In Assergi “Game" - di Marco Ippoliti

In Assergi “Game"

- di Marco Ippoliti -


Magari   come “location” per un videogioco “Fantasy”, magari per  girare un film, magari lunghi autoarticolati  stracolmi di tecnologia, cineprese e lampade, sedie di regista e cestini per il pranzo, roulotte di camerini,  luci trucco e parrucco.
Magari no. Con “Trinità” abbiamo già dato ricevendo poco.
Ma quando mio figlio piccolino ha visitato l’unica volta Assergi , nel periodo del Gameboy in tasca, ha visto in quelle stradine che salivano e scendevano, intrecciandosi con archi e piazzette, cunicoli e balconi che nascondevano o aprivano ha nuovi scenari di mura piene di muschi e fuliggine, un mondo tipico dei giochi di ruolo che stavano diventando la colonna sonora dei pomeriggi fanciulleschi.
Lui, piccolo eroe in pectore si è immedesimato nel personaggio dell’eterna competizione tra il “Signore degli asinelli”, figlio della Langa , e  “Daniele il Cavaliere banditore” luminoso di purezza, ma di latta vestito spinto verso epiche avventure di medievale fattura.
Un pò come “livelli di gioco” stile Harry Potter nostrano, che si susseguono nel proseguire del tempo per affrontare sempre  nuovi e difficili “passaggi di difficoltà”.

Fin da “…ni frati” per andare dalla parte bassa di Assergi a quella alta, meta magari della propria abitazione, ogni dì l’eterno dubbio e strategia era o percorrere quel vicolo più ripido ma più breve, corredato però di scalini, la cui altezza, maldestramente varia e importante non era un problema per l’agile gioventù, ma lo diventava per le povere ginocchia piegate da tante primavere ormai passate, o percorre stradine più comode, che allungavano il percorso, ma erano più lievi al compiersi della sera.

Per trasformare e immaginare il sonnolento paesino in un gioco di ruolo, è bastato scoprire il cunicolo che più o meno partendo dal negozio di Antonietta, in una spirale architettonica antica quanto non si sa, portava alla Piazzetta del forno per poi ridiscendere dall’arco a destra e risalire di nuovo. Un po’ l’ombelico del mondo, l’ombelico di Assergi.

E che dire del tunnel, che non so se sia praticabile ancora, che salendo a sinistra poco prima della Porta del Colle portava  al punto più alto, per riscendere poi o a destra o a sinistra verso chissà quale meta.

“Na Porta” lo stretto arco dove ogni mattina ognuno timidamente vi si affacciava sognando, immaginando, auspicando, nel varcare quel “Gate” chissà quale nuovo panorama per poi rassicurarsi nel vedere Pizzo Cefalone e Campo Imperatore ancora presenti all’appello della giornata. Quel muretto non troppo alto, dove appoggiarsi o sedersi fin dal tardo pomeriggio, stufo di sentirne di cotte e di crude, storie sempre uguali a se stesse, ma sempre considerate diverse e rivisitate ogni giorno, dimenticando quello che si era detto il giorno prima.
Già da quell’avamposto chiunque veniva passato ai raggi x, se ne veniva misurata la capigliatura, la vestitura, la capacità di percorrerla in macchina senza fare manovra in una precisa e misurata“ manovra a zeta” che poi avrebbe portato alla piazza.
Accarezzare “passandovici” i consumati spigoli di pietra.
Era il regno di Grazia la cui risata più volte è stata immortalata, la cui eterna storia, che non conosco, forse si fonde con la nascita stessa di Assergi
Contare pigramente l’andirivieni di uomini, pochi mezzi o animaletti da lavoro carichi di fascine e sacchi di farina.

Sali e scendi, luci e ombre che ti portavano  così agli immaginati vari livelli del Paese.
Erano anche palcoscenico di interi pomeriggi passati a giocare a Guardia e Ladri, “Nascondino” rivisitato dei famosi anni ’70.

E si potrebbe immaginare una fantastica caccia al lupo (poverino) che si aggira per le vie, entrando e uscendo dalle mura quale  il confine tra la vittoria o il “Game over” del gioco.
Che vinca però il Lupo che di male ha solo il fatto di avere, come ogni essere vivente, fame.
La storia gli ha riservato una, non meritata sinistra parte, e il buon San Franco lo ha solo allontanato dalle case, per salvare noi, ma anche per salvare lui, quale anch’esso creatura divina, e la scienza lo ha premiato come importante attore dell’equilibrio della fantastica biodiversità della natura.

Ognuno nel suo incessante muoversi, aveva la sua strategia per camminare, avanti e indietro  al mattino o alla sera, e portare un secchio di mangime nei famosi “pagliari” che Assergi ha fuori le mura, esempio quasi unico nel panorama dei borghi Abruzzesi.
Percorrere con passo incerto quei “Livelli” era cercare di scoprire con lo sguardo rivolto in terra qualcosa che il giorno prima era sfuggito. Ciottoli sempre uguali che avevano segnato il passo a tanti compaesani e ne avevano conservato le paure e le speranze di chi forse si sentiva ai confini del mondo.
Potessero parlare racconterebbero cose stupende e narrabili o forse indicibili, inconfessabili e segrete.

Ad ogni livello di quel fantastico gioco è il tempo che passa, ha farla da padrone, dove chi sta sopra o chi sta sotto non ha il sopravvento, e lì protetti dal muro del Gran Sasso,  Grande Padre, ci si addormenta ogni sera in attesa di riaccendere, non un congegno elettronico,  un cammino e permeare l’aria di quel  fumo che sa di tepore e serenità.

 



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