aquile che ci sono morte inzuppate del loro sterco ed invalidate a respirare la freschezza e l'ossigeno abbondante della nostra aria e vissute sognando di raggiungere libere il cielo e volare volare, motivo della loro nascita e di Madre Natura e vittime di snaturati ed insignificanti e malefici sogni dei pochi che con assolutismo, dirigevano il mondo di altri tempi.



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